venerdì 11 agosto 2017

“Non ho (perché non c'è) nessun riparo

Luigi Socci, Il rovescio del dolore, italic pequod 2014, pp. 144, € 10,00

recensione di AR



Questa raccolta si apre con due eserghi di cui mi piace citare quello  firmato Sherlock Holmes: Tolto tutto l'impossibile, quello che rimane, anche se improbabile, è la  verità. 
In effetti la poetica di Luigi Socci ha la caratteristica di radiografare la verità e di proporla con arguta e spiazzante ironia in primis a sé stesso e poi ai lettori che vorranno dargli ascolto (e non rimarranno certo delusi): “Le reliquie venerabili di un pollo / incollate da giorni al proprio piatto. / (…) / Ronzano mosche di questi tempi / fuori dalla stagione delle mosche / in orbite piene di contrattempi. / (…) / Oggi non so le cose importanti / ma tutte le altre a memoria.” (Immobiliario, p. 7); “Se la febbre persiste / per più di tre giorni / oppure se i sintomi / ne compaiono altri / (…) / o emorragia all'aroma di fragola” (p. 15); “la lingua arrotolata come un vecchio / tappeto e messa da un lato.” (p. 22); “Era evidente che il posto era sbagliato / col cane che non solo / non riconosce ma persino / staccare dal polpaccio è complicato.” (p. 23); “Il vento aspira l'aria, non la soffia / e lascia i corpi sparsi sottovuoto.” (Certi rovesci, p. 27).
Come già risulta manifesto da queste sporadiche citazioni, la poesia di Socci è tragigiocosa, puntuta e frizzante: “Ho eraso con la bic / il nome (il tuo) / dall'agendina (mia) degli indirizzi” (p. 29); Porgo l'orecchio al suolo / non per ficcare il naso / nei tuoi privati cazzi qua di sotto / ma perché si raffreddi / a quel contatto / perché si geli e caschi / in moti pezzi.” (Dura a morire, p. 35); “Non cerco l'ironia, trovo il ridicolo.” (0.8 della sezione “Strada Maggiore n. 0”, p. 57); “È tempo di succhiare / il sangue alle zanzare” (S. Lorenzo (notte di), p. 63); Santa Teresa d'Avila trafitta da una freccia / un po' ne vuole ancora / non vuole sopportare che si smetta.” (p. 109).
Anche il paesaggio, le parti e le sensazioni del corpo, gli oggetti, le opere d'arte, gli animali… vengono riproposti dal poeta anconetano caricati di verve, come fossero il corrispettivo più reale delle sue tensioni/passioni/ricordi e anche rabbie: “Certe sabbiosità di certe coste / danno una sensazione come di asciugamento. / Si aprono saltuariamente, in una / parentesi di pietra. / È il caso del Conero / trauma dell'Adriatico.” (Insabbiamenti, p. 65); “Nei libri ricurvi di sole / s'insinua anche la sabbia / l'arsura segnalibro.” (ivi, p. 66); “Mi lascio questi occhi che ho / per vedere le ombre all'orizzonte, / dietro una lente rimpicciolente, / di molta gente.” (Dallo spioncino, p. 79); “Mi scrivo una tua lettera / finché dura la mano / finché mi regge il pugno, finché stringe / finché so l'italiano. / Come consolazione o per rivalsa / mi scrivo una tua lettera / falsa.” (Di proprio pugno, p. 87); “La lana in casa / sotto ai divani / segno che senza / calori umani / la polvere si annoda su sé stessa.” (p. 91); “Un gabbiano è sospeso / con il fardello inerte sul groppone / delle sue ali aperte.” (Penultima spiaggia, p. 92).
Socci ama la recitazione (è anche un abile performer dei suoi testi) e la sua modulazione dei versi mette spesso in scena dei piccoli drammi, eppure la sua performance sconfina sempre dal palco, perché avvolge subito lo spettatore/lettore ed espone delle verità (insomma l'attore-poeta si toglie la maschera e invita noi a fare altrettanto): “Prendi il mio ruolo è questo / posto da morto nato / rendilo vivo e vero / attore è l'anagramma di teatro.” (Verace, p. 89). 
Anche il poeta può correre il rischio di recitare una parte, ma questo Luigi lo sa benissimo: “Questa poesia non è / per te né per nessuno / non lascia alone / (…) / non si fa i fatti miei / ha tutte le carte in regola / è ochei.” (p. 94); “Chiaro che stiamo / parlando non di noi.” (p. 99); “Sarò il tuo specchio per guardarti dentro / culturista dell'occhio / agonista del muscolo / che goccia a goccia tira indietro il pianto.” (p. 120); “Non ho (perché non c'è) nessun riparo / dal refrigerio che soffia dal sipario” (p. 123). 
Ecco in quest'opera poetica la realtà irrompe in scena, in modo a volte buffonesco e giocoso a volte pudicamente e profondamente drammatico (l'ultima poesia è dedicata alla strage nel teatro moscovita Dubrovka). Da leggere anche la rivelatrice e illuminante Nota finale di Massimo Raffaeli.

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