martedì 26 luglio 2016

“e gioco anch'io a rientrare nella pancia di questo mondo” (p. 25)

Su Le stanze inquiete di Lucianna Argentino, La Vita Felice 2016

recensione di AR


http://www.lavitafelice.it/scheda-libro/lucianna-argentino/le-stanze-inquiete-9788877997777-320806.html
Dico subito che questo è uno dei più veri e toccanti libri di poesia che mi sia “capitato” di leggere in questo nuovo millennio, anzi di gustare e assaporare, lasciando che i versi scendessero e nutrissero anche i luoghi di risonanza più umili e nascosti, che sono poi quelli che testimoniano la nostra umanità, suscitano le nostre più autentiche emozioni, rivelano le nostre ferite ed emanano la nostra luce.
I volti, le voci, i gesti, i comportamenti degli avventori ci scorrono davanti agli occhi come fossimo noi stessi dentro il “posto” di lavoro della cassiera/poetessa Lucianna. Ciascuna “storia” si imprime anche in noi, incide in qualche pulsante angolo del nostro cuore una traccia, magari minima ma persistente, un segno che ci terrà per sempre compagnia.

Quando l’attenzione è “realmente attesa a ciò che non esiste” (parole di Simone Weil citate in esergo) il cuore sa far spazio a ciò che manca, rinvigorisce la memoria: «Soli siamo ad imbastire nomi, verbi, aggettivi / per poter dire di quel luogo di maree dietro le parole, / come me, ancorata a un foglio tra i flutti di un silenzio visibile // dove è un andare e tornare – senza distanza. / Dove mi sgravo di versi scritti in piedi, / in fretta prima che sfuggano alla memoria stanca / che ormai sa solo i volti e dimentica i nomi. / Eppure ha fede, ha carità e continua a nominare, / ad annusare il vuoto, a dire meglio la speranza / e questa vita in paragrafi.» (p. 54).

Questa è una splendida dichiarazione di poetica e al contempo viva creazione di immagini, cascata di fotogrammi che ci propongono dei film paralleli, sovrapposti, ricchi di molteplici suggestioni ma con parole semplici, empatiche, direi affettuose. C’è una immedesimazione sincera e profonda di Lucianna Argentino nei confronti di chi si presenta alla sua cassa con il proprio carico di acquisti e (soprattutto) di vita in ogni pagina di questa raccolta. Solo alcune sporadiche citazioni: «Irene cammina sul suo dolore e sente il tempo / scricchiolarle tra i denti come sabbia.» (p. 55); «Se si potesse amplificare il battito / del cuore di ognuno si potrebbe ascoltare / la fragile esitante nudità dell’incerto.» (p. 58); «se ci sporgessimo oltre le nostre verità stanziali, / (…) / per accoglierci dentro quel provvido mistero / che fa della vita un cammino.» (p. 59); «Ma forse è il nascere a guastarci, / quel giungere – da dove? – quell’essere in fieri, / che fa di noi dei diventati.» (p. 60); «Eppure sapere chi si è / è il primo passo per adattarsi a ciò che non si è.» (p. 62); Mimì era un uomo con lo sguardo di fiume / (…) / e stava come mai uscito dalla nascita, / rannicchiato in una bolla di eterno. / (…) / … randagio senza randa / (…) / L’amore lo sapevi dall’assenza, / non di cosa stata e andata via, / ma come di avvento sempre rimandato» (p. 63)…

Quanta forza e quanta delicatezza sa esprimere la Nostra, impregnata di letture e di saggezza, ferita ma fiduciosa, occhio vigile e discreto, mano disponibile all’aiuto, volto che non dimentica il sorriso, anima provata ma capace di dilatarsi e accogliere e convertire «la ferita in cammino» (p. 81), di riconsegnare i volti «all’infanzia o a Dio, / così mi stanno dentro per amore e non per dovere.» (p. 16).

Se non si fosse ancora capito, credo che queste Stanze inquiete siano un’opera epocale, indicano con autorevole dolcezza un senso buono che tutti abbiamo e che tutti possiamo contribuire fraternamente a costruire, e di cui c’è assoluto bisogno in questa temperie confusa fra terrore e indifferenza, connessione continua e individualismo, latitanza delle classi priviligiate e sconvolgenti disuguaglianze: «… un senso buono potrebbe farci strada, / essere varco verso quel piegarsi pietoso, quel corpo genuflesso in noi / che non ha un nome e non si può invocare, / ma lo senti a perdifiato, lo tocchi dal rovescio.» (p. 22).

 

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