lunedì 11 ottobre 2010

Su Io, Lei e la Romagna di Guido Passini

recensione di Narda Fattori

Avere forza è diverso che avere coraggio, essere è più intenso che esistere, amare è più coinvolgente che voler bene: leggere questa opera di Guido Passini fa scoprire/riflettere su questi stati dell’esistenza, oltre che a far riflettere sullo scopo della poesia, sull’uso che ciascuno può farne.
La poesia di Guido  è un canto alla sfida della vita contro la malattia che la vuole rubare, è la rivelazione del quotidiano coraggio di “riprendere fiato” per re-incominciare la lotta, è una lunga dedica d’amore alla sua donna, compagna e complice nel quotidiano srotolarsi dei giorni.
Una poesia che grida il coraggio di Passini con poco fiato ma molto ardore, un ardore che si auto-riproduce osando contro la malattia che vorrebbe tenerlo stretto a sé in un mortifero abbraccio ed è nello stesso tempo poesia, intendo dire una comunicazione suggestiva e visionaria, sincera e vitale. Certamente la malattia è fin troppo presente nel libro, a scapito forse del risultato poetico, ma per quello c’è tempo; credo poi che a Guido interessi poco essere definito poeta che comunque è limitativo rispetto a “uomo”. E Guido è un uomo che ha scoperto la poesia.
In ogni annullare / la secrezione / sgorga il coraggio/ perché io, / amo la vita”, sono versi  nudi spudorati: contro la fibrosi che produce le secrezioni che gli tolgono il fiato trova e scopre il coraggio di amare ogni giorno la vita.
Un giovane trentenne potrebbe anche avvilirsi nel sapere che la durata della sua esistenza è un punto interrogativo che sbarra il percorso: per Guido è una sfida, una lotta da combattere e da condividere, è una “normalità” di comportamenti ed emozioni che lo fanno persona che soffre, che ride, che ama, che va verso gli incontri pieno di fiducia, che promuove lui stesso incontri. La malattia gli ha posto dei limiti che lui ha accettato in cambio di altre esperienze. Altre emozioni.
“Decido di guardare avanti / e carezzare il manto della iena, / chissà che non diventi mia amica”; sono convinta che la iena sieda già ai suoi piedi mansueta, che solo di tanto in tanto osi mugolare e digrignare i denti ma la forza della carezza di Guido la zittisce, la ammansisce.
Il libro diviso in tre sezioni che corrispondono a tre tappe della vita e della vitalità del giovane Passini, corrispondono, a grandi linea alla scoperta della malattia nell’infanzia, del suo sforzo per non farsi sopraffare e conquistarsi il diritto al gioco e alla spensieratezza, della scoperta della poesia come sorgente di energia e di medicazione:  “Scrivo versi, o forse credo di farlo, / per svuotare l’anima, / per restare / un momento solo con il mio corpo/ senza pensare a nulla; scrivo/ per espatriare dal mondo, / perché ci sono momenti in cui nessuno/ può ascoltare, e allora scrivo, scrivo/ alla fine chiudo gli occhi e sospiro.”
Credo che pochi poeti abbiano saputo esplicitare con tanta chiarezza il moto che va dall’animo alla penna e dalla penna al pensiero e il sollievo che segue per l’amico che si è trovato. Lei è la malattia che chiede tanto tempo, tante attenzioni per essere combattuta ed evitare di lasciarsi mortalmente abbracciare, la Romagna è la terra d’elezione, è il luogo dove ha cominciato a vivere nel provare l’amore e nel riconoscere il sostegno di felicità e di forza che ne riceve.
Non è un canto d’amore alla terra di Romagna, ma un lungo canto d’amore alla sua donna, un canto felice perché l’amore di Guido è corrisposto: “E di colpo non vedo più nubi, / non sento più la pioggia, / ma solo /un battito ascendente / al tuo sfiorarmi.”
Fortunata quella ragazza che ha spalancato il cielo con il suo amore. Fortunato quel ragazzo che ha saputo vedere il sereno attraverso il cielo spalancato e con il suo amore lo tiene aperto e chiaro anche quando vorrebbe infuriare.

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