lunedì 29 agosto 2011

Su A due passi dal cielo di Giuseppe Moirano

La Tipografia, Atripalda, 2011

recensione di Vincenzo D'Alessio & g.c.f.guarini

La raccolta di esordio di Giuseppe Moirano vede la luce in forma autogestita con l’aiuto delle persone “che hanno ancora la forza di sognare”. La poesia è scelta come sogno, e liberazione, dalle frustrazioni che l’esistenza impone da subito. Una formula catartica che allontana per un attimo, quanto dura la eco delle parole dal foglio all’aria che le accoglie, la sofferenza:

(…)
e non si può far altro
che farsela scorrere addosso questa vita,
come l’acqua d’un gelido torrente
che leviga un’immensa roccia; (pag. 22)

L’esperienza dell’emigrazione viene rilasciata nella poesia Città fantasma: ed è Milano la città che si presenta al giovane irpino come: “una città svogliata, / priva ed arsa di gocce di sentimento” (pag. 23). La lotta dei giovani per restare nella terra di origine è da sempre il motivo conduttore di tantissime opere letterarie, che racchiudono l’immenso dolore dell’emigrante; il disagio di chi tenta di ritornare ai luoghi di origine; la malinconia che accompagna per tutto il resto dell’esistenza lo sradicamento avvenuto per cercare altrove consapevole benessere.
Vorrei ricordare che un altro giovanissimo poeta partì da questo luogo, Montefredane, con il dolore dell’esistenza quale unico compagno di viaggio: è Michele Luongo, oggi affermato scrittore, che ha fissato nelle sue opere il dramma dell’emigrazione quale risorsa unica all’oppressione dei politici per un posto di lavoro; dei poteri occulti che macerano violentemente le forze giovani della Nostra terra; delle belle intelligenze costrette ad allontanarsi da qui per mettere a frutto le loro capacità nel giusto ruolo sociale.
Come per Luongo, così oggi per Moirano, le prime raccolte erano colme di composizioni intimiste; cariche dei sedimenti assunti nel corso degli studi scolastici; prive di quell’energia che si alimenta sovente alla rinuncia delle “emozioni” per dare parte attiva alla poetica del “fare”, del costruire il verso, per confluire nei fiumi della Poesia universale.
Quanta sofferenza c’è nei nostri giovani e quanta incomprensione verso i loro sentimenti puliti. Ce lo ricorda nella presentazione a questa raccolta Antonio De Gisi: “Nello scorrere accuratamente l’opera, l’ho trovata così naturale, con vocaboli semplici e fluidi, dallo stile libero, senza incertezza” (pag. 11).
La raccolta di esordio del giovane Moirano è l’abbrivo del dolore che si è accumulato nel corso degli anni per le esperienze, intense, vissute a contatto con persone e luoghi diversi da quelli di origine. Che, stancamente, vivono come ignorate dal sentimento del Tempo. La visione di una Irpinia reiterata in una dimenticanza che sfocia nell’immobilismo più crudo: quello di una madre che allontana i figli migliori, per premiare i peggiori.
Lo leggiamo in questi versi del Nostro a pag. 23:

(…) non posso far altro
che volgere l’ormai assente sguardo
alle fuggiasche stelle,
elemosinando aiuto e affetto,
con gli occhi ormai stanchi
di versare lacrime nuove
per vecchi dolori;
(…)

Molti giovani scrittori in Italia oggi hanno guardato al cielo, mèta pura e tersa, quale unico raggiungimento e nascondiglio dei propri sentimenti. Un cielo che ascolta? La purezza delle idee?
Noi possiamo sostenere questi aquiloni colorati di Speranza con un vento costruttivo capace di generare energia sottoforma di comprensione, spazio ai giovani e lavoro sicuro raggiunto mediante i propri meriti etici e culturali.

Nessun commento: