Mi fido del mare, poesie di Carla De Angelis. Lettura critica
recensione di Marco Onofrio pubbicata in
Le 92 poesie che Carla De Angelis ha raccolto in Mi fido del mare
(Fara Editore, 2017, pp. 112, Euro 10) mi sembrano emblematiche del suo
modo caratteristico di scrivere, nella misura in cui accordano
felicemente – con una naturalezza immune da ogni indebita forzatura – la
profondità dei contenuti alla semplicità sempre umile e accessibile
dell’espressione. Ed è una semplicità che, chiaramente, va ascritta a
pregio in quanto mai facile, bensì focalizzata sulla ricchezza
originaria delle cose elementari, quelle dove è possibile riconoscere
l’essenza. Ci sono alcune note di poetica che la stessa De Angelis
antepone al libro, sotto forma di “Introduzione”, parlando della
scrittura come di una “scansione su luoghi, persone ed emozioni”, cioè
una rivisitazione del vissuto dove testa e cuore, ovvero ragione e
sentimento, cooperano in un processo creativo di comprensione (“scrivere
per capirmi e conoscere il perché dell’esistenza e che cosa è quella
voce intima che chiamiamo coscienza”) e chiarificazione (“scrivere in
modo trasparente”). Scrivere poesia, dunque, è “distillare parole capaci
/ di camminare tra il bene e il male”. Attenzione al verbo rivelatore distillare:
indice di densità e intensità. Per ogni parola scritta – cioè
faticosamente selezionata fra le tante che anelavano alla pagina – ce ne
sono altre che tremano nel sottotesto. Carla De Angelis ha uno
stile che, ribadisco, si presenta amichevole e assolutamente non
pretenzioso ma che, visto dal “dietro le quinte” del suo laboratorio,
risulta addirittura ellittico: le parole sono soltanto la terra
emersa di continenti profondi che smottano dal basso e dall’alto,
pavimento e soffitto della stanza poetica, liberando il riverbero di
parole “altre” e invisibili. Le parole scritte sono frammenti della
“musica / che vive nella mente”, lacerti imperfetti di un discorso
assoluto e inafferrabile. Come ciò che resta, da svegli, di un sogno
bellissimo. C’è infatti una grande distanza tra il pensiero e la parola,
tra l’infinito che sentiamo e quanto riusciamo a dirne; per cui “le mie
parole” scrive Carla De Angelis “sono come le pulci / quando sto per
scriverle saltano via”. Esperienza ben nota a chiunque scriva o, in
genere, faccia arte.
La fascia
percepibile del “detto” nasce da una dinamica osmotica fra le due
strade: “una andava alla testa / l’altra al cuore”. La parola-chiave è emozione: “accogliere le emozioni” istantanee, legate al lampo di un attimo:
Siedo sul bordo di un riflesso con gli occhi
chiusi …
E attraverso
le emozioni ritrovarsi a contatto con la filigrana dello spessore
umano: “speranze e migliaia di bugie / suoni, gesti e sorrisi”:
porto sulle spalle
quel milione di cose come pegno della vita …
Ecco la
stoffa ruvida e morbida dell’esistenza, pelo e contropelo. E quindi le
voci “dentro e fuori”, i “ricordi” e i “rimorsi” che pungono “nel buio”,
le “memorie incancellabili” che restano sui volti “in quella zona dove
precipita il dolore”. E ancora: l’intreccio dei pensieri con le cose, ad
esempio la vita raccontata dai vestiti nell’armadio, i ricordi che
ciascuno di essi può sprigionare. E insomma, la possibilità e la
capacità di “appoggiare lo sguardo / alla finestra dei sentimenti”.
Affacciarsi dunque a quella finestra per conoscere e conoscersi meglio,
provando a censire le “mappe” di una realtà sempre più complessa e
sfuggente, in una dialettica continua tra ali e radici, avventura e
abitudine, imperativi opposti e complementari del “vai” e del “resta”.
Cerco il posto che mi spetta nel cerchio …
Ma la realtà
effettiva dell’esistenza è fatta soprattutto di fatica inesausta (“Come
può riposare il corpo / devastato dalle cose del mondo?”) e di dolore
immedicabile, “così intimo / così grande”, di sofferenza che rende
“insopportabile / anche il respiro”. La poesia nasce dalla capacità di
raccogliere il dolore ma anche di oltrepassarlo, impastando “una danza
con l’arcobaleno” mentre infuria la bufera “nel mezzo di una battaglia
di fulmini”.
