Amici
vi segnalo alcuni eventi
*Recensione di Adele Desideri a Lidia Sella, Eros, il dio lontano. Visioni sull’amore in Occidente (La Vita Felice, 2012). Infra
*Recensione di Adele Desideri a Ciro Vitiello, L'opera poetica, V. I (Guida, 2012). Infra
*Consigli di lettura:
**Ida Travi, Il mio nome è Inna, Moretti&Vitali, 2012
“Se con la sua precedente raccolta poetica, Tà. Poesie dello spiraglio e della neve (Moretti&Vitali, 2011), l’autrice ci ha ammonito sull’esistenza di sopravviventi un futuribile post, ne Il mio nome è Inna ci consegna la visione gravida e miracolosa di una resistenza consapevole e sorprendente, giacché “Siamo baciati dallo spirito del tempo/ ci bacia sulla testa lo spirito del tempo/ è così che ci pettina, ci inchina”.
(Dalla quarta di copertina, Nota critica di Alessandra Pigliaru)
*Margherita Rimi, Era farsi. Autoantologia 1974-2011, prefazione di Daniela Marcheschi, Marsilio, 2012
“In questi versi trentennali della Rimi, in un linguaggio poetico che colpisce con la sua agile semplicità e verità disarmante, per la prima volta risuonano non solo gli echi rassicuranti di ogni infanzia serena ma anche la voce dolente e inquietante dei bambini che hanno subito abusi (…) L’autrice guarda e vede il mondo dagli occhi stessi dei bambini, un mondo a volte feroce e cinico (…) Eppure dei bambini violati l’autrice sa cogliere anche tutta la purezza e l’innocenza (…)”.
(Dalla quarta di copertina, prefazione di Daniela Marcheschi).
*Dieter Schelak, Vivetta Valacca, La luce dell’anima. Zeit Los brennt dieses Licht hier, Edizioni ETS&ALLEO, 2011.
“Hierogamica, astrale ma insieme potentemente sensuale la parola-a-due di Dieter Schlesak e Vivetta Valacca è filo di una trama d’amore che intesse l’intreccio di due anime, nell’inesausto ordito dell’eros cosmico: éroti batheî, «d’abissale amore», per dirla con il frammento degli Oracula Chaldaica: amore come abisso di luce in cui le anime incontrandosi a due si incontrano con la quintessenza luminosa e numinosa del cosmo”.
(Dalla prefazione di Angelo Tonelli)
*Ugo Piscopo, Idilli napoletani. Il possibile che diventa impossibile. Guida,2012
Raccolta di brani scritti dall’autore tra il 2009 e il 2012 - “gridi in aperta piazza, sia pure composti ma perciò tanto più inquietanti, del napoletano male di vivere”.
(Dalla prefazione di Aldo Masullo, pag. 8)
“in fatto di libri, mi piace il libro materiale e concreto, fatto di carta che io posso toccare, girare, tenere a portata di mano, di matita, di pastello. Che mi dà riscontro alla mia esistenza qui e ora, che mi rassicura con sue parole, che io certamente posso interpretare in maniera continuamente nuova e varia, ma che sono scritte sempre con quel carattere con cui mi si è presentato alla lettura a cominciare dalla prima volta”.
(Da Crossing book e sue strozzature a Napoli, pag. 76).
Lieta con voi
Adele Desideri
Lidia Sella, Eros, il dio lontano. Visioni sull’amore in Occidente, La Vita Felice, 2012, pag. 92, euro 12
vi segnalo alcuni eventi
*Recensione di Adele Desideri a Lidia Sella, Eros, il dio lontano. Visioni sull’amore in Occidente (La Vita Felice, 2012). Infra
*Recensione di Adele Desideri a Ciro Vitiello, L'opera poetica, V. I (Guida, 2012). Infra
*Consigli di lettura:
**Ida Travi, Il mio nome è Inna, Moretti&Vitali, 2012
“Se con la sua precedente raccolta poetica, Tà. Poesie dello spiraglio e della neve (Moretti&Vitali, 2011), l’autrice ci ha ammonito sull’esistenza di sopravviventi un futuribile post, ne Il mio nome è Inna ci consegna la visione gravida e miracolosa di una resistenza consapevole e sorprendente, giacché “Siamo baciati dallo spirito del tempo/ ci bacia sulla testa lo spirito del tempo/ è così che ci pettina, ci inchina”.
