venerdì 17 gennaio 2025

“non si è in grado di morire / dinnanzi tale bellezza”




MONVISO

nella vita
i miei occhi
non hanno visto
che cose belle
e di ciò
vado fiero

dalla finestra si ode
il mormorio della vita
di tutta una vita
c’è il passero, la moto
i passanti, ammalati,
delusioni, macchine
il respiro del vento in amore
l’aria sana, nubi chiare
e nonostante tutto
non si è in grado di morire
dinnanzi tale bellezza

in giro, qua o la
capto
profumo di gioia
della mia campagna
e non, come dicono,
bestemmie d’aria
tutte snervate

i ricordi affluiscono tutti i giorni
a tutte le ore sempre uguali
come sciacquio di remote vanità
contenenti clorofilla
e poi… c’è gusto la sera
desiderare il mare
con la mente che vaga
e sfiora la morte…
evitandola possibilmente



MONVISO 2

traccio un sogno Vìsano
un attimo
di lente guance
i giorni leggeri
della grande montagna
si schiudono
raccolti
da voci toccanti

ti guardo
Monviso
e ti scatto
un sorriso scelto
d’amore oggi
e per sempre


MONVISO 3

nuoto nel verde di piante
dove scorrono nuvole d'aria
noi, schiacciati da acque ferme
sommersi da sapori vivi

piegato il braccio
non fiato né taccio
alzo le spalle
amandoti come ti trovo

questa sera il rumore
della luna non è dolce
il mosto indugia a vinificare
perché?

La notte è deserta
compare il freddo
che ti secca la gola
ho sentore d’erba e diffusa tristezza
tiro il collo ad un nebbiolo
non esistono fari
né rumori assordanti
solo cime d’anima

sprofondano nel mio capo
nuvole di maglia
nessuno c’è l'ha insegnato ad amarle
tantomeno nessuno

è giunta l’ora d’acchiapparle
e distribuirle in foglie di cielo

l’uomo un sole al buio
allora, sperdute stelle
venite a riscaldarci






martedì 14 gennaio 2025

Flavio Vacchetta legge "Saudade" di Maria Pia Quintavalla

 















Nota di lettura a Saudade (puntoacapo, 2024 - prefazione di Giancarlo Sammito) di Maria Pia Quintavalla. L'articolo è a cura di Flavio Vacchetta.


Quella di Quintavalla mi pare una poesia propensa allo slancio effusivo, nonostante gli schermi delle forme e delle parole. Prendiamo la poesia C'è bisogno degli altri, intanto ciò espresso in modo franco.

Si vede come le immagini trovino prontamente il loro significato e vi corrispondano. La sera è un momento (oltre che un topos) forse nostalgico ma sostanzialmente positivo. A taluni la sera, immagine del mutamento ineluttabile verso il precipizio, suscita angoscia, non come al Foscolo di Alla sera, dove essa prefigura la pace, il sonno, l'oblio... Si dà invece di gente che al calar del sole diventa frenetica, quasi a compenso della precedente inazione per scelta e della successiva inazione per obbligo, insomma solo una stretta finestra temporale in cui precipita e riesce a estrinsecarsi un'energia creatrice altrove compressa e sviata lungamente. Qui siamo più sul versante dell'accettazione, della contemplazione e della delibazione dell'attimo, stupendo ("amo il nostro presente", "concorde assolo", "i miracolati"), e subito viene suscitata l'analogia: la sera appresta d'un tratto, e con un gran balzo concettuale, la resurrezione di Lazzaro (o viceversa).


Le idee subito si concretano icasticamente (peculiarità dantesca): “l'onda nera di moscerini che tagliava l'aria” è l'ostacolo metaforico all'unione.


Un'idea inclusiva si coglie nel melting pot d'ispirazione parigina, che, del tutto arbitrariamente, per una serie di miei rimandi incrociati, mi fa tornare in mente la poesia I fiumi di Ungaretti.


Questo dantizzare, sui generis e in senso molto lato, e questa aspirazione o tendenza a uniformarsi al, o a cullarsi nel, grande corso dell'essere e della natura, si coglie anche nei versi come dire astrologici dedicati alla casa dei pesci.


D'altronde, la vita è un "dono", e anche essere felici "per volere di una figlia, è possibile", una figlia ripensata nel momento della nascita (a proposito, forse spinoso per un figlio immedesimarsi in quel mondo lontano eppure vicino, percepirsi neonati sul grembo materno ecc.), in immaginazione metamorfica: viticci intrecciati, creature acquatiche, nascita che è rinascita per la genitrice: "noi siamo nate".


