venerdì 25 maggio 2007

La poesia del silenzio (Massimo Pasqualone)


Che cos’è la poesia?
In un’intervista apparsa pochi anni prima della sua morte, Franco Fortini disse che rispondere è come voler spiegare “che cos’è l’uomo” o “che cos’è il mondo”. Ogni definizione sarebbe mutila. Incompleta. Approssimativa.
E soprattutto che cos’è oggi la poesia?
Ha ancora senso, come ricordava Montale nel discorso tenuto all’Accademia di Svezia del 1975 in occasione dell’assegnazione del Premio Nobel, nell’epoca dell’apparire, del consumismo sfrenato, del disimpegno, della messa in crisi dei sentimenti più basilari, della rincorsa al denaro, dedicarsi ad una pratica così antitetica rispetto agli elementi appena elencati come quella dello scrivere o del leggere versi?
“In tale paesaggio di esibizionismo isterico- scriveva Montale- quale può essere il posto della più discreta delle arti, la poesia?
Permettetemi di rispondere alla prima domanda con un commiato del 1916:

Gentile
Ettore Serra
poesia
è il mondo l'umanità
la propria vita
fioriti dalla parola
la limpida meraviglia
di un delirante fermento
Quando trovo
in questo mio silenzio
una parola
scavata è nella mia vita
come un abisso


Di fronte a questo intensissimo manifesto di poetica del silenzio bisognerebbe solo meditare, piuttosto che parlare, ma stare di fronte ad una poesia, pemettetimi l’ardire, è come stare di fronte ad un semaforo rosso:

• C’è chi si ferma perché ha paura di fare un incidente;
• C’è chi si ferma perché ha paura di una multa;
• C’è chi si ferma perché è rosso;
• C’è chi passa perché è distratto;
• C’è chi passa perché ha fretta;
• C’è chi passa perché alla fine rosso, verde, arancione sono solo colori.

Il semaforo è comunque rosso per tutti ma, come diceva Federico Garcia Lorca in Cancion otonal del 1918: “Si la muerte es la muerte qué será de los poetas…”
Leggere o ascoltare poesia non è una pratica scontata. Soprattutto oggi, dove tutto avviene nel frastuono. La poesia non ama il frastuono. Necessita di silenzio.
Non un silenzio qualunque, né il silenzio in generale, bensì il fare silenzio, il tacere proprio della ragione che indaga la verità e che fa silenzio di fronte alla rivelazione della Verità stessa.
Di fronte all'enigma, la ragione può tentare di uscire in diversi modi, ovvero può decidere di rimanere all'interno, ancora, in diversi modi. Può, quindi, cercare di scioglierlo razionalmente, con il rischio di semplificarlo, o decidere di riproporlo sotto altra veste, ossia di approfondirlo, complicarlo, o anche aggirarlo. Questa è la poesia.
Ebbene, la parola poetica non dà risposte, non scioglie problemi, ma è la riproposizione dell'enigma a un livello diverso.
La poesia, per dirla con Sergio Givone, è quel discorso doppio che permette all'autore di «trattenere il suo dire sull'estremo limite del silenzio».
Pensate al già citato Lorca dell’

Elegia del silenzio

Silenzio, dove porti
il tuo vetro appannato
di sorrisi, di parole
e di pianti dell'albero?
Come pulisci, silenzio,
la rugiada del canto
e le macchie sonore
che i mari lontani
lasciano sul bianco
sereno del tuo velo?
Chi chiude le tue ferite
quando sopra i campi
qualche vecchia noria
pianta il suo lento dardo
nel tuo vetro immenso?

Ecco perché il nostro tempo ha bisogno di poesia, perché - come dice Bruno Forte - essa apre all’altro, all’ascolto, al tu.” Ed ha bisogno di silenzio.
Il silenzio non consiste soltanto nel fatto che l’uomo, ad un certo punto, smette di parlare: il silenzio è qualche cosa di più di una semplice rinunzia alla parola, è qualcosa di più di un semplice stato nel quale ci si possa trasferire a proprio piacimento.
Il silenzio comincia dove la parola finisce, ma non comincia perché la parola finisce, e si manifesta in quel punto.
Il silenzio - dice Max Picard in uno stupendo libro intitolato Il mondo del silenzio - appartiene alla struttura fondamentale dell’uomo.
Pur avendo la parola supremazia sul silenzio perisce se perde il suo legame col silenzio. Parola e silenzio sono legati: la parola sa del silenzio, il silenzio sa della parola.
Ancor di più la parola poetica, come ci fa intuire ancora il nostro Montale in Le Parole.
La parola, strumento e sostanza della scrittura poetica, deve volare alto, come ci indica Mario Luzi fin dal 1985 nella riflessione tratta da Per il battesimo dei nostri frammenti:

“Vola alta, parola, cresci in profondità
Tocca nadir e zenith
Della tua significazione…”

Ed allora la poesia nasce dal silenzio e ha nostalgia del silenzio.
Questo non significa che nella poesia il silenzio valga più della parola come sottolinea Hegel affermando che la “parte più alta ed eccellente non è l’inesprimibile… ma l’opera stessa è meglio del poeta” perché ciò che resta nell’intimo non è.
La parola del poeta è allora in grado di generare essa stessa silenzio, un silenzio che oserei definire attivo.
Il grande poeta non occupa interamente l’oggetto con la sua parola, gli lascia uno spazio in cui un altro può ancora dire una parola su quell’oggetto. E quest’altro è il lettore.
Il lettore è colui che si inserisce nel silenzio del poeta, che lo fa proprio, che ripercorre il miracolo della creazione poetica.
Di lui si parla poco, troppo poco, perché se è vero che scrivere poesia è difficile, leggere poesia diventa un’attività altrettanto complessa.
L’una e l’altra, a parte qualche raro caso che sconfessa il classico carmina non dant panem, sono attività libere disinteressate.
Nella Prefazione a una riabilitazione dell’arte e dell’artista, pubblicata sul n. 25 dell’ottobre 1934 della rivista Esprit, Mounier scrive: “La vie selon l’art e selon la poésie est une des dimensions essentielles de cette activitè désintéressée…”
Lo stesso Mounier condanna a più riprese la “vanità verbosa” di molti (l’accusa era rivolta al surrealismo ed a uno dei suoi esponenti più significativi nel campo letterario, Louis Aragon, di cui ricordiamo Moto Perpetuo del 1924 e Il contadino di Parigi del 1926).
Senza scomodare l’ermeneutica contemporanea e le teorie di Betti e Pareyson, il ruolo del lettore, interprete del silenzio attivo del poeta, è più che mai significativo.
La poesia contemporanea, in molti casi, non ha più legami con il silenzio attivo e con il lettore, muove verso tutte le parole, cerca il rumore, entra in gara con il rumore del mondo esteriore.
“La poesia- è ancora Montale- si fa allora acustica e visiva. Le parole schizzano in tutte le direzioni come l’esplosione di una granata, non esiste un vero significato, ma un terremoto verbale con molti epicentri.
Oggi il silenzio è inutile, non conviene e la poesia lo sa.
Per questo Giuseppe Conte scriveva sul «Corriere della Sera» qualche tempo fa: “Se popolare è tutto ciò che riguarda i consigli per gli acquisti, il luccicante ma miserabile mondo della moda, degli spot, del calciomercato allora è meglio che la poesia non sia popolare.“
Nascono così i surrogati di massa della poesia come la canzone, dove spesso si urla si fa rumore.
Ancora Mario Luzi nella Parentesi del poeta come istrione conferma questo ritorno.
Ma, in conclusione, per Rainer Maria Rilke: “Cantare è altro respiro. / Un afflato di nulla. Soffio divino. Vento.”


Massimo Pasqualone, due volumi di poesia in vernacolo (Che ce ne freg’a me e Vijate a te) ed uno in lingua (Agende Postmoderne) e i saggi Il Pascoli conviviale. Tra poesia e filosofia, 1996; Dal valore alla vita. Considerazioni sull'etica di Francesco Orestano, 2000, La dimensione etico-religiosa nella poesia dialettale di Natale Cavatassi, 2000; Etica, persona e ambiente, 2001; Primo Fiocchi poeta dalla parte di Dio. La vita, il pensiero, la poesia, 2003; “Per una Pastorale delle Comunicazioni Sociali“ in G.Cocco-M. Pasqualone-D. De Simone, Verso un nuovo Areopago. Per una introduzione alle Comunicazioni Sociali, 2003. Insegna Filosofia Morale all’Università G. D’Annunzio, Etica e Storia della Filosofia all’Istituto Superiore di Scienze religiose “S. Pio X” di Chieti.
V. anche qui.

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