(Dalla quarta di copertina, Nota critica di Alessandra Pigliaru)
*Margherita Rimi, Era farsi. Autoantologia 1974-2011, prefazione di Daniela Marcheschi, Marsilio, 2012
“In questi versi trentennali della Rimi, in un linguaggio poetico che colpisce con la sua agile semplicità e verità disarmante, per la prima volta risuonano non solo gli echi rassicuranti di ogni infanzia serena ma anche la voce dolente e inquietante dei bambini che hanno subito abusi (…) L’autrice guarda e vede il mondo dagli occhi stessi dei bambini, un mondo a volte feroce e cinico (…) Eppure dei bambini violati l’autrice sa cogliere anche tutta la purezza e l’innocenza (…)”.
(Dalla quarta di copertina, prefazione di Daniela Marcheschi).
*Dieter Schelak, Vivetta Valacca, La luce dell’anima. Zeit Los brennt dieses Licht hier, Edizioni ETS&ALLEO, 2011.
“Hierogamica, astrale ma insieme potentemente sensuale la parola-a-due di Dieter Schlesak e Vivetta Valacca è filo di una trama d’amore che intesse l’intreccio di due anime, nell’inesausto ordito dell’eros cosmico: éroti batheî, «d’abissale amore», per dirla con il frammento degli Oracula Chaldaica: amore come abisso di luce in cui le anime incontrandosi a due si incontrano con la quintessenza luminosa e numinosa del cosmo”.
(Dalla prefazione di Angelo Tonelli)
*Ugo Piscopo, Idilli napoletani. Il possibile che diventa impossibile. Guida,2012
Raccolta di brani scritti dall’autore tra il 2009 e il 2012 - “gridi in aperta piazza, sia pure composti ma perciò tanto più inquietanti, del napoletano male di vivere”.
(Dalla prefazione di Aldo Masullo, pag. 8)
“in fatto di libri, mi piace il libro materiale e concreto, fatto di carta che io posso toccare, girare, tenere a portata di mano, di matita, di pastello. Che mi dà riscontro alla mia esistenza qui e ora, che mi rassicura con sue parole, che io certamente posso interpretare in maniera continuamente nuova e varia, ma che sono scritte sempre con quel carattere con cui mi si è presentato alla lettura a cominciare dalla prima volta”.
(Da Crossing book e sue strozzature a Napoli, pag. 76).
Lieta con voi
Adele Desideri
Lidia Sella, Eros, il dio lontano. Visioni sull’amore in Occidente, La Vita Felice, 2012, pag. 92, euro 12
Lidia Sella, giornalista e scrittrice, ha da poco
pubblicato - con la postfazione di Armando Torno - il suo quarto libro, Eros, il dio
lontano. Visioni sull’amore in Occidente: una raccolta in versi posizionati,
sulla pagina, con una centratura tanto misurata, quanto lo è l’intento
riflessivo che li anima.
Un vocabolario gravido di nozioni scientifiche; uno
stile, talvolta, quasi algido, e all’improvviso carico di toni nostalgici;
oppure, ancora, digressioni sociologiche attraversate da ombre di passionalità
timida e al tempo stesso dilagante; con queste armoniose discrasie, Sella
affronta il tema spinoso di una malattia molto diffusa, purtroppo, nei nostri
insidiosi giorni: la paura di amare.
Si avvale, Sella, di numerosi e dettagliati riferimenti
al mito, non solo greco e latino; tra i quali, appunto, primeggia il dio Eros.
Riferimenti, però, che sembrano sovvenirle quale mero
ausilio linguistico ed epistemologico, utile a indicare un modo di interpretare
i fatti all’interno di una precisa cornice storica di derivazione classica.
Sella non si affida al mito come universo
semantico ancestrale, come archetipo misterioso - junghiano - dell’inconscio umano.
Non si affida alla psicoanalisi, e lo dichiara - sincera e determinata - con un
pizzico di aggraziata disinvoltura.
Eros è essenzialmente - per l’autrice - una
finzione narrativa posta fra se stessa e il lettore. Una finzione necessaria per
non declinare nella malinconia: per non rivelare del tutto una sensibilità
incombente, accesa, ferita.
Sella critica - con dolore, con tenacia, con
arguzia - la società contemporanea, che più non conosce la strada del
sentimento, che confonde l’erotismo con la pornografia, l’emancipazione
femminile con la volgarità, le promesse di fedeltà assoluta con patti bilaterali
reiterati, e poi dimenticati in un istante: “l’empatia amorosa/
cigola, stagna, impallidisce/ e nel turbinio dei giorni/ i piaceri si fanno
così flebili/ friabili/ rugosi/ da mutarsi/ al vespro/ in foglie d’autunno.//”.
