martedì 25 aprile 2023

“Il mondo ha grandi doni / per chi ne ha desiderio.”

Raffaela Fazio, Gli spostamenti del desiderio, Moretti&Vitali 2023, Prefazione di Alfredo Rienzi

recensione di AR


“Non sono un poeta. / Ma ho dentro / un pezzetto di Dio / che può farsi poesia.” (p. 159, dalla sequenza Etty Hillesum, ultima della sezione “Tra occhio e parola” che chiude la raccolta)

“(…) / in noi stessi estirpare quel buio / di cui soffre la terra / quel male / che si vede nell’altro.” (ivi, p. 157)

Un indice di intensità sempre elevato è riscontrabile nella poetica di Raffaela Fazio e questi Spostamenti alzano ulteriormente l’asticella. Questioni di vita e di morte (“vedi, non mi è concesso / dire addio al tuo corpo”, p. 34; “un corpo con pelle muscoli vene / l’ho stretto / e ora / è l’unica cosa fuori dal fluire / è l’unica cosa che non mi appartiene.”, p. 37), di ardenti passioni fisiche e spirituali, di coinvolgimenti e disillusioni, di valori e sentimenti in cui grano e zizzania sono inestricabilmente in contesa per occupare porzioni della nostra anima: “(…) Su me ho caricato / il male che ho potuto / e il bene l’ho difeso da assassina.” (La moglie del medico “Cecità di José Saramago, p. 68).

Constatare i nostri limiti, alimenta il desiderio di superarli, con umiltà, non da soli. Il desiderio esistenziale non può essere soddisfatto da fiammate effimere, richiede l’accoglienza della propria zizzania e la disponibilità ad aprirsi, a sentirsi desiderati in massimo grado proprio nei momenti in cui ci sentiamo più manchevoli, sconfitti, abbandonati: “Sono soltanto / il tempo che mi presti / la cura con cui vesti la mia non-adesione / il modo in cui mi vedi / oltre lo sbaglio.” (Perfetto “Artificial Intelligence” di Steven Spielberg, p. 83). 

Lo sguardo di Raffaela è spesso apparentemente distaccato, diremmo scientifico gnomico sapienziale,  ma lo sentiamo vicino, ci penetra e fa vibrare le corde più vere: “da lontano vedremo chi siamo: / non più noi / solo quello che amiamo” (Vedremo chi siamo, p. 141); “Non inseguire il tempo. / Digli addio.” (p. 119); “Il tempo infine scuoia / e tiene in mano / il niente / che siamo.“ (Retrospettiva, p. 111); “Sei solo tu il pertugio – anello rotto / da cui avverrà il trapasso / del confine.” (Wormholes III, p. 88).  

Immersi in questa (auto)analisi chirurgica, ci sentiamo coinvolti da versi tremendamente inquietanti e al contempo capaci di una musica che profuma di preghiera e ci tira su: “Nessuna cosa immaginata / torna indietro. / Appena concepita / entra nel tempo, si dilata / (…) / si fa muta / eppure mai si sveste / di un’anima sottile / di stupore.” (Anamorfico II, p. 54); “Nel mondo è il dolore più profondo / che insegna a non spezzarsi.” (p. 47); “e ogni assaggio di ombra / rivela un privilegio / o forse solo aiuta / (…) / a scendere piano / incontro al destino.” (p. 44).

Questo libro è anche una struggente epilogia sugli affetti che se ne sono andati, sulle persone care e/o prossime che ci hanno disegnato, come noi a nostra volta abbiamo disegnato loro, e che la morte o la distanza ha sottratto ai luoghi comuni, ai tempi condivisi, lasciando quelle cicatrici che fanno sussultare le dita immaginarie ma sensibilissime e invasive del nostro ricordare che è un po’ rivivere quei tempi, quei luoghi, quelle relazioni: “È il cuore che detta / la prima visione. / (…) / Ha il difetto di vedere / ciò che è suo / solo come vivo.” (p. 33); “Non trovo la misura / del tempo che fu nostro. / Mi pare cambi peso nel pensiero.” (p. 27). Ma la voce poetica di Arezzo non è più  “da sola” né l’ ”unica guardiana” (p. 259)  del suo lutto, avendone condiviso con noi il ricordo con il suo canto che ci sospinge al fondo ma mai dimentica di porsi le domande che spostano più in alto il desiderio: “L’amore in che consiste? / E in cosa la presenza?” (Aggiornamento del sistema “Her” di Spike Jonze, p. 79). 


PS Il distico posto a titolo di questa recensione è tratto da Sophie Scholl, p. 147.

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