Claudia Piccinno, La nota irriverente, Edizioni Il Cuscino di Stelle 2019, in copertina “Pensieri trattenuti” di Florisa Sciannamea
recensione di AR
Il libro si apre con una poesia-dedica A Lowrence Ferlinghetti in cui troviamo queso distico: “Peace and resurrection / have always been your action”. Ci viene dunque già fornita una chiave di lettura per immergerci in queste poesie cariche di vita, con i suoi tradimenti ed i suoi lutti, la sua bellezza sempre inficiata dal male e dai limiti umani, una umanità che però ha sempre in sé il desiderio di un Oltre, di resurrezione, di pace (la poesia si conculde con le preghiere di Claudia per Lowrence che voleranno sulle ali della colomba, “My prayers for you / (…) / … will fly on the dove wings”).
Sia l’Introduzione di Nazario Pardini (“Questa è la poetica della Piccinno; (…) sì vita in tutta la sua complessità ecfrastico-esistenziale; in tutta la sua splenetica consistenza vicissitudinale”, p. 8), sia la Prefazione di Ester Cecere (“Il canto poetico è liberatorio, catartico, energetico; è balsamo che lenisce le ferite dell’anima; è vento che rinfocola un fuoco morente”, p. 14), sia la Postfazione di Ignazio Gaudiosi (“Vive e pare che pensoso vaghi nella mente e in ogni atteggiamento di questa poetessa (…) un senso fascinoso del mistero e del grandioso, qualcosa che sovrasta e che governa e attornia l’esistenza degli umani e induce lo spirito cosciente a meditare”, p. 67), notano questa proiezione nel trascendente, in un Senso più alto che ora, come scrive l’Apostolo, possiamo intravedere in modo imperfetto, ma che possiamo esistenzalmente attingere quando amiamo sincermente, anche al di là di ogni calcolo razionale: “Nessun’altra sostanza mi resta / se non l’amore dato e ricevuto. / (…) / nessuna epigrafe ci svela il segreto / di quanto coraggio ci impone la vita” (Il solo antidoto, p. 61).
C’è autentica forza poetica in questa raccolta che scava nel profondo, che riconosce come si debba fare i conti con “la forza creatrice dei buchi neri, / al vortice di gemiti viscerali / che tra la plastica di medaglie e trofei / risveglia un dolore rilucente / pieno di niente” (Un dolore pieno di niente, p. 58); come sia importante avere un nome (cioè una dignità, una vocazione, una responsabilità) per ritrovarsi e esserci, in questo mondo (“Chiamami per nome / sarò io stessa a fornirti l’ago, / quello che ha fatto / del mio tempo un colabrodo / potrà muovere punti di sutura / dentro di te”, Esplicito silenzio, p. 49); come sia necessaria l’attenzione alle piccole cose, a quanto ci è vicino e che spesso trascuriamo (“Quello che insegui sopra le nuvole / potrebbe essere a un passo da te”, In ogni perdita di quota, p. 37); come sia importante avere uno sguardo “simbolico” che ricomponga i frammenti e veda quanto sta sotto e oltre (“A novembre si parla coi defunti / (…) / e l’upupa ride sommessa. / Lei sa che cerco invano / voci e volti tra le zolle, / il suo verso mi dice / di cercare altrove. / Nella mia memoria, / nel mio solito incedere, / nei pensieri dispersi, / ho rivisto i miei cari”, A novembre, pp. 32-33).
Bellissima anche la seguente ossimorica definizione della nostra esistenza, così fragile e al contempo preziosa, così minima eppure dal respiro universale: “(…) / e s’acquieta il desiderio / di varcare latitudini lontane. / In fondo siamo miseri corpi / del creato, / per vivere ci basta una scintilla” (Le cromie nel reticolo, p. 24).
Un libro che ci cala dentro e ci scuote, ci mette a nudo con le nostre contraddizioni e i nostri limiti, ma ci aiuta a coltivare sempre la speranza magari con un pizzico di ironia (bruciante eppure “fiduciosa” in un bene più grande): “Nessun teorema avrebbe confutato / l’ipotesi di te che avevo amato. / (…) / Resta di quei giorni / una discarica di promesse, / differenziata raccolta di parole, / vuoti a perdere senza rimborso”, L’ipotesi di te, poesia che apre la raccolta a p. 21).