Sogno di me, di quella forza  

per sollevarla al cielo  

con un accento, il mio, avvenuto nuovo

nel germogliare lei dalle mie mani, io  

dal suo tronco,  

come viticci aperti in una pianta sola.


D'altronde, come scrive Tabucchi citato nella prefazione di Giancarlo Sammito, per trovarsi bisogna perdersi di continuo.


A proposito di fiumi, e di immaginazioni acquatiche e vitali, di rinascenza, ci ritroviamo sul Po, di fronte alla cui maestosità (umanamente corrotta, in verità) ci si figura quale “sensata isola nel fango”, quel fango argilloso da cui la stessa umanità è sorta.


E dal grande fiume, dall'acqua possente e stillante, non può che nascere, ben prima dell'uomo, la pianta. “Vedo una pianticella da curare / il cui veleno proviene dal suo centro, della terra”. D'altronde, come si sa, la maggior parte degli esseri viventi sono vegetali, i quali potrebbero benissimo esistere senza di noi, anzi sono condizione dell'esistenza, mentre non vale il reciproco. E accanto a questa piantina umanizzata colta nelle sue varie vicissitudini, la passiflora, la quercia, il sambuco, il pioppo (“vibra nel vento con tutte le sue foglie / il pioppo severo...”: pioppo cipressino, se ben ricordo, quello di Rebora, citato pure da papa Francesco)... E sull'argomento vorrei suggerire il poetico cortometraggio Sapiens di Aleksandr Rogožkin, se mai si trovasse in rete, ispirato a un haiku di Bashō sul fiore.


Quest'attenzione fervida al vivente non può che estendersi anche alla meditazione sulle sorti dell'umanità e sui mali del mondo, come nelle accorate prose dedicate ai migranti morti nel naufragio presso Augusta del 2016. Così Saudade incontra un epilogo di tono mesto e cogitabondo, ma ancora non privo di una qualche speranza.




Maria Pia Quintavalla, nata a Parma, vive a Milano. I suoi libri: Cantare semplice (Tam Tam 1984); Lettere giovani (Campanotto 1990); Il Cantare (ivi 1991); Le Moradas (Empiria 1996); Estranea (canzone) (Manni 2000); Corpus solum (Archivi del ‘900 2002); Album feriale (Archinto 2005); Selected Poems (Gradiva, N.Y., 2008); China (Effigie 2010); I Compianti (Effigie 2013-2015); Vitae (La Vita felice 2017); Quinta vez (Stampa2009 2018), Estranea (canzone) (edizione riveduta, puntoacapo 2022). Tra i premi vinti: Cittadella, Alghero Donna, Nosside, Città S. Vito, Contini, Alda Merini, Pontedilegno, Città di Como, Euro pa in versi. È stata nella cinquina al premio Viareggio e ha vin to il Premio alla carriera al festival “Paesaggio interiore” di Cerreto D’Esi (2023). Ultime antologie in cui è inserita: Braci, a cura di Arnaldo Colasanti (Bompiani 2020), La Poesia italiana degli anni Ottanta, IV volume a cura di Sabrina Stroppa, UniTo (ed. Pensa). Compare nell’Atlante voci poesia, curato da Giovanna Iorio, e sue installazioni (Londra, Praga, Italia). È stata Redattri ce della rivista Menabò ed è nella Giuria del Premio Terre d’ulivi. Collabora a Metaphorica. Conduce laboratori di lingua italiana presso la facoltà di Lettere UniMi.



lunedì 13 gennaio 2025

Una poesia che nasce dal silenzio, dalla meditazione

Salvatore Mannella, Chiedetelo al vento che passa

recensione di Vincenzo Capodiferro
pubblicata su Insubria Critica




“Una poesia scritta a tinte forti dove il richiamo di ogni cosa arriva fino in fondo al pensiero” di Salvatore Mannella

Chiedetelo al vento che passa. Poesie (1987-2004) è una raccolta di poesie di Swami Prem Salvatore Mannella, edita da Fara, Rimini 2024. «Le poesie racchiuse in questa silloge appartengono ad un antico progetto editoriale» - annota la curatrice Stefania Longo - «concepito dall’autore, ma purtroppo abbandonato e dimenticato. Saltato fuori, come per caso, nel riordino dei materiali privati dopo la sua scomparsa prematura, mi è sembrato propizio fargli vedere la luce per onorare la sua memoria».

