giovedì 17 ottobre 2024

Un’esperienza estetica intensissima

Guglielmo Aprile, Appunti eoliani, Fara 2024

recensione di Raimondo Colamacchia
pubblicata su Diacritica


L’ultimo nato tra i lavori lirici di Guglielmo AprileAppunti eoliani (Fara Editore 2024, silloge premiata all’ultima edizione del prestigioso concorso Faraexcelsior), è opera che esibisce un indubbio coraggio nel prendere le distanze dalle tendenze più battute della poesia che si va facendo oggi in Italia, tanto per le modalità espressive adottate quanto per le scelte tematiche.

L’incontro con un luogo carico di suggestioni naturali, l’arcipelago delle Eolie, si fa spunto per un’esperienza estetica intensissima, che eleva il dato biografico del viaggio a occasione di stupefatte accensioni visionarie. Contemplando quei paesaggi marini di aspra e selvaggia bellezza, non contaminati dall’intrusione dell’uomo, e in cui anzi l’elemento antropico tende alla sparizione, l’autore percepisce la vitalità intatta delle forze originarie, demiurgiche e primordiali, che nel corso delle ere hanno modellato i profili di isole, golfi e promontori, spianando le valli e innalzando le alture, in un’area geografica, quella che comprende il Tirreno e le numerose formazioni geologiche generate dalle sue profondità, segnata da un’attività vulcanica ancora feconda, che fa pensare a scenari caratteristici della turbolenta giovinezza del mondo.

La pagina ritaglia uno squarcio attraverso il quale guardare indietro di secoli, quando i primi naviganti giunti dalla Jonia ormeggiavano le loro imbarcazioni nelle insenature da colonizzare, fino a un’epoca remotissima, anteriore alla civiltà e alla comparsa della nostra specie e delle sue istituzioni: un tempo oscuro e sepolto dal divenire della storia umana e di quella della Terra, nel quale gigantesche energie in lotta scatenate esplodevano in tutta la loro fragorosa potenza, per plasmare il volto perpetuamente mobile e in trasformazione del pianeta, suscitando dal caos anteriore alla genesi «la rosa di tutte le albe» e innescando «nel sangue di uomini e Dei» l’impulso di scorrere (Pietre viventi, p. 11).

Le falesie di Lipari o di Vulcano, con le loro fisionomie tormentate, martoriate dal prolungato accanimento dei flutti, trasmettono una testimonianza dell’antichità degli elementi e del loro processo distruttivo e insieme creativo, e con la maestosità del loro aspetto rivelano a chi le scruti un’impronta del divino, tanto che a esse ci si accosta con la deferenza e il senso di soggezione che istintivamente il divino impone; e perfino la realtà minerale si scopre viva, in quanto nel proprio atavico sonno conserva «la memoria / delle comete, di vulcani e fulmini» (Museo del mare, p. 47).

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martedì 15 ottobre 2024

Creare ponti e non barriere

Daniele Beghè, Chicane, Avagliano Editore 2024

recensione di Giancarlo Baroni



«Ognitanto dalla sua poesia si stacca una vita / ognitanto dalla sua vita si stacca una poesia». Ho letto questi lapidari versi di Piero Jahier nel volume curato dal critico Paolo Briganti intitolato Poesie in versi e in prosa (Einaudi, 1981). Mentre leggevo pensavo che in qualche modo  esisteva una  sintonia fra i versi di Jahier e le poesie di Daniele Beghè contenute nella raccolta Chicane appena pubblicata da Avagliano Editore; poesie caratterizzate da una osmosi, da uno scambio continuo fra vita e letteratura, da un rapporto dialettico fra esistenza e scrittura.  

La penna di Beghè è intinta nella condizione umana che tutti ci accomuna e, nello stesso tempo, sceglie di raccontare e mettere in risalto la condizione delle persone più umili (gli sfruttati per esempio), meno etichettabili, più stravaganti e per diversi aspetti più interessanti. «Nelle poesie di Beghè», scrive nella sua intensa nota critica Daniela Marcheschi, «un io mai autoreferenziale privilegia lo sguardo orientato verso il quotidiano: quello di una vita urbana straniante nella gravezza di un lavoro insicuro, fra strade che si aggrovigliano e si dipanano in curve e rettifili; piazze affollate; e auto e camion che vanno e vengono. Eppure in questo mondo convulso ci sono anche luoghi reali e metaforici – le chicanes – che impongono lentezza, e persone e oggetti carichi di memoria che ne fanno scoprire altro, e di ben altro valore».

