di Alessandro Assiri
Interrogarsi sulla poesia di Alberto Mori è interrogarsi su degli inneschi culturali, su dei dispositivi che funzionano stemperandosi estendendosi come ci richiama il titolo del suo ultimo lavoro per Fara edizioni: Esecuzioni
In ogni lavoro di Mori c'è un gesto estetico che è stato misura di tutte le avanguardie: è il puntamento del dito che scandisce il tempo tra l'azione e il poema, l'attimo in cui la parola agisce diventando indice di una patologia quotidiana che Alberto indaga nel dipanarsi della sua ricerca.
La poesia di Mori agisce come un'officina della forma che trasforma
uno sguardo dolente e spesso indolente in uno strumento di guerra per
produrre un surplus di senso, per pervenire a un'efficacia critica a una
sorta di realismo sostanziale.
Esecuzioni
è un libro che funziona come una partitura musicale, non casuali
infatti i richiami a Cage, e il funzionamanto su un asse temporale, come
sottolineato anche dalle note introduttive di Franco Gallo: un testo probabilmente meno mimico, meno gestuale di tante prove a cui il poeta ci aveva abituato, ma un lavoro di scansioni di tempistiche musicali che dialogano con gli oggetti che Alberto richiama percuotendoli.
Un battito, un rumore che attraverso le sue distonie legge il mondo il suo mormorio nel quale, come sosteneva Breton, è necessario confidare.
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