Chi è Salvatore Mannella? Lasciamo scorrere una testimonianza di Gaetano Failla: «Swami Prem Salvatore Mannella, poeta ed intellettuale riservatissimo, di indicibile dolcezza e di intuizioni rivelatrici, ben lontano dal cicaleggio di vacui palcoscenici mondani, amante della poesia e dell’opera di Nietzsche, sin dall’adolescenza, profondo conoscitore di Leopardi, Dostoevskij, Strindberg, Cioran, Jünger, ha incontrato presto sul suo sentiero la luce di Osho…».
Da queste poche battute possiamo capire che è un uomo profondo, un “Solo e pensoso”, che ama «la natura e i solitari vasti spazi nordici, prossimi alla vertigine del Polo», l’ultima Thule, il Valhalla, consimile al Nirvana. È un “passero solitario”, come il suo Leopardi, pensieroso, che si perde ad immaginare proprio quei “vasti spazi”: «interminati spazi», «sovrumani silenzi», «profondissima quiete». La sua poesia nasce dal silenzio, dalla meditazione:

«Parla se hai parole più forti del silenzio, o conserva il silenzio». È una massima euripidea.

La sua poesia? Riprendiamo la nota della premessa di Battista Trapuzzano: «Una poesia… scritta a tinte forti dove il richiamo di ogni cosa arriva fino in fondo al pensiero: quasi una continua, ininterrotta pausa che medita su tutto. Una poesia che da sé esclude anche la capacità di obliare il silenzio che la genera», come dicevamo. Il fenomeno del silenzio diventa artificio, strumento di espressività. La pausa avvalora il suono, la parola. Il silenzio è punteggiatura, struttura ontica, ‘semplice presenza’. L’assenza si spiega con una pre-presenza. «Queste poesie non seguono le tracce lasciate da altri nel bosco delle parole e non vanno dritte a nessun incontro certo. Sono poesie vaganti, ombre nelle ombre, nel fitto delle inquietudini». Le poesie di Salvatore sono come heideggeriani “sentieri interrotti”.

La raccolta di Salvatore Mannelli è un petrarchesco “Canzoniere” esistenziale, profondo, intenso, pungente come quel vento di Bora, del Nord che egli amava. La raccolta di Salvatore è come Vita d’un uomo d’Ungaretti: «La poesia sola può recuperare l’uomo». Affidiamo al lettore l’arduo compito di poter gustare le sue meditazioni in versi. Sarebbe veramente difficile trovarvi un filo conduttore. Sarebbe un filo d’Arianna che scorre infiniti labirinti. L’udito è un labirinto, la sezione aurea ce la portiamo in testa. Siamo universi in pillole. Assaporare la poesia di Mannella è come entrare in un New World. La sua poesia è Upanisad. Riportiamo l’ultima poesia:


Hölderlin

Senza la poesia l’uomo
altro non è che un puro scoglio,
un sacro vuoto,
un vaso che non distilla vino
né conserva lo spirito della vita.
Senza la poesia non esiste niente,
gli immortali appassiscono in fretta –
gli Dei
nella noia non sentono,
hanno bisogno di chi senta per loro
perché è nel canto che si consegna
la Gloria, e la gioia raggiunge
il destino.


«E perché i poeti nel tempo della povertà? Chiede l’elegia di Hölderlin Pane e vino. Oggi comprendiamo a stento la domanda. Come potremo intendere la risposta che Hölderlin dà? […] Con la venuta e il sacrificio di Cristo ha avuto inizio, secondo la concezione storica di Hölderlin, la fine del giorno degli Dei.» (Heidegger, Sentieri interrotti)

Vorrei lasciare il lettore con la stessa domanda che si pone Heidegger. L’età degli Dei finisce. L’età degli eroi finisce. L’età degli uomini? L’età della poesia finisce. L’età della prosa… “la morte dell’arte” (Hegel). La poesia di Salvatore è un’eterna domanda che ci pungola, come socratico tafano, alla ricerca: «Una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta».