Cosa significhi la parola Chicane del titolo lo rivelano questi versi: «Sul lungo rettifilo il tachimetro / continua a salire insieme alla tachicardia / del pilota. Il motore scarica / a terra tutta la riserva di potenza, / in quel punto preciso del circuito / basterebbe un cane senza guinzaglio / o un sasso sull’asfalto a buttare / fuori strada un asso del motore. / In quel punto interviene il progettista / […] / a disegnare esse in serie, curve / strette di raggio, in contro direzione». Il fatto che chicane sia contemporaneamente  il titolo della citata poesia, dell’intera raccolta e di una delle cinque sezioni che la compongono fa capire l’importanza di questa parola-metafora per l’autore.

Il titolo della prima sezione del libro, Rettilineo, e quello della terza, Andirivieni, mi sembra formino assieme al titolo della seconda sezione, Chicane,  un trittico che allude e rimanda alle età delle nostre vite. Da giovani si viaggia veloci accelerando lungo il rettilineo quasi a sfidare tempo e spazio; per impedire ed evitare lo schianto occorrono delle curve dalla controllata e modesta forza centrifuga, delle svolte  che stimolino la frenata e inducano a comportamenti più prudenti e tipici dell’età matura; più tardi si rallenta come se gli anni trascorsi e l’andirivieni dei ricordi facessero da attrito («coagulo di memoria») rallentando progressivamente la spinta. 

Nei versi di Beghè il paesaggio coincide spesso con una estrema periferia confinante con la pianeggiante Bassa parmense.  Si tratta di un quartiere che mescola segni arrugginiti di incuria e di degrado («il distributore in stato d’abbandono», «i cestini stracolmi»…) con tracce di una resiliente autenticità che sopravvive principalmente, come onirica archeologia dei sentimenti degli oggetti e delle creature viventi, nei ricordi di chi l’ha vissuta: «Ogni tanto, una volta l’anno o giù / di lì, nel campetto fra gli scivoli violati / dalle bici da cross, arrivava nel terso / e nel piombo degli anni settanta / […] / un circo dimesso: due asini, un’oca / guerriera, una cocherina infiocchettata. / La barbetta della capra, gli spicchi / gialli e verdi un po’ sgonfi, la trombetta / del clown accendevano i nostri occhi / non ancora ammaestrati». 

Di fianco a «resti di campagna», di lato a una terra piatta in cui sono i pioppi «la sola dimensione verticale», si estendono isolate le ingombranti e imponenti  presenze della contemporaneità come ad esempio gli ipermercati. Può accadere che in un’area limitata convivano «una chiesa medievale / e una bruttura industriale / […] / un’aiuola fiorita e un hangar scoperchiato». A volte il presente si manifesta con forme quasi inquietanti e aggressive, come ad esempio l’auto che «avanza solitaria con ruote / enormi, alte come un cavallo baio» o «il braccio che gira in tondo di una gru» o «un camion che arriva in una baia / di cemento armato»… 

Beghè ascolta con partecipazione ed empatia le voci delle persone comuni mentre «parlano dei figli e della scuola / dei contributi della badante / ucraina della madre, delle vacanze», osserva con ammirazione l’amico giardiniere che come «come un poeta senza editore / pota le piante di mestiere. / Scala la cascata di luce / che precipita tra le foglie / lucida della magnolia, / appeso a un vetusto / imbrago», condivide lo sforzo e l’impegno di chi, nonostante tutto, cerca di creare ponti e non barriere, un ponte «che non ti renda isola». Afferma ancora Daniela Marcheschi: «In una realtà resa ipertrofica  e che corre e corre lungo i giorni, il poeta ci sospinge a guardare sempre più lontano, verso un orizzonte metafisico».

