Su Dopo l’inverno e altre poesie di Vincenzo D’Alessio, Fara Editore 2017
recensione di Marzia Biondi
Premetto che quanto sto per scrivere non vuole esser un giudizio né una critica, ma semplicemente l’espressione di alcune risonanze sorte alla lettura di tale libro.
A mio parere si tratta di una raccolta poetica nella quale la parola assapora il dolore, la disperazione, divenendo in alcuni scritti grido acuto, lacerato dal tempo tiranno che ha tradito il progetto di vita di un amore, e anche quello della vita stessa.
La speranza appare, a volte silente, a tratti più nitida e dichiarata, come uno spiraglio di luce al quale rivolgere il proprio grido d’amore. I baci non più donati sono un fardello pesante dal quale la leggerezza è difficile da trovare per continuare a caricarlo nel cuore.
Alcune poesie sono particolarmente intense, la parola è resa potente dalla brevità dei versi, intrisa di luce “aurorale”, quella attesa sugli scogli, il mare e le sue onde quali metafore della vita e dell’andirivieni della speranza.
Il continuo riflettere sul dolore anche quando esso pare giochi a “nascondino”, ma non per giocare con esso, ma per poter meglio difendersene, è difficile da allontanare, pag. 34: Dove si nasconde il vento / quando tace // dove il dolore / quando dorme // dove la guerra / quando diciamo pace.
Il richiamo alla pace e al tentativo di ritrovarla pronunciandola, compare dal profondo del cuore, dalle fibre stanche ma ancora pulsanti al ricordo di lei, di alcuni momenti ora interminabili e compagni di ogni giorno.
L’animo sensibile, nonostante gli schiaffi avuti da momenti crudeli, non può fare a meno della natura e degli animali per ritrovarsi e chiedere aiuto affinché la voce ora non più umanamente udibile possa comunque giungere al cuore in cielo, pag. 35: Sai, non dormo / nei secondi luce / aprono la fronte / alla parola onda / che seduce la vita. // L’aferesi del dilemma / uccide le grida / del pettirosso innocente. // Sai, non dormo / non posso volare / ti prego, manda quei telegrammi / che mi fanno sognare.
Tale bellissima poesia è anche un dialogo con un “Tu” importante e non credo sia rivolto solo a qualcuno di umano venuto a mancare precocemente; piuttosto si tratta di un’invocazione, una richiesta di aiuto divino.
I secondi luce richiamati nel testo insieme alla parola onda sono l’immagine del momento nel quale si ha un barlume di speranza e di lucidità del perché delle cose, del dolore, del fatto accaduto, del dilemma. Anche il pettirosso è la metafora di un giovane con la vita addosso piena di voglia di volare di sbattere le ali insieme a quelle della vita ancora da scoprire. Un volo purtroppo tarpato nelle sue ali.
L’invocazione rivolta a qualcuno che già sta volando alto a supplica di ristoro dall’angoscia che tormenta di giorno e di notte, ma anche il desiderio di un sogno come luce che possa essere lanterna del giorno per ritrovarlo.
Il silenzio è un altro compagno prezioso ed importante in tutto il testo:
Pag. 32: Un passo / dal suono al silenzio / non più dolore alla mente.
Pag. 40: Impazziti correranno / gli occhi nel silenzio / dei faggi sul letto / delle stagioni che foglie / raccontano alla terra / un mondo nuovo respira / si rinnova alle soglie dell’eterno.
Pag 42: La notte viaggia / insieme alle stelle / divora l’infinito silenzio / il respiro del tempo
La forza della parola viene espressa anche dai diversi modi di creare immagini tramite l’uso del lemma “silenzio”.
Nel testo di pag. 32: il silenzio è fratello del tempo, dell’attimo nel quale il dolore pare tacere e la mente essere entrata nel silenzio.
In quello di pag. 40 il silenzio è l’ombra della natura veduta e vissuta sdraiati in un letto di sofferenza; il tempo è di nuovo presente nelle stagioni, una sorta di metafora con quanto accade nella vita, fino a giungere a vita nuova con il mondo dell’eterno.
Infine a pag. 42 il silenzio è di nuovo compagno del tempo, ma di un tempo vivo che respira donando voce alla notte, voce contenuta nel silenzio.
Il silenzio, il tempo, la notte, la natura, il respiro: nel silenzio si trova la voce più alta che ci parla nel tempo di vita ed in quello della morte, spesso la notte della vita, la notte in compagnia delle stelle, mai sola. La natura della quale le stelle fanno parte ci è amica, dono per non esser soli, alla quale invocare i nostri sogni, i nostri respiri per tornare a vita nuova, dono divino.
Un anticipo della diversa scrittura poetica e della metamorfosi intercorsa durante il tempo della stesura del testo si ha già con la poesia a pag. 38:
Ho con me un bel portafortuna / il tuo sorriso a spicchi / come agrumi intrisi di sole. // Ho con me la pace / che risale nelle mani // profuma di gioventù / inonda meravigliosa.
Il ripetere Ho con me rafforza l’avere dentro di sé incastonato qualcosa che nulla e niente possono più portare via, una grande forza.
Ho con me un bel porta fortuna… Ho con me la pace sono due affermazioni forti e ossimoriche rispetto ai testi precedenti.
La mancanza di punteggiatura, i versi brevi, scarni di aggettivi, l’uso del verbo avere, la metafora della similitudine, rendono il testo molto intenso.
Se si togliessero gli ultimi due versi la poesia sarebbe già ricca di pienezza e il senso e significato sarebbero già trasmessi.
Nella seconda parte, a proposito di essenzialità della parola, direi luzianamente parlando, prendo ad esempio il testo Felicità di pag. 56
Felicità: / figli, lavoro. / Un sorriso. / Dolore di vivere.
La vita umana riassunta in otto parole.
Bellissima l’associazione ossimorica del dolore di vivere col significato di felicità: di fatto mi pare molto concreta e coerente con quanto accade nella realtà delle cose, a volte quale necessità per rendersi conto della bellezza della vita!
È un testo molto bello e sono felice di avere avuto l’esperienza di leggerlo. Grazie.
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