Continua su Insubria Critica

domenica 12 gennaio 2025

”fare uscire dal buio, chiamare fuori”

Biagio Accardo, Esercizi di riparazione, peQuod 2024, collana Portosepolto, volume a cura di Massimiliano Bardotti

recensione di AR


Nella Nota dell’autore a p. 98 troviamo queste parole: “La raccolta rappresenta un modo di esprimere la mia gratitudine nei confronti di tutte le persone il cui amore ha consentito che io fossi ciò che sono, nella convinzione però di non essere mai riuscito a rispondere adeguatamente a quel dono. È anche la dichiarazione di fede nella poesia, che è sempre parola che risana, che ripara, ma anche dichiarazione di fede nel mondo, nelle cose, nella loro irriducibilità alla parola (…)”

L’ultima poesia del libro (p. 97), scritta in corsivo, è rivolta a un “… te che non ami essere detto. Ma tu / sei ciò che esonda il segno, / (…) / … Inutile seguirti, / restare fedele alla tua traccia / sul terreno: tu vai dove vuoi, / torni quando vuoi, e c'è canto / se ci sei, silenzio se ci abbandoni.

A p. 96 Biagio confessa: “… A volte ti scopri di stare / sulle spalle del buon Dio / e vedi le cose come lui le vede, / non corrose dal tarlo del tempo. / Chissà perché, poi scivoliamo / da quelle spalle, e da sotto, / dall‘angolo in cui siamo finiti, / il disegno ci sfugge, la prospettiva si stringe, / (…)”; e a p. 86: ”Ancora viviamo con l’idea di un Dio / da cercare, da trovare come si trovano le patate / (…) / Il meglio di lui lo dicono i poeti: lo annunciano / e non lo sanno. Per questo la loro parola / gli somiglia: non nasce da alcun desiderio, / è solo il frammento, un frammento caduto della sua eternità.”

Il verso che intitola questa recensione è tratto dalla poesia a p. (87): “Dare il nome è rubare la magia al buon Dio, / fare uscire dal buio, chiamare fuori / da sepolcri di pietra. Chi diede un nome // mischiò materia e anima, le chiamò / a stare insieme per l’eternità. …”

Risaliamo le pagine di questa vibrante raccolta: ”È proprio così il vero giusto: / il vero non si deduce, / irrompe, là dove mai nessuno se lo aspetta.” (p. 77); “Non fare tramontare il mondo / su parole che sanno solo di te, su pensieri / così definitivi da non lasciare / spazio a nessuna contraddizione.” (p. 75); “Se in una poesia non s’intrufola / qualcosa del nostro povero mondo, / che ne sarà di lui, del mondo dico, / del mondo che si è fidato di noi / e c’è venuto dietro come un cane mansueto?” (p. 69); “Scegli per sorella la povertà / (…) / che terge il cuore / e assottiglia lo spessore / tra tempo ed eternità.” (p. 57).

Sono poesie di ricucitura degli affetti, dei ricordi, delle cose, dei sentimenti… questi intensi Esercizi di riparazione. Accardo ci squaderna il grumo essenziale e intimo del suo stare al mondo con un dettato esatto, preciso, netto che ha la forza assoluta di un lascito testamentario. La lingua scoperchia il suo sentire con una capacità visionaria affascinante: ci troviamo catapultati nei luoghi suoi ventosi (“sono da sempre un esule / e un vento dorme nelle mie vuote stanze.” p. 34), ci sembra di toccare con mano gli oggetti descritti (“Chiedo perdono alle cose che ho chiamato / a riempire il vuoto della mia pagina.” p. 25), di aver accanto le persone invocate, di provare noi stessi i sussulti che il poeta con il suo sobrio ma inesorabile canto ci descrive. È un libro stupendo, definitivo: ci trasporta sulla soglia dell’oltre e ci scuote, con amore. Sì perché sottotraccia ci invita a una evangelica vigilanza per cogliere i bagliori di senso disseminati lungo il percorso di vita di ogni persona. Bisogna prestare attenzione, svuotarsi a poco a poco di un io che ha paura del vuoto e lo riempie di idoli che hanno la solidità della sabbia. 

Propongo ancora qualche lacerto: “… cos’è / la vita se non regge nemmeno il ricordo, / e le strade, persino quelle sbagliate, / quelle sconsigliate, sono già tutte cancellate, / tanto che anche perdersi resta un sogno, / e si resta fermi qui, su questa soglia d’orme, / dove si va da ogni parte / e non si è mai da nessuna parte.” (p. 43);  

Biagio dice alla/della poesia (p. 51): ”… sussurra, chiama, non gridare; / distingue se puoi, non giudicare; / (…) / sii per tutti come la giusta maglia, / né di misura stretta, né di più larga taglia.”; “… la vera poesia se viene, se ce la fa a nascere, / non dovrebbe tradire quello che il gesto / la scia nella carne, e si dovrebbe scrivere / con una penna il cui inchiostro è prossimo al sangue.” (p. 39). E nella poesia di esergo (p. 13) si chiede: “Ma che erano i versi / prima che fossero? Un rossore / forse, lo sbiancare del viso, la trepidazione – / qualcosa insomma / tra le righe … / (…) / Ma la verità è così: bisogna / andarsela a cercare, / anche se ci costringe al fuori pista.” 

