giovedì 20 maggio 2021

Nelle pieghe del nostro andare

FALÒ DI CARNEVALE di Guglielmo Aprile, Fara Editore 2021

recensione di Gian Ruggero Manzoni


 
Guglielmo Aprile è nato a Napoli nel 1978. Attualmente vive a Verona, dove si è trasferito per insegnare. È stato autore di alcune raccolte di poesia, tra le quali “Nessun mattino sarà mai l’ultimo” (Zone, 2008); “L’assedio di Famagosta” (Lietocolle, 2015); “Calypso” (Oedipus, 2016); “Il talento dell’equilibrista” (Ladolfi, 2018); “I masticatori di stagnola” (Lietocolle, 2019); “Il giardiniere cieco” (Transeuropa, 2019) e “Farsi amica la notte” (Ladolfi, 2020). Per la saggistica ha collaborato con alcune riviste proponendo studi su D’Annunzio, Luzi, Boccaccio e Marino, oltre che sulla poesia del Novecento. Ecco una sua poesia titolata “Guado”: “L’incrocio delle strade / è una bocca di mantide, / una ghigliottina in cui passa il vento. // Ci attende, il guado; eppure a tempo perso / ci intratteniamo storpiando i cognomi / e ci facciamo gioco degli assenti. // Poi verrà per ognuno il turno di mostrare / di cosa avrà riempito il proprio sacco, / e rovesciandolo scoprirlo vuoto”. I versi di Guglielmo Aprile si insinuano chirurgicamente nelle pieghe del nostro andare a volte distratto e individualistico. Siamo così “costretti” a esitare, a chiederci il motivo per cui la loro lettura ci abbia smosso, provocato, inquietato, spingendoci a osservare con maggiore attenzione quanto e chi ci sta attorno, a fare il punto sul nostro cammino, a verificare il senso del perché agiamo e siamo. Riccardo Deiana ha così ben scritto di questo insieme: “Una delle chiavi teorico-critiche che potrebbe essere spesa per tentare una definizione sommaria, o semplicemente un inquadramento di genere, di Falò di carnevale, è ‘civismo’. Forti sono i temi e i problemi del nostro tempo chiamati in causa: dall’abbondanza occidentale fine a sé stessa, alla speculazione edilizia. Uno in particolare è preminente: quello della menzogna. Aprile lo interpreta nell’ottica della poesia civile, perché anche laddove ha coloriture più esistenzialistiche, non abbandona mai il contatto con il contesto storico. Il titolo della prima sezione lo esplicita chiaramente: “Grande bluff”. Ciò viene ribadito anche da Andrea Biondi: “Questa è una cupa, dissacrante e velatamente ironica meditazione in versi sugli inganni della quotidianità”. Poi ecco il parere di Colomba Di Pasquale: “Poesia giovane, contemporanea, visionaria, a tratti irreale, spesso concreta e fin troppo cruda. Poesia ricca di rimandi filosofici e decadenti, ma anche di profondi insegnamenti. Poesia necessaria in tempo di Covid-19 in cui viene svelato il vero in tutta la sua essenza”. Quindi una poesia che serve all’uomo per uscire dalle “dipendenze” del consumismo e dell’omologazione. Una poesia netta, diretta, appuntita, quella di Guglielmo Aprile, che nulla lascia all’ambiguo, perché, come “poesia vera”, vuole essere appellata e recepita.

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