venerdì 7 giugno 2019

“… ortiche / infiltrate tra le sillabe dell’asfalto”

Valerio Cruciani, BOX(E). La scatola dei pugni, Ensemble 2019

recensione di AR



Le poesie di questa raccolta – composta dalle sezioni “Traslochi”, “Roma”, “Tensioni”, “Lavoro e preghiera” e “Appendice” –  lottano con il quotidiano in cui abbiamo a che fare con porte chiuse, muri invalicabili, incontri/sfogo passeggeri, “tegole” da elaborare, pugni che giungono inattesi, risorse economiche precarie ed evanescenti… ma anche relazioni belle, desiderio di un futuro migliore per un figlio inesistente (ma che in fondo si vorrebbe accarezzare, v. la bellissima e commovente poesia Calo demografico), voglia di una società fatta di persone che sappiano comunicare, ascoltare, andare oltre la falsa quiete dell’indifferenza, cittadini in grado di creare ponti e saltare fossati, magari con uno scatto di ironia (“Io stavo al funzionario / come un sasso sta alla scarpa.”, L’eroico statale, p. 45). Una quotidianità che può anche spingerci ad affidarci a una preghiera, pur nel proprio agnosticismo: “Mi siedo nell’anonimato / di una parrocchia qualsiasi / e parlo senza labbra. / Ammetto che il mio agnosticismo / non sarà capace di tornare alla fede. / E chiedo comunque aiuto.” (Chi parla?, p. 54).
Valerio non teme di mettersi a nudo, non si fa illusioni sulla capacità della poesia di cambiare le cose, afferma: “La mia parola è vana, cade nel vuoto, / ritorna all’inesistenza.” (p. 56, verso la fine di Calo demografico). Eppure crede in fondo che ci sia una forza nelle parole poetiche in grado di rompere l’asfalto (v. la citazione da Monteverde, p. 27, che abbiamo scelto come titolo di questa recensione), di andare anche oltre il tempo (“La poesia siete voi / che ascoltate o leggete / Da millenni / La poesia è la negazione dei millenni”, Dichiarazione, p. 71); di moltiplicarci e diffonderci (“A stare dentro di me non riesco, / mi scappa la vita da tutte le parti / ed esco dal mio corpo e mi moltiplico, / e sono qua e all’improvviso sono là / giro lo sguardo e altri due me / sono a nord e a sud”, Maggio, p. 37). 
Valerio sa che “La poesia respira / nell’immensità della clausura.” (Spostarsi, p.11), e può librarsi persino “nelle pareti semplici / di cemento e acciaio” di un’anonima chiesa non-luogo, box di “Una religione /affievolita, / nelle voci di quattro signore devote, / vedove o madri di disoccupati, / canti registrati e altari vuoti.” (Romanico contemporaneo, p. 43).
Una silloge intensa, onesta, da assaporare. 
Per ascoltare la voce/pensiero dell’autore:
podcast/violante-poesia-e-dintorni

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