una scelta di sette testi poetici
Luca Ariano ha
scelto diciassette testi poetici, scritti nel 2012 e li ha raccolti sotto il
titolo: Corte Marziale. Il numero dei lavori scelti e la titolazione sottolineano
con ironia tracce per versi che l’attento
lettore scoprirà sobri, con cui egli
fotografa e riflette su una società civile, che scioglie i sogni e le speranze degli
uomini.
La riflessione
poetica veleggia verso un mare
aperto, per navigare tra Scilla e
Cariddi, incurante di ciò che la
quotidianità esistenziale dovrà verificare. L’intimo s’impregna di malinconici
colori, mentre l’unico rifugio
possibile è il ricordo di un territorio, ancora intatto nonostante le barbarie
subite. Il verso poetico diventa il canto delle Sirene, che il poeta intona davanti a “… numerose
rovine […] e mura pronte a
crollare.”.
Attraversano
questi paesaggi figure reali somiglianti a fantasmi; forse sono dei
sopravvissuti oppure emozioni che, nello spengimento delle loro passioni,
lasciano l’ultima fiamma in un “… borgo
industriale, // poi… post… post, …”.
Il tempo nuovo
cancella le usate tracce lasciate “ In
una farmacia notturna” ora priva della propria funzione rassicurante anche
per “ Il barbone del bar Monza…”: l’anonima figura di una società invisibile
che vaga nel ricordo di una rosa “… seccata
in fretta, …” e poi, dimenticata.
Una raccolta ironica,
dicevo all’inizio, come può essere l’altisonante titolazione: Corte Marziale
che induce a pensare ad un canzoniere, tra terra e natura (si pensi all’esergo
di Marco Valerio Marziale) che, con amara
delicatezza, raccoglie XVII fermate poetiche. I Latini erano sottili e
sorridevano per la fragilità della vita, ci giocavano come fa’ Ariano con la sua silloge e sembra dirci: “il tempo è
già compiuto e io vixi”. Il lettore rimane sorpreso e pensa di essere
precipitato “… in una pellicola // americana in bianco e
nero ”.
La raccolta
lega personaggi diversi, ma riconducibili ad un medesimo stato spirituale d’angoscia
per un futuro che, simile al mare, può essere percepito come incanto o
disincanto; si consuma nell’indefinito (o forse nel sospeso?)
l’odissea moderna del poeta e del suo lettore che, tenendosi per mano, con mutualità reciproca, vanno ad
incontrare nuovi miti e stilizzate Erinni, immagini di un viaggio di cui non
conosciamo la natura: sarà la nostra Commedia o un semplice artificio della
mente?
La poesia
anche in questa raccolta solleva domande senza dare risposte: merito di Luca
Ariano proporre un equilibrio sostanziale tra narrazione e lirismo, creando un
messaggio che passa dal poeta al lettore, senza forzature, mentre il ritmo, le
contaminazioni vernacolari, la discreta sperimentazione e la colorazione lirica
vivacizzano la poesia che risuona eco lontana.
“Di
notte urla ubriache in bar disoccupati: // dello sguardo del poeta rimangono //
solo impressioni… parole… versi. // […] ”
Corte Marziale
mi rende un esiguo patrimonio
e le magre risorse mi fan ricco.
Qui il campo lo devi tu nutrire,
lì nutrisce te;
qui poco tepore ha il focolare,
lì risplende d'un'immensa luce;
qui l'appetito richiede troppa spesa
e il mercato ti manda alla rovina,
lì la mensa è coperta
dei prodotti del proprio campicello;
qui quattro toghe o più
si consumano in una sola estate,
lì una sola mi ricopre
per quattro lunghi autunni.
(Marco Valerio Marziale)
***
Dura è la vita. Per mia sicurezza
verserò nella Banca del Futuro
quantità limitate di valuta.
Dubito che abbia grandi capitali.
E comincio a temere che alla prima crisi
all’improvviso cessi i pagamenti.
(Kostantinos Kavafis)
Era la capitale d’una provincia imperiale
– lo
testimoniano numerose rovine –
ma di antiche ville non è rimasto nulla:
forse nel sangue dei liberti.
Gli ultimi fuochi della rivoluzione industriale
hanno portato treni gonfi
verso quartieri dormitorio, fumi e pelli emaciate;
appena spento tutto solo storpi, mendicanti
e mura pronte a crollare.
Lui si è ucciso poco prima di Natale:
debiti di gioco?
Era malato?