Poesie di Enea Roversi, da sensibile alle minuscole (puntoacapo Editrice, 2024)

 


allo specchio

 

dentro lo specchio l’occhio rumoreggia

cerca una spiegazione a ciò che appare

le valvole del cuore marciano al loro ritmo

soppesato il pensiero andrà crescendo

mitralico momento mnemonico memento

egli ora pur stupito poi si convincerà

l’immagine riflessa è proprio ciò che sembra

rarefatta conferma da non cercare altrove

eppur qualcosa muove in nuova direzione

altro sguardo (non visto) di sghembo lo sorprende


 

stilemi

 

alla larga dagli stilemi, sia ben chiaro

la musa prende fuoco ai lombi sacri 

giambo jumbo ricusa la sortita   

il cavalier cortese accusa il colpo

versi da quattro soldi trucchi malcelati

non troveranno certo via d’uscita

il gorgo della noia infine prevarrà

fumi dalla cucina e penetranti odori

note dissonanti e tonitruanti voci

parla a vuoto alla platea distratta

lo stanco cerimoniere senza idee



dramma in tre atti

 

I

 

la fiera degli inganni porta lacerazioni

urge ritrovare un nesso subitaneo

la palla che rimbalza ha un suono cadenzato

vive di vita propria il sogno mai interrotto

 

II

 

le bestie dal sacro cuore annusano estasiate

nell’angolo incantato tra i muri putrescenti

il ras ha un dente d’oro che luccica nel buio

nel fondo della rete soverchia e inospitale

 

III

 

fiotto di umore rosso scorre lungo la strada

la palla rimbalzando ha emesso un sordo tonfo

assorbe la narice il miasma della fine

nel soffocante buio si scioglie la materia

 

 

 

 Enea Roversi, da sensibile alle minuscole (puntoacapo Editrice, 2024)


Enea Roversi è nato a Bologna, dove vive.

Si occupa di poesia da molti anni e ha collaborato con diverse realtà.

È stato pubblicato su antologie, riviste e blog letterari.

È stato premiato in numerosi concorsi e ha partecipato a letture in rassegne e festival.

Le ultime raccolte pubblicate sono: Incroci obbligati (Arcipelago Itaca, 2019), Coleoptera (puntoacapo Editrice, 2020, Premio Città di Acqui Terme 2021), Incidenti di percorso (puntoacapo Editrice, 2022) e sensibile alle minuscole (puntoacapo Editrice, 2024).

Si occupa anche di arti figurative (collage e tecnica mista).

Fa parte dello staff del festival Bologna in Lettere.

Gestisce il sito www.enearoversi.it e il blog Tragico Alverman.

 

 

 

 

sabato 11 gennaio 2025

 IRMA KURTI - Poesia di Albert Janetschek, Austria, in tre lingue. Dal progetto “Poesia senza frontiere”, Fondazione Culturale “Ithaca” in Spagna di GERMAIN DROOGENBROODT


GIARDINO DEGLI ANIMALI

 

Nello zoo

della nostra politica

si trovano quasi tutti gli animali

dall'asino

al lupo ─

manca

solo il gufo

che può vedere

al buio.

  

Albert Janetschek, Austria 1925 -1997

Pittura di Patrizia Ambrosini, Italia


Dal progetto “Poesia senza frontiere”, Fondazione Culturale “Ithaca” in Spagna del poeta e traduttore di fama internazionale GERMAIN DROOGENBROODT. Traduzione in lingua italiana e albanese a cura di IRMA KURTI

  

ANIMAL GARDEN

 

In the zoo
of our politic
are almost all animals
from the donkey
to the wolf ─

only the owl
is missing
who in the dark
can see.

Albert Janetschek, Austria 1925 -1997

Translation Germain Droogenbroodt

Painting by Patrizia Ambrosini, Italy

 

From the “Poetry without borders” project of the Ithaca Cultural Foundation in Spain directed by the well-known international poet, translator and publisher of modern poetry GERMAIN DROOGENBROODT. Translated into Italian and Albanian by IRMA KURTI.

 

 

NË KOPSHTIN ZOOLOGJIK

 

Në kopshtin zoologjik

të politikës sonë

ndodhen pothuajse të gjitha kafshët

nga gomari

tek ujku ─

vetëm bufi

mungon

që në errësirë

mund të shohë.

