Vera Lúcia de Oliveira, Ero in un caldo paese
di Giovanni Fierro v. l’articolo completo di intervista in Fare Voci (luglio-agosto 2020)
L’essenza delle cose sta nella luce che producono, in quell’irripetibile istante che diventa il proprio manifestarsi, la propria chiamata al mondo.
Ed è questa luce il vivere del fare poesia di Vera Lúcia de Oliveira e dei suoi testi inclusi nella sua più recente raccolta Ero in un caldo paese (seconda classificata al concorso Faraexcelsior 2019).
Uno scrivere che già dalla sua prima pagina è un invito allo stare dentro a tutto ciò, ad ogni verità, perché “Bisogna andare a fondo / infilare la mano con delicatezza/ nella pancia di Dio”.
È una luce mai idealizzata ma sempre capace di un tessuto umano, di cui si ha bisogno per muoversi nel sé più profondo e sincero.
E in questo suo scrivere, Vera Lúcia de Oliveira ci ricorda di come sia necessario che il tutto sia un fiorire continuo, per stare dentro al momento preciso, al luogo che separa il prima e il dopo, “come se il mondo / fosse nato / ora”.
In questo accendersi continuo, in cui il lavoro dell’autrice è quello di riconoscerlo e valorizzarlo, è fondamentale indicare il come la luce sia fonte di nutrimento, “apriva la bocca / e a sorsi e a morsi / ingoiava la luce”; e forza, “il sole irrompe / e ferisce la nebbia”.
Ma queste pagine, per dare ancora più significato alla luce, respirano anche un dolore adulto, maturo e consapevole, che ne diventa la naturale parte integrante, inscindibile e caratteriale.
Perché “nulla è nitido nel dolore / ma tutto si vede di più”, ed allora è un qualcosa che va accettato ed esplorato, che può rivelare sorprese e illuminazioni, che ha una sua luminosità interna ed intima, capace di mostrare quel qualcosa che esposto a troppa luce rimane nell’abbaglio, e non si può né vedere e né guardare.
E di certo Vera Lúcia de Oliveira non rinuncia al raccontare di come la vita ogni giorno si mostri in mille e più mille fragilità, che “come la pioggia/ si spezza/ su ogni cosa”, e di come c’è da stare “attenti a che le ombre/ non ci ingoiassero”. Nel passato, in questo presente, nel tempo che ha da venire.
Luce ed ombra sono quindi il continuo dialogo acceso per arrivare all’essenza, al pane e alla radice, ad Ungaretti.
Per riconoscere ogni volta, e capire meglio, che nel proprio stare al mondo “si era spinta così tanto su quella soglia di luce / che aveva finito per rimanere / dall’altra parte del giorno”.
Ed è questa luce il vivere del fare poesia di Vera Lúcia de Oliveira e dei suoi testi inclusi nella sua più recente raccolta Ero in un caldo paese (seconda classificata al concorso Faraexcelsior 2019).
Uno scrivere che già dalla sua prima pagina è un invito allo stare dentro a tutto ciò, ad ogni verità, perché “Bisogna andare a fondo / infilare la mano con delicatezza/ nella pancia di Dio”.
È una luce mai idealizzata ma sempre capace di un tessuto umano, di cui si ha bisogno per muoversi nel sé più profondo e sincero.
E in questo suo scrivere, Vera Lúcia de Oliveira ci ricorda di come sia necessario che il tutto sia un fiorire continuo, per stare dentro al momento preciso, al luogo che separa il prima e il dopo, “come se il mondo / fosse nato / ora”.
In questo accendersi continuo, in cui il lavoro dell’autrice è quello di riconoscerlo e valorizzarlo, è fondamentale indicare il come la luce sia fonte di nutrimento, “apriva la bocca / e a sorsi e a morsi / ingoiava la luce”; e forza, “il sole irrompe / e ferisce la nebbia”.
Ma queste pagine, per dare ancora più significato alla luce, respirano anche un dolore adulto, maturo e consapevole, che ne diventa la naturale parte integrante, inscindibile e caratteriale.
Perché “nulla è nitido nel dolore / ma tutto si vede di più”, ed allora è un qualcosa che va accettato ed esplorato, che può rivelare sorprese e illuminazioni, che ha una sua luminosità interna ed intima, capace di mostrare quel qualcosa che esposto a troppa luce rimane nell’abbaglio, e non si può né vedere e né guardare.
E di certo Vera Lúcia de Oliveira non rinuncia al raccontare di come la vita ogni giorno si mostri in mille e più mille fragilità, che “come la pioggia/ si spezza/ su ogni cosa”, e di come c’è da stare “attenti a che le ombre/ non ci ingoiassero”. Nel passato, in questo presente, nel tempo che ha da venire.
Luce ed ombra sono quindi il continuo dialogo acceso per arrivare all’essenza, al pane e alla radice, ad Ungaretti.
Per riconoscere ogni volta, e capire meglio, che nel proprio stare al mondo “si era spinta così tanto su quella soglia di luce / che aveva finito per rimanere / dall’altra parte del giorno”.
Dal libro:
se è stato per il colore del vento
che sono nata, per il rumore delle
foglie accese di luce, l’aria che si
muove fra i panni bianche sui fili
la sera he sembra non scorrere
il midollo del tempo, questa vita
in estasi, questo corpo ardente
questo sguardo lucido
sul nucleo di tutto
che sono nata, per il rumore delle
foglie accese di luce, l’aria che si
muove fra i panni bianche sui fili
la sera he sembra non scorrere
il midollo del tempo, questa vita
in estasi, questo corpo ardente
questo sguardo lucido
sul nucleo di tutto
*
guardavo il cielo vivo di luce
luce sui campi sui muri
diamanti nelle pozzanghere
lampi sui tetti che piano
foravano la sera
luce sui campi sui muri
diamanti nelle pozzanghere
lampi sui tetti che piano
foravano la sera
*
non si fa poesia sulla morte
ma se l’amore permane
oltre la morte se l’amore
rimane anche la morte
vissuta da viva
valeva la pena
ma se l’amore permane
oltre la morte se l’amore
rimane anche la morte
vissuta da viva
valeva la pena
*
vai in discesa con il vento dietro
arrivi in una piazza senza parapetto
l’infinito in fondo in cui ti puoi tuffare
arrivi in una piazza senza parapetto
l’infinito in fondo in cui ti puoi tuffare
tutto è luce e nulla manca e hai solo
il vento e il mondo lì dinnanzi e dietro
il vento e il mondo lì dinnanzi e dietro
*
il mare qui è un orizzonte azzurro
di monti su monti a perdersi in fondo
nelle giornate limpide puoi vedere la mamma
dall’altra parte del mondo e se c’è luna
luminosa vedi il babbo piegato sul suo
orto d’estate che neppure da morto
ha lasciato
di monti su monti a perdersi in fondo
nelle giornate limpide puoi vedere la mamma
dall’altra parte del mondo e se c’è luna
luminosa vedi il babbo piegato sul suo
orto d’estate che neppure da morto
ha lasciato
*
sbatti il corpo
contro la porta
spalanchi un porto
in posizione
fetale
contro la porta
spalanchi un porto
in posizione
fetale
accendi tutte le torce del lutto
spingi le orme della notte
quasi fino alla morte
poi torni
spingi le orme della notte
quasi fino alla morte
poi torni
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