Alla fine della raccolta, l’autore prega e spera sia proprio poesia ciò che scrive. I versi  che in questa recensione ho citato confermano che ci troviamo di fronte a una  poesia di assoluta qualità. Chi leggerà per intero Chicane se ne convincerà ancora di più.

lunedì 14 ottobre 2024

Bruno Bartoletti alla Baldini di Santarcangelo 18 ottobre 2024 ore 18:00

Per la serie Frammenti Santarcangiolesi, vi aspettiamo il prossimo venerdì 18 ottobre alle ore 18:00 in Biblioteca Baldini, dove Bruno Bartoletti presenta La notte ha un sapore di cose lontane (raccolta antologica 1997-2023), Fara Editore. Dialogheranno con l’autore Nais Aloisi, Scilla Mastini, Juri Monti.
Sarà presente Alessandro Ramberti.


Ormai non resta che aspettare… gli ultimi trenta anni di lavoro sono racchiusi in questo libro.

Non sappiamo se ci saranno ancora altre parole. Le parole arrivano, passano, ritornano, a volte riposano per anni, ma sono lì, aspettano solo di prendere forma. Il tramonto si avvicina e le foglie cominciano a cadere, una dopo l’altra, piano ma con moto inarrestabile. Sono le foglie che hanno consumato tutta una esistenza sotto il sole o nel vento e che hanno amato e sorriso ai tanti che di qui sono passati.

Altre foglie verranno, non noi, i nostri rami si stanno seccando. Ora lo sappiamo con certezza e lo sapeva anche Giovanni Drogo, il protagonista dello splendido romanzo di Dino Buzzati, che, dopo aver consumato una vita in attesa dei nemici, stanco e malato, steso in un anonimo letto di una locanda, sapendo che tra poco dovrebbe levarsi la luna, dà uno sguardo fuori della finestra, una brevissima occhiata, per l’ultima sua porzione di stelle. Poi nel buio, benché nessuno lo veda, sorride.

Questo sorriso è ciò che ci salva, la consapevolezza che in fondo, nonostante tutto, qualcuno ci aspetta sempre dietro l’angolo.



Bruno Bartoletti nasce a Montetiffi e vive la sua gioventù a Ponte Rosso di Pietra dell’Uso, frazioni del comune di Sogliano al Rubicone (FC), dove ora risiede. Laureatosi nel 1967 in Materie Letterarie presso l’Università degli Studi di Genova, nel 1974 è nominato assistente ordinario alla cattedra di Storia della letteratura italiana moderna e contemporanea presso l’Università degli Studi di Torino, nomina a cui rinuncia per dedicarsi all’insegnamento. Svolgerà dal 1981 al 2008, anno della pensione, la funzione di preside negli istituti tecnici.

Uomo di scuola e promotore culturale, solo molto tardi inizia a pubblicare: nel 1997 Trasparenze – Frammenti di memorie; nel 2000 Le radici; nel 2001 Parole di Ombre; nel 2005 Il tempo dell’attesa; nel 2012 Sparire in silenzio ritrovando il vento delle strade; nel 2017 I volti non hanno più nome; nel 2019 eppur, felice te che al vento; nel 2023 Una remota stazioneraccolta antologica 1997-2023.

Nel 2017 esce il saggio È sempre lunedì «Voglio ringraziarvi tutti per avermi concesso di insegnare», in cui raccoglie le sue esperienze di scuola; nel 2018 Ma i veri viaggiatori partono per partire: è il suo primo libro di narrativa, portato in scena nel 2019 dalla Compagnia teatrale “Samarcanda”, con la regia di Nais Aloisi. Nel 2021 Lunga è la notte che non trova mai giorno; nel 2022 Storia incompiuta di un solitario viaggiatore.

INFORMAZIONI
Ingresso libero.
📞 0541 356299
📧 biblioteca@comune.santarcangelo.rn.it

domenica 13 ottobre 2024

“Ogni giorno cerco di capire” di Carla De Anglis 1° sez. Poesia espressionista al Leandro Polverini!

 PREMIO NAZIONALE 2024 POESIA EDITA
Leandro Polverini
con il patrocinio dell’Assessorato alla Cultura
della Città di Anzio
 

 
Gentile Carla De Angelis,
 
siamo lieti di comunicarle che il suo libro di liriche Ogni giorno cerco di capire all’esame della giuria ha ottenuto l’assegnazione del 1° posto nella sezione Poesia espressionista. In merito alla raccolta la giuria ha redatto la seguente motivazione.


