giovedì 2 maggio 2024

Versi che trascendono l’autore: la poesia è anche amicizia

Alessandro Ramberti, Non so resistere, Fara 2024

recensione di Gianni Criveller


Non so resistere, l’ultima silloge pubblicata dal poeta-editore Alessandro Ramberti, mi è subito sembrato un titolo enigmatico. L’ho ricevuto proprio il 25 aprile, il giorno in cui la nazione italiana celebra la Liberazione nata dalla Resistenza. ‘Non so resistere’ potrebbe significare: non ho ancora imparato a esercitare la resistenza, una pratica di fortezza, quanto mai utile nella vita, e non solo sul piano civile. Più prosaicamente, ‘non so resistere’ potrebbe essere, d’altra parte, una dichiarazione di debolezza e impotenza di fronte alle tentazioni della vita, alle quali appunto, non si sa resistere.

Questa enigmaticità e persino ambiguità l’ho ritrovata nei versi di Ramberti. “Languisce l’anima / quando è in ricerca / senza risposte / mentre i segnali / paiono ambigui (…) ogni paura / ha una scialuppa / per navigare” (p. 18).

Non sono un critico tecnico di poesia, piuttosto so dire se una cosa mi piace, mi emoziona, mi lascia qualcosa. Ho trovato che Alessandro riveli in queste pagine la fatica di un passaggio esistenziale: la consapevolezza della vita che passa e non sarà più, ovvero dell’incombenza della morte (p. 49 e soprattutto il racconto Naquatl a p. 77); il venire meno di punti fermi (p. 26); momenti di fragilità, buio e vuoto (in vari versi); la malinconia per chi non è più con noi.

“… dalla distretta / non so resistere / all’entusiasmo / del tuo sorriso // sento il conforto / del sangue in me / tuo dalla nascita / ribolle il cuore // in apprensione / come facevi / quando aspettavi / il nostro arrivo” (p. 19). Versi che, insieme ad altri, tra i quali quelli a p. 22, e poi a p. 31 e 66, sembrano evocare il lutto familiare che ha recentemente colpito Alessandro. Non mi permetto tuttavia di chiedergli se la mia interpretazione sia corretta: la poesia ha regole di discrezione.

Non saprei se Alessandro sia cosciente che questi versi rivelano, insieme ad altre cose, anche fatica, incertezza, ansia e paura rispetto al passaggio esistenziale sperimentato. Consciamente o meno, perché come ha confessato Alessandro nella premessa, questi versi ‘hanno voluto nascere e io li ho assecondati’. Dunque c’è qualcosa di misterioso – piuttosto che di razionale – in ogni esito poetico: i versi trascendono lo stesso autore.

In questa silloge Ramberti ha uno stile piuttosto sobrio e asciutto che rasenta, talora, una certa durezza: pochi articoli, congiunzioni e preposizioni. Niente ‘virgole e punti e appigli’, come ha notato Martello. È la forma più adatta, credo, per descrivere la fatica del passaggio e la durezza dei temi evocati.

Infine vorrei riprendere un verso del primo quinario: “mi urge qualcosa / proclamare un’amicizia / in contumacia” (p. 15). Amicizia che ritorna in seguito in altri versi. In realtà gli amici del poeta Ramberti non sono contumaci. Sono presenti a prefazionare – con il dotto breve saggio di Luigino Bruni – e a epilogare le poesie di Alessandro, con affettuosi e sentiti interventi di ben otto amici poeti. La poesia è tante cose e nello stesso tempo rimane piuttosto indefinibile.

Nel mondo di Alessandro Ramberti poesia è anche amicizia. Con la sua generosità e professionalità negli anni ha costruito attorno a sé – e alla sua editrice – una rete di poeti e scrittori che si sentono comunità. È impossibile immaginare le kermesse di Fonte Avellana e in altre suggestive località (anche fuori Italia) senza la leadership e la coinvolgente passione di Ramberti. Poesia è anche questo.

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