 

ALBERT JANETSCHEK, Austri 1925 -1997

 

Piktura nga Patrizia Ambrosini, Itali


 Nga projekti “Poetry without borders – “Poezia pa kufij” i Fondacionit Kulturor Ithaca në Spanjë drejtuar nga poeti, përkthyesi dhe botuesi i njohur i poezisë moderne ndërkombëtare Germain Droogenbroodt. Përkthimi në italisht dhe në shqip nga Irma Kurti.

 

 

 

 

 

 

 

 

venerdì 10 gennaio 2025

Senza amore non c’è vita

Adamo Antonacci e Massimiliano Bardotti, Il privilegio dei vivi. Conversazioni sulla morte e sul morire, Eretica Edizioni 2024

recensione di AR





È un libro essenziale inteso sia nel senso della sobrietà e leggerezza calviniana che lo connota, che in quello di essere un testo fondamentale, per l’argomento che tratta e per la profondità intrisa del vissuto dei due autori con cui affronta il tema della morte. Scrive Adamo in poesia (p. 84): “Nel frequentare l’infinito del verso / frequento la mia stessa morte. / Acquisto dimestichezza con l’eterno.”
Gli fa eco a p. 94 Massimiliano: “Morte è tale, che se vorrai guardare / dentro di te, quando è entrata / vedrai l’eternità.”

Rispondendo a una domanda di Adamo sul corraggio dei primi cristiani, Massimiliano afferma (p. 76): “Quei cristiani lì ci sono ancora. Certo, ci vuole coraggio, ma tutti i grandi della storia  hanno avuto quel coraggio lì. E ci vuole coraggio per indagare la vita perché è un grande mistero, e appena cominci la prima cosa che incontri è il mistero di te stesso.”
Risalendo le pagine di questo avvincente dialogo, Adamo cita (p. 72) “Simone Weil quando dice: ‘Non è compito mio pensare a me stessa. Il mio compito è pensare a Dio. Spetta a Dio pensare a me’.”
A p. 68 Massimiliano, dopo aver citato Bergonzoni (“Non basta venire al mondo per essere nati.”), continua: “Ecco, credo che morire sia il privilegio dei vivi: per morire dobbiamo essere vivi. Ma noi siamo vivi?”
Precedentemente aveva confessato (p. 57): “Sono arrivato ad essere felice per alcuni miei fallimenti, che mi hanno obbligato, con grande dolore, a cambiare strada e a rinunciare a delle cose che credevo di volere, che credevo importanti per la mia realizzazione. Invece erano solo delle tentazioni che mi avrebbero deviato dal mio percorso.”
Poco prima (p. 55) troviamo questo passaggio: “… secondo me c’è una compenetrazione dei mondi in realtà, cioè il mondo invisibile è qui, non lo vediamo ma è qui. I nostri morti sono con noi, i santi sono con noi, gli angeli sono con noi…”. E ancora a p. 43: “Credo ci sia una intelligenza divina dietro alla creazione. E se è così, chi ci dice che noi non siamo i frammenti, le particelle di quel Dio che ha creato tutto?”
Sempre Massimiliano a p. 38 dichiara: “… la morte è un compimento totale, cioè, se l’uomo vive confrontandosi con l’idea della morte, non può che mettere in atto un desiderio profondo di fare delle cose grandi in un tempo limitato.”
E a p. 27: ”… che ne sappiamo che la vita non sia questo? Che la vita non faccia così anche con noi, che a volte ci assegni prove anche atroci e che ci appaiono insuperabili, ma che l’affrontare quelle prove sia esattamente la nostra salvezza?”

A p. 25 Massimiliano di dona questa stupenda definizione: ”Vivere è il tratto di strada che facciamo per crescere nell’amore!”

Siamo infine arrivati alla intensa prefazione di Valerio Grutt che mette in mano (p. 10) una chiave di lettura fondamentale: “C’è una corrente che regge l’opera, in tutti momenti e movimenti, queste pagine sono sostenute da qualcosa, potrebbe essere la fede, potremmo chiamarla così ma rischieremmo di non capirci, potrebbe essere la sincerità di un dialogo tra amici, ma non basta, non basterebbe, qui c’è una cosa più grande, una cosa di tutti, che non lascia sprofondare le parole nel bianco del foglio, è una corrente, una forza, questo libro è sostenuto dall’amore.”

Non posso che sottoscrivere e invitarti ad immergere i tuoi stessi occhi in questa rigenerante corrente.