Forse solo stanco di ricevere ogni anno
gli stessi regali…
… Mentre si sparava,
un matto con la
radio incollata all’orecchio:
“Amore mio, dimmi se sei triste così come me…”
***
Il barbone del bar Monza
ciondola tra una chiesa razionalista,
bancomat e banconi da bere.
Dicono sia stato bancario…
medico… giocatore di poker.
Il mare non così lontano,
nemmeno dalla balaustra lo guarda
e il suo volto è un rosso vespro.
Quelle ville – un tempo dimore di signori –
ai piedi di colline boscose,
sono residenze per anziani e nuovi ricchi,
accanto a quartieri emigranti.
Per Fiulin il mare
quadrettato è un ricordo
stanco, come i giorni dell’Andrea
che mai vivrebbe altrove;
a Teresa la sua rosa è seccata in fretta,
forse finirà tra le pagine di un libro,
senza rispuntare come in una pellicola
americana in bianco e nero.
***
Fiulin in una
campagna da svegliarsi
sgomenti di notte:
lucciole, costellazioni, passi danteschi
accanto a boschi di cinghiali…
prede per cacciatori.
Si fruga in cassonetti maleodoranti,
tra trattorie semivuote
e ricette di riciclo da dopoguerra.
Come le storie sentite da Teresa
quando le reti di Kubala
erano més que una
esperança;
quella dell’Enrico che – per una sera –
lascia a casa i problemi rivedendo
vecchi amici per una partita.
Davanti a vino e spaghetti, imprecazioni
per un goal mangiato, ritorna ragazzino:
‘na pisada in
compagnia in un’antica roggia
e poi via come dopo una marachella,
come quando Fiulin
si sente l’ultimo giocatore di scacchi.
***
Autunno. Già lo sentimmo venire...
Vincenzo Cardarelli
Già lo sentisti venire l’autunno
nell’accorciarsi dei giorni...
specchiandoti dal finestrino di un treno
in corsa, con il paesaggio scuro
e l’allungarsi delle maniche di sera.
Sarà un autunno di forti passioni... di sogni,
come quelli di poeti e rivoluzionari?
L’Enrico riscopre il calore del corpo di una donna:
tra passi tremanti in fondo sorride come adolescente.
Per un attimo non pensa più a quelle notti
troppo lunghe di occhi rossi;
si confida con l’Emilio che pensa di non amare più
come un tempo... come se domani tutto finisse.
Martina cammina... cammina...
per un secondo vorrebbe tornare bambina
per non sentire più una stretta al petto.
***
Si apre la stagione della caccia,
– come ogni
anno –
Fiulin, vedrai
bambini,
fucilati, per sbaglio, come cinghiali,
scesi a valle a rovesciare bidoni.
Quell’uomo guarda i numeri dell’orologio:
conta… riconta… le lancette,
i numeri non quadrano più.
La città ancora da ricostruire,
Giggino in fuga da scuola, poche lire
per crocchè, zuppulelle e mammà
a sgridare a tavola con poco appetito:
canticchiando quant’è
bello ‘o mare,
i giorni parevano eterni.
Come quegli scaffali di libri,
gettati in qualche magazzino:
vedrai vetrine di intimo in pizzo
made in paese
esotici.
***
Tutto ebbe inizio con la luce fioca
sulle scale… come nei racconti dei nonni:
la lampadina da trenta candele,
odore di broccolo e portiere vocianti
come in una pellicola di Castellani.
Le chiamano a basso consumo,
l’olezzo è di cibo precotto:
PRONTO IN 5 MINUTI!
Hanno cominciato anche lì con stufe
in trattoria… tovaglie bucate,
brodaglie da cortina di ferro.
Le stesse sorbite dall’Enrico…
un altro amore sfumato come paglie
mai accese che impregnano stanze.
Porterai tuo padre al mare:
si struggerà come da bambino
eppure – Porco Mondo! – se sapesse nuotare…
***
La foschia cela campi…
conurbazioni… terra arata a neve.
Lì, accanto a meleti – piantati dai Sanniti –
code di camion a scaricare percolato:
se n’è andato tuo padre,
forse per non morire di brutti mali...
di lunghe malattie,
come pecore che brucano diossina…
da abbattere.
Lupi scesi a valle non le sbranerebbero.
Teresa tra la folla… file per gli ultimi
pacchi natalizi, stili affastellati
che pare uno sbuffo di vento a sgretolarli.
Fiulin davanti a sugheri,
terracotte,
ripensa a quella domenica:
«Te piace ‘o presepe?»
Dal treno la nebbia confonde case
ma intravedi aceri spolverati di galaverna.
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