L’Autrice romana parte da istanze personali, ma la sua non è mai poesia dell’Io in senso strettamente e limitatamente autobiografico e diaristico, perché ingloba quella che possiamo definire una visione operativa del mondo basata su una serie di antinomie comportamentali ed etiche. Lo stile è essenziale ma delicato e appropriato ad ogni differente tema. Il verso è generalmente breve e stringato ma le sonorità sono sempre gradevoli e, a una semplice lettura a mezza voce, si può rilevare la mite cantabilità delle frasi poetiche.

Il presidente della giuria
Luciano Catella
 
Secondo quanto previsto dal bando, le compete, quindi, il quadro locandina. I partecipanti alla presente edizione del concorso sono stati 45. Fra questi, i primi 10 classificati assoluti, le 5 migliori copertine e le 5 migliori prefazioni sono vincitori di un quadro. I restanti sono stati suddivisi in sezioni poetiche.

Premio Speciale Portus Veneris Tematica a “Non so resistere”

Bicentenario della morte di Lord Byron 1824-2024

Poesia Edita

1° Premio MICHELA MANENTE 5-7-5 haiku 3-6-6 giorni
2° Premio LAURA MARIA GABRIELLESCHI Vado a memoria
3° Premio FEDERICA INTRONA Resistenti al buio

Premio della Giuria
NORMANNA FERRO L’innocenza del verso

Premio Speciale del Presidente di Giuria
LORENZO LEPORATI Un giardino per ciechi

Premio Speciale Porto Venere Golfo dei poeti
RITA IMPERATORI Di questo nostro esistere
STEFANO BALDINU Finestre
SILVIA ALBERTAZZI Mio padre somigliava a Dustin Hoffman
RAFFAELE FLORIS La macchina del tempo
GIOVANNI RONZONI Frammenti
MAURO MONTACCHIESI Labirintismo

Premio Speciale Portus Veneris Tematica
ALESSANDRO RAMBERTI Non so resistere
MATTEO LATERZA BALDUS


“… e intorno la frenesia / di chi si crede eterno.”

Franca Oberti, Terzo tempo. Poesie dell’imbrunire, stampato in proprio, 2023

recensione di AR

Una raccolta di versi e considerazioni che ci invita a vivere con apertura mentale, passione e fiducia il nostro cammino. Gli altri, come tutti noi, possono avere limiti, insufficienze; possono persino ostacolarci e ferirci, anche all’interno dei legami affettivi più intimi, ma è sempre possibile trovare del bene, e non di rado ci sono di aiuto persone che mai avremmo pensato potessero esserci vicine. La vita è ricca di sorprendenti contraddizioni. Tragedia e commedia si intrecciano. Noi stessi o popoli interi possiamo essere prostrati da situazioni di insostenibile dolore, schiacciati da un male che sembra illimitato, crudele, insensato. L’intero pianenta è sconvolto e violato: Franca non fornisce risposte tetragone, ma ci offre la sua esperienza, la sua empatia, e ci spinge a ad aprirci a quanto sta oltre (il nostro io, il nostro gruppo), al di là (dell’esperibile, del misurabile). Ad esempio, inizia la poesia Ora della Messa (p. 29) con queste parole di speranza: “Entro alla lettura del Vangelo, / mi basta, / mi lascio penetrare / dallo Spirito e dalla Parola.”
Leggiamo ora integralmente Puntare gli occhi al cielo (p. 25): 

“Quando si aprono
le porte del bene
si deve scavalcare
l’abisso del male.
Servono preghiere,
un ponte levatoio,
da oltrepassare
puntando gli occhi
al Cielo.”

O facciamo nostro l’incipit di Anime (p. 23): “Siamo anime in transito / tra cielo e terra e facciamo attenzione / a non farci risucchiare dalla materia.”

Consideriamo questo passaggio della riflessione intitolata La differenza (p. 22): “Per me questa è la Spiritualità: essere coscienti che ci sarà sempre un prima e un dopo che non dipende dagli esseri umani e che le nostre anime hanno un compito per completare la Creazione.”
Come suggeriva Baden Powell, ogni persona può fare quotidianamente dei piccoli gesti per lasciare il mondo migliore di come l’ha trovato. Franca ci ricorda che: “Non sappiamo / essere grati / per ciò che siamo, / per ciò che abbiamo.” (Incompletezza, p. 20). 

