recensione di Raffaele Piazza pubblicata in Poetrydream
FRANCESCO FILIA – La neve - Fara Editore – Rimini – 2012 – pagg. 54 - € 12,00
La neve è un testo composto da trenta frammenti; si tratta di una
silloge compatta che può essere letta, scrive Giuseppe Carracchia, come
un poema dell’assurdo.
Ogni segmento della raccolta è associato a Napoli, a una data, e a volte ad un luogo o a una situazione.
Il testo ha vinto il concorso Faraexcelsior, giunto alla sua seconda edizione.
La scrittura di Filia è caratterizzata da una luminosa chiarezza ed è pervasa da magia e sospensione.
I versi sono in massima parte lunghi ed hanno un’ottima tenuta. Lo stile del Nostro rasenta la prosa poetica essendo caratterizzato da un minimo di scarto poetico dalla lingua standard.Tutto l’ordine del discorso è intriso di magia e sospensione e la forma è leggera scattante e veloce.
Sono dette espressioni come saremo, non raccoglieremo, come se la voce poetante rappresentasse una collettività. La spazio scenico in cui si svolge la vicenda è Napoli, che vive la presenza–assenza della neve, che diviene simbolo, correlativo oggettivo di vita e di morte, di bellezza e freddo nell’anima.
Il tessuto linguistico lascia trapelare un forte senso di richiamo alla morte e al senso materico e corporeo della vita. Vera protagonista sembra essere la città di Napoli con le sue vie, il suo fascino e il senso del cronotopo, dello spazio e del tempo dei quali è imbevuta.
L’io – poetante vive il suo passare immaginario e materiale, nello stesso tempo, per la città e si abbandona ad incontri con gli altri passanti. C’è un ansia e un senso di comunione cosmica con quelli che vede e incontra, che siano ragazzi o adulti, borghesi o persone che vivono e dormono in strada, vivendo di espedienti, come ce ne sono tanti a Napoli.
Filia riesce a produrre un’opera alta ed originale, nella quale tutto è pervaso da un forte senso di mistero, così come è la città partenopea con i suoi retaggi storici, le sue stratificazione nel tempo e nello spazio a livello architettonico e antropologica e con il suo fascino. La scrittura è avvolgente e icastica, veramente efficace e ciò che colpisce il lettore è il ritmo sempre uguale e l’avvicendarsi dei frammenti, come fossero variazioni su uno stesso tema.
Ogni segmento della raccolta è associato a Napoli, a una data, e a volte ad un luogo o a una situazione.
Il testo ha vinto il concorso Faraexcelsior, giunto alla sua seconda edizione.
La scrittura di Filia è caratterizzata da una luminosa chiarezza ed è pervasa da magia e sospensione.
I versi sono in massima parte lunghi ed hanno un’ottima tenuta. Lo stile del Nostro rasenta la prosa poetica essendo caratterizzato da un minimo di scarto poetico dalla lingua standard.Tutto l’ordine del discorso è intriso di magia e sospensione e la forma è leggera scattante e veloce.
Sono dette espressioni come saremo, non raccoglieremo, come se la voce poetante rappresentasse una collettività. La spazio scenico in cui si svolge la vicenda è Napoli, che vive la presenza–assenza della neve, che diviene simbolo, correlativo oggettivo di vita e di morte, di bellezza e freddo nell’anima.
Il tessuto linguistico lascia trapelare un forte senso di richiamo alla morte e al senso materico e corporeo della vita. Vera protagonista sembra essere la città di Napoli con le sue vie, il suo fascino e il senso del cronotopo, dello spazio e del tempo dei quali è imbevuta.
L’io – poetante vive il suo passare immaginario e materiale, nello stesso tempo, per la città e si abbandona ad incontri con gli altri passanti. C’è un ansia e un senso di comunione cosmica con quelli che vede e incontra, che siano ragazzi o adulti, borghesi o persone che vivono e dormono in strada, vivendo di espedienti, come ce ne sono tanti a Napoli.
Filia riesce a produrre un’opera alta ed originale, nella quale tutto è pervaso da un forte senso di mistero, così come è la città partenopea con i suoi retaggi storici, le sue stratificazione nel tempo e nello spazio a livello architettonico e antropologica e con il suo fascino. La scrittura è avvolgente e icastica, veramente efficace e ciò che colpisce il lettore è il ritmo sempre uguale e l’avvicendarsi dei frammenti, come fossero variazioni su uno stesso tema.
Il tema della neve, come dal titolo, è ricorrente (correvamo con la neve
in tasca). Il nevicare a Napoli, avvenuto storicamente e in forma
lievissima solo agli inizi degli anni Settanta, può anche essere letto
come qualcosa di beneaugurante per Napoli, un presagio di redenzione, un
San Gennaro che fa la grazia, una vincita al lotto o forse anche come
una salutare risata di un cittadino anonimo nella contemplazione di una
regata da Via Caracciolo, una redenzione, un riscatto, qualcosa di
fresco per il corpo e l’anima.
La neve, quella vera, non l’abbiamo mai vista
se non nella bocca di un vulcano
nei pochi giorni di cristallo dell’inverno come una minaccia
che ricorda quel che non abbiamo tentato abbastanza
ma il gelo, quello sì, è dentro di noi fino alle ossa.
La neve, quella vera, non l’abbiamo mai vista
se non nella bocca di un vulcano
nei pochi giorni di cristallo dell’inverno come una minaccia
che ricorda quel che non abbiamo tentato abbastanza
ma il gelo, quello sì, è dentro di noi fino alle ossa.
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