I timori denunciati, e
forse, in parte, sperimentati dalla scrittrice medesima, sono molti; il timore
della trascendenza, dell’eterno, e della tremenda superbia tecnologica. Il timore
che l’ironia sfoci nel cinismo, che l’idealismo si traduca in pericolose forme
di ideologia: “Prudenza innata/ empirica saggezza/
miele millenario di cui noi/ - saccenti passeggeri/ del ventunesimo secolo -/
ignoriamo la dolcezza.//”.
Il timore che il mal di vivere
significhi follia - e la consapevolezza, d’altronde, che l’inquietudine
esistenziale lambisce gli spiriti nobili: “palindroma/ la cifra della
sofferenza/ che si esamini la trama/ dal principio/ o a ritroso/ si proceda
dall’epilogo/ il tracciato/ si ripresenta identico/”.
Il timore di amare - sì - però anche l’anelito
a una profonda, solida relazione con l’altro: “Transitoria follia/ Amore/
flagella corpo mente cuore/ provoca ansia insonnia inappetenza/ attacchi di
panico/ altera la vista/ offusca il giudizio/ rende infantili/ e incoscienti./
Ma anche entusiasti/ fiduciosi./ E creativi.//”.
L’autrice mostra uno sguardo
conservatore, elitario, che si posa fugacemente sugli abissi della povertà,
dell’emarginazione. Uno sguardo, in fondo, mancante di una puntuale, partecipe attenzione
agli attuali drammi sociali.
Eppure, qualcosa colpisce. Qualcosa, delle
intense intuizioni poetiche di Sella, convince: la sua maniera, audace e a
tratti scontrosa, di identificare gli individui dell’occidente - al di là del
ceto culturale ed economico a cui appartengono - nel segno del bisogno.
Bisogno di empatia, bisogno di
affetti, bisogno di concreta tenerezza: “Tutti smaniosi di scalare l’Olimpo/
con funi fabbricate nei sogni/ mentre cadaveri di amori ideali/ si ammucchiano
in fondo ai dirupi.// Da lassù, gli dèi/ non si perdono una puntata/ dei nostri
insuccessi./ E ridono/ di tanta fatica sprecata.// Per noi infatti non hanno
riservato/ che (…)/ brevi orgasmi/ crude illuminazioni.//”.
Si comprende, quindi, che Eros è, per
Sella, un dio davvero lontano.
Lontano da quel cosmo infinito che è
il cuore dell’uomo.
Il cuore dell’uomo: è salvifico
riscoprirlo, interrogarlo, accudirlo, vezzeggiarlo, per rendere lo stile di
vita occidentale meno autoreferenziale, meno rapace, infine, più degno.
Il cuore dell’uomo, oggi tragicamente -
proprio come Eros - ancora absconditus:
“Ma se la sua Euridice/ Orfeo rapisse all’Ade/ e il loro volo di gabbiani
riprendesse/ ala contro ala/ verso la sfolgorante meta/ potremmo infine
ricordare/ quant’era dolce morire per amore/ vivere per amare/ disciogliere la
morte/ nell’eternità d’un bacio?//”.
Pubblicata ne Il
Quotidiano della Calabria, rubrica Idee e
società, 4 settembre 2012, pag. 45
Adele
Desideri
Ciro
Vitiello, L'opera poetica, V. I,
Guida, 2012, pag.400, euro 30
Ciro Vitiello, scrittore e critico filosofico-letterario,
giunto all’età della maturità, ha avviato la pubblicazione, in sette
tomi, di una copiosa selezione della sua opera
omnia.
Il tomo primo, L’opera
poetica (vol. I) - vincitore del
Premio Internazionale di Poesia Alfonso Gatto (2012) - è introdotto da tre
pregiati saggi di Giorgio Bàrberi
Squarotti, Stefano Verdino e Carlo Di Lieto, e da un’intervista a Vitiello, a cura di Alessandro Caradente, titolata Iniziazione
alla poesia.
Il volume contiene
- raccolte in diciotto libri - numerosissime poesie inedite ed edite, rielaborate da Vitiello con “appassionata inquietudine”, con “una
spasmodica revisione- semantica, iconica, stilistica”.
Poesie oniriche, pregne di sorprendenti
evocazioni, di surreali allucinazioni, di complessi deliri creativi; o impreziosite
da nitide descrizioni naturalistiche e da veementi riflessioni filosofico-sociali;
spesso ritmicamente in analogia con il verso biblico, armoniose e, però,
trafitte da suggestive cesure esclamative; o, altrove, permeate da tonalità
sapienziali che si alternano a momenti di furore apocalittico: “È gelida merce
la Nigeriana, che assapora nell’anima l’odore// del Sahara, mancanza che ossessiona
ai fuochi della notte,/ (…)// (…) Fischiano i venti tra le frane./ Il tramonto,
tra la ferrovia e il duomo,/ scema, limpido sugli stracci di bimbi/ che non
conoscono i padri.//”.
