mercoledì 21 dicembre 2016

Di assenza e silenzi


Voce d’autore in Fare Voci - dicembre 2016 (a cura di Giovanni Fierro

Angela Angiùli, “sto alla terra come tu alla luce”

di G.F.




Sai, è strano capire cose nuove al buio del dolore
 

È una questione delicata parlare della morte di una persona cara, ancor di più se il gesto di commiato, di uscita dalla vita, è un suicidio.
Per questo Storie di un tempo minore. Il mattino dopo il sabato di Angela Angiùli è un libro prezioso, perché lo sa fare usando la poesia, cercando sempre un continuo dialogo e confronto, con sé stessa, con il fratello che non c’è più, con la vita che tutto contiene e tutto condiziona.
Queste sono pagine che attraversano e incontrano il dolore, sono il luogo dove la spiritualità dalla forza cristiana dell’autrice è ulteriore sguardo e confronto.
Angela Angiùli non cerca nessuna facile consolazione, anzi, un dolore così acuto e inspiegabile diventa anche occasione di ricerca poetica.
Fra silenzi e assenza, fra parole necessarie e presenza che si fa confronto.
Viaggia con le api ora, la trasformazione staminale,/ perché siamo polline per fecondare/ farina per sporcarsi le mani./ Pane da impastare”.


http://www.faraeditore.it/html/filoversi/tempominore.html


Dal libro:

I suicidi sono animali interessanti
hanno il becco di un picchio
con cui rompere la scorza della vita
mangiano ossa spellate dalla consunzione quotidiana,
le bucce trovano gustose e pare che gettino il frutto.
Ma io so che hanno la vista lunga
più lunga del desiderio, loro lo sanno attraversare
tarlare il creato fino in fondo
perché il loro frutto non è più qui
ha allungato i rami nel giardino del Vicino.
E loro - lì - se lo vanno a prendere.


***


A Mino

Mio fratello è un tramonto di rose
a cui ha mangiato le spine
uno stormo di uccelli di cui ha preso la direzione
e vola vola e guida l’avanzata
delle stelle sul mare
che tanto ha amato fino a traboccare.
Voleva cavalcare le onde - lui - come un puledro,
ci è saltato sopra con un salto gentile
troppo alto per capire, è arrivato vicino alle Sirene,
ha avuto un bell’ardire.
Veleggia ancora lui dalla spiaggia,
ha mangiato la sua morte, ne ha trovato l’ormeggio
e il coraggio di dire - sì –
ad un mondo nuovo che albeggia.



***


Con l’ostinazione del verme
del tarlo nascosto nel vecchio delle soffitte
non smetto, non lascio, non cedo la presa,
le ganasce alla vita
marcisco, mi secco
tengo il piede diritto, confitto
la zappa alla terra, i calli sul cuore
non lascio la presa
mi annego riemergo
scavando anche il mare,
aro un campo di sabbia
semino il vento di notte
fecondo i sogni,
di giorno ammaestro le foglie
il nascere d’erba
e tutto va bene
e tutto ci sta
ogni cosa avrà un fine,
una cuccia di pane
il giorno arriverà
ti tengo la mano.
Forte è restare.


***

Intervista a Angela Angiùli:


Raccontare il dolore, con chiarezza e delicatezza, come si fa? da che cosa si inizia? 

Si inizia da un vissuto di dolore. La chiarezza è arrivata dal lavoro di scavo intrapreso attraverso la parola poetica che è sempre cosa precisa, un bisturi, una chiave. E poi dall'attitudine naturale che ho di rielaborare nei miei pensieri il vissuto quotidiano, attraverso un lavoro di messa in ordine del magma di informazioni che si incontrano in noi, mettendomi alla confluenza tra il mondo interno ed esterno. Inoltre per temperamento, amo le sfide, amo inoltrarmi dove ci vuole più ardore, coraggio, costi quel che costi.
Volevo parlare del dolore, del distacco, del lutto e farlo con tenerezza, lucidità e coraggio, senza nasconderlo, senza tappargli la bocca. Desideravo parlarne senza retorica. Nello stesso tempo, lo stesso dolore scottante che ci portiamo dentro necessita di umana delicatezza per non farci ancora del male, di qui una parola che sì, ha scavato nella direzione descrittiva di alcuni stati interiori, ma che si è fatta anche leggera, è scesa dentro e ha cercato di sollevare alla luce. Volevo illuminare quello di cui mai si parla, ciò che noi spesso nascondiamo, che non osiamo dire perché troppoe portare alla luce qualcosa ci dà sempre la possibilità di pacificarci, di riconoscerlo, affratellarci ad esso e non averne più paura.

In queste pagine c'è il pane, e il gesto dell'impastare, del mettere assieme, che torna molte volte nel libro; e non c'è un milligrammo di rabbia... cosa significa la presenza dell'uno, e l'assenza dell'altra?

Ammetto di avere sempre avuto un rapporto privilegiato con il pensiero della morte, non mi ha mai spaventata e non provo rabbia verso questo momento della vita. Non dico che questo mi risparmi dal dolore, dal soffrire cocente e urlante, dalle domande sull'assurdità di certe morti, dal peso del limite umano, eppure, quando diamo a tutte queste voci il diritto di esistere in noi, qualcosa si incontra e si pacifica, smette di collidere e urtarci. La morte, come il dolore, diventa un evento necessario, naturale, legato al nostro essere creature viventi in continua trasformazione, proprio come la creazione che ci circonda. Poi la mia formazione cristiana credo abbia aggiunto una particolare densità a molte immagini presenti nelle poesie, alcune di ispirazione esplicitamente evangelica. Credo che il Vangelo sia una grande scuola di umanità e di liberazione dall'angoscia di ciò che non possiamo controllare che ci sfugge. Ho imparato da questa scuola di umanità a mettere insieme agli altri il mio grido e a non sentirmi più sola, da mia nonna il gesto familiare dell'impastare, che è gesto di trasformazione di più componenti, di più solitudini per farne qualcosa di buono, di commestibile, qualcosa che crea convivialità, che sfami la vita. In fondo anche la morte di una persona crea convivialità se ci si pensa bene, la messa in comune dell'affetto di tanti, dei ricordi, di parole mai confessate prima per intero. Basti anche solo pensare a come i riti funebri nell'antichità fossero sempre accompagnati da gesti vitali quali il cibarsi, offrire il cibo sulle tombe dei defunti o ai presenti durante il funerale. Come dire: nell'uomo c'è un seme capace di generare sempre altra vita e altri frutti. Inesorabilmente.

