Marzia Biondi, Noi siamo il cielo, Aletti 2021
recensione di AR
L’equazione “il cielo è in noi / noi siamo il cielo” della poesia che chiude (p. 40) questa raccolta e che le dona il titolo, continua con questi versi: “possiamo morire / non così la verità // la verità, l’arcobaleno delle pupille”. La voce di Marzia è sapientemente semplice, sabianamente onesta. Consiglio di leggere i Ringraziamenti (p. 41) che forniscono spunti importanti per sentire queste poesie toccare con ancora maggiore empatia le nostre intime corde: “La forma poetica mi pare sia quella più profonda e delicata per dire il mio ‘grazie’ (…) [anche] per gli ostacoli, le difficoltà, le incomprensioni, le solitudini che hanno fatto parte di un tratto della mia esistenza (…) senza questi intralci non avrei mai capito l’importanza della speranza, della fede e della carità.”Come si vede, c’è una vena spirituale che sottende la poetica della forlivese, una energia che le consente di amare la vita nel suo chiaroscuro, di trovarsi/completarsi nei volti degli altri e dell’Altro (“Padre / esulta in me, in te / in ogni volto / rivolto all’insù”, p. 11).
La raccolta è caratterizzata da ellissi e digressioni, da passaggi emotivamente trattenuti che generano immagini vivide (“passi ovattati si arrestano imbrividiti”, p. 23; si veda anche la poesia a p. 18 da cui abbiamo tratto il titolo di questa recensione), splendide (”andare via dalle icone / stupore nel nuovo respiro / pienezza”, p. 22), a volte spiazzanti come kōan: “tanto tempo fa, / forse ieri, un figlio è nato” (p. 39); “un sorriso sfugge, / (…) / una farfalla ne attende l’aria / labbra aperte / custodi”, p. 34); “spighe fluttuanti // bambine del frutto maturo, nutrimento” (p. 31); “una stella ci agglutina ricongiunti / le anime, con due dita si toccano / del mistero la bellezza” (p. 28).
L’anima è “specchio luminoso” che come l’acqua è compagna del tempo “in continuo ondeggiare” (p. 32). La bellezza/bontà può condensarsi nel “vapore caldo” che “sobbalza, sorride, si dilegua nell’aria / insieme all’alito del chicco di grano / divenuto pane” (p. 33).
È necessario fare un po’ di vuoto dentro noi stessi per accogliere una ”pienezza” autentica e aprire così la ”nostra anima deserta / ostinata del suo desiderio / cieca nel credere di avere nei granelli / il germe della vita” (p. 35).
Se siamo concentrati solo su noi stessi, non possiamo generare nulla, possederemo solo una desolata, magari amplissima ma sterile, terra bruciata.
Marzia nutre un profondo amore per la poesia, ascoltata con attenzione, frequentata assiduamente nei grandi come nei contemporanei, e così si sente “accarezzata dalla passione / dalla luce che dice ai segni / dove adagiarsi sulla carta // forme d’amore volanti” (p. 29).
Scrivere versi diventa dunque una forma di ascesi, una scala che mette in relazione cielo e terra. Giustamente osserva in Prefazione Alessandro Quasimodo (p. 9): “per mezzo della tensione verso il trascendente è possibile dare una meta al nostro cammino.”
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