Eppure amo questa vita che fa di me una
persona …
L’importanza
cruciale di quell’“eppure”! Occorre però avere uno sguardo libero e
limpido, impregiudicato, sintonizzato sulla meraviglia di esistere, sul
“miracolo di stare al mondo”. Uno sguardo allergico al fatuo potere
degli uomini e attratto invece dalla potenza sorgiva che vibra
in ogni essere, creatura o cosa, senza distinzioni o classifiche
preconcette, per cui la perla potrebbe baluginare all’improvviso anche
“tra le immondizie”, tanto più che Carla De Angelis scrive:
Cerco cose brutte da amare …
Uno sguardo
vivo e “attento a non perdere un solo tic-tac”, il “ritmo di ogni
sfumatura”; vicino perciò al dettaglio rivelatore, le visioni minime e
interstiziali che stillano dai varchi energetici, i “vasi comunicanti”
dove il microcosmo comunica con il macrocosmo dentro lo stesso cerchio
evolutivo. Ecco ad esempio il percorso spirituale, per così dire, di una
goccia nel disegno del mondo:
Una goccia continua a volare
cerca tanti capelli per poter brillare
o una testa calva per primeggiare
vola libera nel vento
nel sole che ridisegna il suo profilo
poi vola via per non farsi asciugare
sente il verso della vita
ricomporsi ad ogni soffio
cerca il mare …
Una goccia
in cerca del mare è come la parola quando è tesa al silenzio della sua
grande Origine, in una nostalgia sublime che la tiene dall’interno e la
spinge ininterrottamente sulla cresta di un ritmo fluido, liquido e
organico, “necessario” e, per così dire, bisognoso di nient’altro, da
cui la quasi totale assenza – in queste poesie – della punteggiatura
(compresi i punti fermi dopo gli ultimi versi, come a dire che la
scrittura non vuole e non può “chiudere” perché ciò significherebbe
perdere contatto con la Vita). La scrittura sa mantenersi “aperta” anche
perché è così sensibile da captare i segreti più nascosti, il lievito
invisibile che muove il divenire, il suono misterioso della realtà: ad
esempio la “richiesta intima e infinita” che si ascolta dalla terra, fra
le pieghe del tempo, mentre si cammina. Tanto da leggere: “un atomo di
pensiero scompiglia i capelli”. Come se il pensiero fosse vento, e
quindi il vento fosse a sua volta un pensiero che il mondo pensa… L’aria
stessa, forse, è pensiero? Anche le foglie parlano quando l’aria
palpitando le attraversa… Tutto è vivo, vibra di energia e
incessantemente comunica la sua esistenza. La goccia in viaggio – lo
abbiamo ascoltato – “sente il verso della vita / ricomporsi ad ogni
soffio”. Dunque la vita stessa è poesia, e il poeta – nel momento della
sua massima accensione – deve limitarsi ad accogliere i doni spontanei
dell’essere, leggendo lo spartito che scrive la musica del mondo. Ci
sono attimi miracolosi in cui le alchimie dell’anima rendono visibile
“l’angelo che dorme sul fiore”: lo sguardo assetato di bellezza, che
cerca “l’oro luccicante nel mare”, viene ripagato dalla Vita, e dunque
sommerso dai colori che spargono semi di gioia e rendono “lucenti” le
stanze dell’abitudine. Sono offerte da cui è impossibile non essere
rapiti:
Posso evitare le faville?
Ognuna mi rivolge uno sguardo diverso
ognuna pretende di essere tutto …
La “terra è
terra”, l’“originale” abita “in ogni granello”, cioè: la scintilla della
verità scocca dentro l’insorgenza di ogni stelo. Ecco l’importanza
preziosa delle “piccole cose” che generano grandi frutti: “La cura
dell’orto inizia dalle piccole cose”. Questo è un libro pieno di acque
in movimento, ma anche di concreta e corposa terrestrità: i solchi, il
seme, le radici, l’odore buono dell’esistenza. La poesia è il “disegno
di una serra” dove proteggere la creazione dalla furia degli elementi e
dalla spietata oscurità del caos. Il nostro passaggio è “precario”,
siamo in bilico tra essere e non essere, i nostri contorni sfumano nel
vuoto ed è dannatamente “fragile” il legame che ci tiene attaccati al
soffio della vita. Ma questa fragilità è anche forza:
Mentre il tempo cedeva il passo
nel giardino fiorivano
ragnatele di filo resistenti al vento
fragili ai ricordi …
La poesia di
Carla De Angelis nasce dall’articolazione continua e ostinata di un
principio-speranza con cui consacrare l’“allegria di vivere” (in senso
ungarettiano). E quindi scrive: “intreccio reti”, “invento un brindisi”,
“raccolgo i sassi e innalzo un tempio”, “rapino la speranza a un chicco
maturo”, etc. Non possiamo far altro che resistere e non smettere mai
di immaginare il meglio, a dispetto di ogni avversità:
(cerco una lama di sole
là dove tutte le porte
sono chiuse) …
Accade che
un’“orma” chiuda “l’uscio”, cioè l’entrata del formicaio, e allora “le
formiche impazzite / tentano un destino nuovo” come noi quando un
impedimento ci blocca il cammino. E tuttavia
si apriranno nuove strade
insieme ai sogni e al coraggio
di lasciarsi andare …
La poesia è
un esorcismo della morte (“A lei regalo diamanti e perle / la invito a
danzare lontano”) e pronuncia la “richiesta lecita” di essere protetti e
preservati dal male, dalla tragedia che silenziosa incombe dietro ogni
attimo. Ecco ad esempio due significative preghiere-invocazioni:
Non tuonare
lascia stare i fulmini
è già tanto tortuosa questa strada …
E ancora:
Perché non ci riguardi?