La prima parte, pur essendo un cammino nell'assenza di una persona cara, è anche un'immersione nella vita, nella sua fragilità, nel suo essere abbraccio, nel suo essere fiore e frutto. Può essere questa una lettura possibile? 
Sì certo, il senso di vita possibile che trapela dal libro, quasi di forza irresistibile che ci trascina oltre la nostra momentanea cecità, piuttosto che di desolata rassegnazione, non è mai senza un cammino di convivenza e dialogo con la componente dell'assenza, del dubbio, dell'insofferenza. Non ci sarebbe né cammino, né crescita, né scoperta dell'altro nella sua alterità, né comprensione in noi di una realtà, come la morte, o peggio la morte cercata, come nel caso del suicidio di mio fratello, se non ci lasciassimo sconvolgere.
Ma è proprio da questo sconvolgimento, da una deflagrazione che ci fa a pezzi che possiamo rompere le nostre scorze, le nostre visioni unilaterali del mondo e aprirci a nuove visionarietà, all'inaspettato. Io trovo sia bellissimo lasciarci sorprendere dalla visionarietà che può nascere in noi, dallo sguardo diverso, più lungo, più profondo e comunicante, in noi e fuori di noi.

La seconda, invece, cerca un altro dialogo, un ascolto, un'altra presenza con cui parlare, poter dire. quanto è necessario tutto questo? 

La prima parte del libro l'ho intesa come un dialogo con l'evento morte e la sua deflagrazione in me, dialogo con tutte le sue componenti e dialogo d'amore con questo fratello diversamente vivente con cui cercare di interagire in forma nuova, con altri sensi. La seconda invece è un insieme di riflessioni intime sulla condizione creaturale di fragilità, sui processi che hanno attraversato la mia mente, il senso di inadeguatezza alla vita che ogni tanto ci coglie, le ossessioni, la solitudineSono dialoghi con me stessa, con le creature, la natura che si fa maestra di vita, in un crescendo di possibilità, di fili che si intrecciano e ci permettono la presa di piccole certezze di felicità, nonostante tutto Ho un destino di carezze/ finirò nel Bene lo so . Come indica chiaramente l'incipit dell'ultima poesia del libro.
Credo che questo continuo dialogo interiore espresso attraverso il linguaggio poetico, possa farsi voce comune, condivisa, possa far compagnia alle nostre mille voci interiori, aiutare a unificarci. Per questo la poesia non è solo voce di un uomo ma si fa voce di tutti, quando prova a percorrere sentieri dove la parola scava nell'umano.

E c'è anche una 'invocazione' al silenzio. Ma quale è questo silenzio cercato?

Il silenzio è la mia grande amicizia, lo frequentavo già da bambina. In realtà più che di silenzio bisognerebbe parlare di silenzi, al plurale, perché ogni silenzio ha una sua voce, una movenza diversa.
Dei silenzi, amo il fatto che ci aprono ad un sentire altro, più completo, totale dire. Il silenzio è, in realtà, solo una diversa maniera di comunicare e di ascoltare il mondo che ci circonda, ma anche la chiave per raggiungere le nostre voci più profonde. Uno strumento di conoscenza, imprescindibile se si vuole accedere alla parola, anzi, se si vuol "accendere" le parole che continuamente ci raggiungono nel vivere, ma che diventano sciatte, logore, senza spessore, quando rimangono accatastate le une alle altre nell'ammasso di informazioni e di chiacchiericcio da cui siamo investiti tutti i giorni. Per cui davvero, ritengo che il silenzio sia intimamente legato alla scrittura, all'uso della parola e alla scrittura poetica nel suo specifico, oltre che essere esigenza di igiene necessaria ad ogni essere umano.


L’autrice:
Angela Angiùli è nata in provincia di Bari nel '71. È laureata in lettere moderne ed ha seguito corsi di perfezionamento in didattica della scrittura e prevenzione del disagio adolescenziale. Vive da molti anni con la sua famiglia a Bolzano, dove insegna. Nel 2015 ha vinto il 2° posto al premio biennale di poesia religiosa “San Sabino” Torreglia (Padova).  I suoi componimenti sono presenti nell'antologia dell'Ottava Edizione del Premio “Parola e Mistero”, Proget Edizioni. Alcune sue poesie sono apparse nella raccolta di autori vari “Parole dell'anima” (ed. Appunti di Viaggio, 2015 Roma). Partecipa alla rivista poetica internazionale on-line Dichtkunst. È vincitrice della decima edizione del premio Mario Luzi 2015 nella sezione "Poesia nascente" con la raccolta inedita Storie di un tempo minore. Il mattino dopo il sabato. La Silloge Per il tuo amore non tacerò è tra le prime 10 opere vincitrici per il concorso "Pubblica con noi" Fara Edizioni 2016, ed è presente nella raccolta di autori vari La luminosità dell'ombra.

(Angela Angiùli, Storie di un tempo minore. Il mattino dopo il sabato, Fara 2016)
 

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