I temi trattati sono quelli classici della
letteratura: l’angoscia esistenziale, la denuncia civica, la passione amorosa,
la malattia, la morte, la religiosità, e, non ultima, la colpa: “Nelle ore
contrite, mi è vigile la coscienza d’essere/ particola di pietà.//”.
Temi che si propongono a più riprese, impellenti, con
forti tensioni antitetiche, segnati da un impegno etico vivace e determinato,
generoso e severo, perché Vitiello è consapevole che la parola “è chiamata a
farsi fossile del vissuto”.
Vitiello attinge ai meandri oscuri dell’inconscio,
con le cui magmatiche densità dialoga - ostinato e reattivo; poi se ne distacca,
trovando, nel verso, una poliedricità di significati che alludono agli aspetti
umili - e forse umilianti - della realtà, e che, infine sfiorano, all’improvviso, i cieli alti, limpidi,
della trascendenza: “(…) Siamo liuti,/ occhi e teste seducenti a galla vanno,
nascendo/ il giorno. Rischiamo ogni istante il cappio// delatore, oh, seguiamo
la voce della fede, desiderosi/ di rivelazioni. Scoppia il fulmine ad
annunziare/ tempeste siderali, e tu dormi nella più/ assoluta nudità.//”.
Il soggetto lirico è pluriforme: il tu, l’io, il
noi appaiono come smembrati, in sacrificio, sull’altare della memoria personale
e collettiva: “io dicente, tra azioni e dissoluzioni, sempre con esito di
sottrazione”, scrive Verdino.
E la civiltà contemporanea, ma in primis la metropoli - passate al vaglio ammonitore di un rigoroso criterio
mnestico - sono sanguinanti, prive
di dignità, di salvezza. La voce del
poeta è dura nel condannare vanità e furberie, false bandiere e sopraffazioni,
viltà e ipocrisie: “C’è la rosa e il gelsomino, il pascolo e l’erba novella-/
come sugheri nell’onda torrenziale stanno le nostre/ anime timorose. La
rivoluzione è sublimata// dalla pienezza della piazza osannante. Eppure era
odoroso/ il bordello dell’ebbra gioventù, tutte le labbra/ erano di fuoco e si
volava sui cieli innocenti- sulle vette// urbane per il mutato clima le anitre
selvatiche non/ si posano più, langue il cestino delle mele sul tavolo/ insieme
alla brocca blu./ La creatura, dove è andata.//”.
Risalta anche, nei differenti testi di Vitiello, la
specifica sensualità del linguaggio simbolico del Cantico biblico - molto corporeo e, tuttavia, intensamente spirituale;
una sensualità che, in Vitiello, si avvicina, però, ai conturbanti colori della
calda luce del Sud Italia.
E, in
originale sintonia con tale suadente morbidezza, tipica del Meridione, riemerge,
reiterata, la nuda domanda di fede.
Domanda
disincantata e fulminea - di qoeletiana
reminiscenza - laddove dal dubbio
metodologico e pervasivo sorge, comunque, una delicata, eppure vividissima,
scintilla divina: “Sul taglio della tenebra la speranza- se non credi-/ si
riduce a ortica.//”.
Sconcertante
e imperativa, dolente e solerte, silenziosa e dialogante, la presenza di Dio appare simile a quella materna: “(…) Poggio
l’orecchio a terra/ per sentirti, Madre, come da ragazzo sentivo sui binari/ il
treno lontano, e accolgo cibo dalla tua calda effige/ mentre il corvo in alto stagna, su questo bordo/
declinante il vento assale, e sbrana l’asciutto arbusto:/ tra loggia e pino
reca la carrucola il tempo/ dissidente, e oltre i tetti la luce verginale/ mi
forma immagine di sale…non bramo,/ rido, piango, col sasso amico/ incido sulla
creta/ segni della resa.//”.
Insomma,
dietro ogni parola - o verso, o strofa - al di là di ogni immagine; oltre,
forse, le più intime intenzioni dell’autore, traspare, ineluttabile, una pacata,
ironica malinconia, che inquieta,
commuove, fa sorridere.
E intenerisce,
mentre induce al sogno: “(…) non arma mi piega, non furie, non marosi/ o ire,
ma la dolce voce, le parole colorate…/ tu, perché non torni nei campi/ di margherite
gialle?...//”.
Adele
Desideri
Pubblicata ne Il
Quotidiano della Calabria, rubrica Weekend,
5 ottobre 2012, pag. 43
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