Per concludere, desidero calarmi con lei (e con te)  nei versi di Pretese (p. 9, anche questa poesia la cito interamente)

“Navigo nell’ambiguità
vivere o lasciarmi vivere,
oppure rincorrere la vita?
Mi manca un equilibrio,
chi sono io per pretendere ancora?
E quelle volte,
quando sento meno le certezze,
provo a fermarmi, rifletto
e dopo un po’ sento salire un’Ave
.”


PS Il distico posto come titolo di questa recensione è tratto da Tramonto, p. 7.   




venerdì 11 ottobre 2024

It's friday!: poesie inedite di Roberto Chiodo


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


It's friday! è una rubrica a cura di Annalisa Ciampalini

 

 

Ridevano come principesse

 

Ridevano come principesse

le orecchie a sventola

chi fumava credendosi già grande

nei mugugni rinnovati e malinconici.

Ridevano come pensatori

nei sapienti paradossi

tra le albe innamorate

nelle piccole esistenze

tra i sordi e gli impotenti.

Era gente di qua

sopravvissuti

chi ti accoglieva, chi ti ammirava.

Le solitudini di un tempo

senza riserva

cosi giovane

a riprenderci

le occasioni

le lezioni di una vita

quel che ci siamo perduti

quel che fa ancora male

e chi piange

nei ricami nascosti

tra le feste

come stelle nobili e rifiorite.

*

 

Lo scorrere pigro del tempo

 

Lo scorrere pigro del tempo

dipinto in una forma

illuminata

che accompagna

lo stesso cielo

riconoscente, delicato, insonne.

Ci si domanda dei margini

dei vincoli

perfettibili

di questa gradevole brezza

delle svolte

dei frammenti

indistinti

di chi ancora ricorda

le paure

che mi stringono

che non disturbano

che non si piegano

di quel domani

che vidi nascere ora.

*

 

Stazioni adolescenti e quiete

 

Stazioni adolescenti e quiete

chioschi di confine

che cambiano colore

nei labirinti

di selvagge vie

nei pensieri

affollati e contagiosi

dove ci perdiamo nuovamente.

Proteggimi da queste note storte

raccattate e dismesse.

Proteggimi dalle bruciature

a mia insaputa

dalle scuse sempre pronte

da questi incroci necessari

per trovare riparo

in unico corpo

che ci sorprende

nelle trame infinite

sul set di un film di Fellini

nei malintesi

nei valori ai più sconosciuti.

Che la parola ci porti

lontano

negli intervalli della vita

nel tuo conforto

il più perfetto

il più amato.

Quel lasciar tracce

 

Quel lasciar tracce

nelle curvature deboli

delle strade

nelle vite segrete

tra i corpi sereni

nei labirinti

dove ti perdi

dentro i secoli

popolari e terreni.

Quel lasciar tracce in una stanza

a nascondere i deboli umori

i passi immutati

quel posto illuminato

quelle licenze poetiche a noi consentite.

Le ingenuità e il dispiacersi

gli scaffali vuoti e gli abiti leggeri

e quei falò

di fine estate

al tramonto

nei paesaggi pessoiani

e le storie segrete

in decadenza

come fili ordinati

legittimi e scoloriti.

*

 

Di questa stonata storia d’amore

 

La tua voce ai bordi

a centrocampo

tra le piaghe

malinconiche e imperfette

maldestre e spettinate.

Occhi e orari

adolescenti

popoli privati e zerbini

quel ritrovarci per separarci.

La tua voce ai bordi

che si fa necessaria

avvincente

primordiale

che mi hai donato

favolosa

a ricordare

per scale spente

le battute finali

le rare stelle

di questa stonata storia d’amore.


Roberto Chiodo è nato ad Acqui Terme nel 1975. Diplomato al Liceo Linguistico Quintino Sella di Acqui Terme nel 1994 si è laureato in Scienze dell’Educazione all’Università di Genova con una tesi sulla prevenzione del suicidio tra gli adolescenti nel 2000. Ha lavorato come bibliotecario e catalogatore in diverse biblioteche. Nel 2015 ha aperto la biblioteca di poesia italiana contemporanea “Guido Gozzano” che conserva oltre 9500 libri ed è il primo esempio in Piemonte di biblioteca dedicata esclusivamente alla poesia.
È l’ideatore e il responsabile della Segreteria del Concorso nazionale di poesia e narrativa “Guido Gozzano”.