PS I versi che abbiamo posto a titolo di questa recensione sono tratti dalla stupenda poesia Amami Dio, un vero e prorpio salmo.
recensione di AR
Il libro si apre con una poesia-dedica A Lowrence Ferlinghetti in cui troviamo queso distico: “Peace and resurrection / have always been your action”. Ci viene dunque già fornita una chiave di lettura per immergerci in queste poesie cariche di vita, con i suoi tradimenti ed i suoi lutti, la sua bellezza sempre inficiata dal male e dai limiti umani, una umanità che però ha sempre in sé il desiderio di un Oltre, di resurrezione, di pace (la poesia si conculde con le preghiere di Claudia per Lowrence che voleranno sulle ali della colomba, “My prayers for you / (…) / … will fly on the dove wings”).
Sia l’Introduzione di Nazario Pardini (“Questa è la poetica della Piccinno; (…) sì vita in tutta la sua complessità ecfrastico-esistenziale; in tutta la sua splenetica consistenza vicissitudinale”, p. 8), sia la Prefazione di Ester Cecere (“Il canto poetico è liberatorio, catartico, energetico; è balsamo che lenisce le ferite dell’anima; è vento che rinfocola un fuoco morente”, p. 14), sia la Postfazione di Ignazio Gaudiosi (“Vive e pare che pensoso vaghi nella mente e in ogni atteggiamento di questa poetessa (…) un senso fascinoso del mistero e del grandioso, qualcosa che sovrasta e che governa e attornia l’esistenza degli umani e induce lo spirito cosciente a meditare”, p. 67), notano questa proiezione nel trascendente, in un Senso più alto che ora, come scrive l’Apostolo, possiamo intravedere in modo imperfetto, ma che possiamo esistenzalmente attingere quando amiamo sincermente, anche al di là di ogni calcolo razionale: “Nessun’altra sostanza mi resta / se non l’amore dato e ricevuto. / (…) / nessuna epigrafe ci svela il segreto / di quanto coraggio ci impone la vita” (Il solo antidoto, p. 61).
C’è autentica forza poetica in questa raccolta che scava nel profondo, che riconosce come si debba fare i conti con “la forza creatrice dei buchi neri, / al vortice di gemiti viscerali / che tra la plastica di medaglie e trofei / risveglia un dolore rilucente / pieno di niente” (Un dolore pieno di niente, p. 58); come sia importante avere un nome (cioè una dignità, una vocazione, una responsabilità) per ritrovarsi e esserci, in questo mondo (“Chiamami per nome / sarò io stessa a fornirti l’ago, / quello che ha fatto / del mio tempo un colabrodo / potrà muovere punti di sutura / dentro di te”, Esplicito silenzio, p. 49); come sia necessaria l’attenzione alle piccole cose, a quanto ci è vicino e che spesso trascuriamo (“Quello che insegui sopra le nuvole / potrebbe essere a un passo da te”, In ogni perdita di quota, p. 37); come sia importante avere uno sguardo “simbolico” che ricomponga i frammenti e veda quanto sta sotto e oltre (“A novembre si parla coi defunti / (…) / e l’upupa ride sommessa. / Lei sa che cerco invano / voci e volti tra le zolle, / il suo verso mi dice / di cercare altrove. / Nella mia memoria, / nel mio solito incedere, / nei pensieri dispersi, / ho rivisto i miei cari”, A novembre, pp. 32-33).
Bellissima anche la seguente ossimorica definizione della nostra esistenza, così fragile e al contempo preziosa, così minima eppure dal respiro universale: “(…) / e s’acquieta il desiderio / di varcare latitudini lontane. / In fondo siamo miseri corpi / del creato, / per vivere ci basta una scintilla” (Le cromie nel reticolo, p. 24).
Un libro che ci cala dentro e ci scuote, ci mette a nudo con le nostre contraddizioni e i nostri limiti, ma ci aiuta a coltivare sempre la speranza magari con un pizzico di ironia (bruciante eppure “fiduciosa” in un bene più grande): “Nessun teorema avrebbe confutato / l’ipotesi di te che avevo amato. / (…) / Resta di quei giorni / una discarica di promesse, / differenziata raccolta di parole, / vuoti a perdere senza rimborso”, L’ipotesi di te, poesia che apre la raccolta a p. 21).
PS I versi che abbiamo posto a titolo di questa recensione sono tratti dalla stupenda poesia Amami Dio, un vero e prorpio salmo.
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