Perché lasci l’umanità in guerra
e tanti bambini
schiacciati tra le pagine del mondo! …
A chi si sta
rivolgendo? Dio? La Storia? Il Tempo? L’Eternità? La Vita stessa?
Inutile specificarlo, e forse anche chiederlo: è la voce infinita della persona umana
di ogni luogo e tempo a incarnare la potenza evocativa di certe parole e
di certe domande. Ma anche di certe inestinguibili speranze:
Eppure
Ci sarà un’alba dove i mali fuggiranno
come farfalle a un sole troppo caldo
Ci sarà ci sarà …
E si noti la
valenza asseveratrice del verbo ripetuto, che trasforma la fiammella
della speranza in luce sicura di fede e in dono già idealmente
conquistato. La poesia stessa si propone come cura e “sollievo della
parola” utile ad “accordare il suono al respiro” per “ricucire tutti gli
strappi” di un mondo cinico e disincantato che ha spento la stella
della pietas negli occhi degli uomini e ha trasformato il
Natale in “una fila interminabile di auto e persone” che corrono a
“comprare”. Dobbiamo uscire dall’anestesia che ci imprigiona nella
connessione artificiale di una realtà che Carla De Angelis descrive
perfettamente con queste parole:
Manca il tatto l’olfatto e il gusto dell’abbraccio
tutti col carrello al supermercato
in fila sull’autostrada
il cellulare tra le mani
(…)
Intanto
l’amore si smarrisce ad ogni clic
ignorando la tenerezza …
La poesia,
invece, è capace di cose magiche: fa vedere i colori ai ciechi, apre la
coscienza al mistero di esserci (“Ad ogni giorno che muore / affido una
parola che squilla / che strilla: perché qui adesso?”), rende visibili e
percepibili le catene che ci legano (e quando le avvertiamo “restiamo
increduli”) e, così facendo, ci spinge a scegliere di “essere / liberi”.
Che la poesia, però, sgorghi con la naturalezza organica di chi impasta
acqua e farina: che le mani del poeta siano “invischiate nella creta”
da plasmare e trasformare “per miracolo” in arte. Niente artificiosità
fredda, niente intelletto, niente giochi fatui… ma Vita, Vita e
obbedienza dolce al suo richiamo. Qui si giunge al grumo centrale che il
suggestivo titolo racchiude. Non sappiamo quanto ci resta da vivere, e
allora – forse – un modo di essere felici è smettere di fare resistenza e
abbandonarsi alla pienezza del presente.
Il tempo è prezioso e finito
è meglio nuotarci dentro
come fosse mare …
Per nuotare
occorre fidarsi del mare: chi resta rigido e si oppone alla sua forza,
rischia di esserne inghiottito. “Mi fido del mare” è dunque la cifra di
un modo più saggio e maturo di essere nel mondo. Gli stessi versi,
quando sono come quelli di questo libro, vengono dal mare-oceano della
Vita in cui cercano un approdo. Affidarsi “con gioia alla parola”
implica la saggezza di farsi spiaggia dove permettere all’onda di
scrosciare: offrire al pensiero una pista di atterraggio, una mèta alla
ricerca senza fine. L’opzione del futuro si articola dunque attraverso
la capacità di essere rivoluzionari nella divina normalità della natura,
che l’uomo ha presuntuosamente disimparato e sta sciaguratamente
distruggendo. Anche in questa capacità di resa e di serena accettazione
delle cose c’è – oltre la voce legittima del dissenso – la misteriosa e
imprevedibile grandezza che ci fa emergere dalle miserie, come angeli
sulle nebbie dell’oscurità. Ed è, fra l’altro, uno dei motivi
fondamentali per cui esiste al mondo la poesia: renderci più umani di
quanto siamo e possiamo, malgrado tutto.
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