lunedì 27 ottobre 2025

‘“… e la mia anima prende la forma del tuo fianco.”

Filippo Amadei, Radici a radici, peQuod 2025

recensione di AR



Nel campo ancora tutto verde / si è aperto un unico girasole / (…) / È come la poesia, che per prima sente / l’amore che brucia e non ha paura / di essere sola.

Con questi versi infiammati si conclude la nuova raccolta di Filippo: un lascito che ci ricorda come, se non c’è desiderio, se non c’è trasporto verso l’altro da sé, non c’è poesia. 

Il libro è scandito in quattro sezioni: 1. «Gli occhi appoggiati appena a un sogno», 2. «Un incubo stupendo», 3. «Il tuo corpo parla un alfabeto nascosto» e 4. «C’è sempre un rimedio». Ogni sezione, tranne «Un incubo stupendo» che contiene delle prose poetiche, ha una poesia incipitaria in corsivo e un poesia finale pure in corsivo.

Le parole che danno il titolo alla silloge le troviamo nella terza sezione a p. 50: “(…) / il tuo vuoto stellare risuona nel mio / perché l’amore salva dalla vita  / ma non da sé stessi. E ora il tuo / tortuoso cammino, giunto ad un bivio / si è congiunto al mio, legandomi / una promessa nelle viscere / intrecciando radici a radici.”

C’è un’attesa trepidante a cucire questo intreccio di versi sempre in divenire e in tensione, in ascolto di sé, di chi è in relazione con noi, delle stagioni che attraversiamo, degli eventi che ci cambiano… come nella prima poesia (p. 9): “Non mi rassegno a trattenere invano / l’ultimo angolo del tuo mantello / di sole, estate mia saluti così / all’improvviso, di spalle / (…) / mi giunge più forte il tuo calore / quando proprio non ci sei / quasi più, quando ritorni un pensiero / irraggiungibile come l’amore.” 

Filippo ha un timbro asciutto, ci offre immagini radicate nel profondo della sua storia di 45enne, un’età importante come i 35 ai tempi di Dante, e questa maturità ed esperienza di vita si esprime con uno stile levigato, nitido e coinvolgente: i suoi versi ci abbracciano, si insinuano nei nostri pensieri con una discrezione potente, sensuale, emozionante. Nei versi appena citati, ad esempio, il lembo del mantello mi ha subito richiamato il racconto biblico di Eliseo che raccoglie il mantello (quindi la forza profetica) di Elia (2Re 2,13), e poi quello della emorroissa di cui ci parlano i Vangeli sinottici, cito da Matteo 5,28: «Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita». La poesia può investirci, rivestirci e magari perfino guarirci? 

Lo sguardo poetico del Nostro è senz’altro fiducioso nella forza comunicativa, nella capacità di con-vibrazione dei versi, quando li ascoltiamo con attenzione e li facciamo discendere nel profondo.

Consideriamo quanto “umanizzato” sia il correlativo oggettivo della foglia cadente a p. 11: “«Quando facciamo un pupazzino», dicevi / tremante ancora di voglia, una foglia / scossa dal fremito dell’amplesso / come appena staccata dal sacro / albero del desiderio, ma ancora viva / nel volo oceanico verso il dolce riposo del sonno (…)”. O questo (p. 13): “Ma come tira il vento, piega / la bandiera del guardaspiaggia / (…) / come sbatte alla rinfusa, obbediente / a un destino invisibile, quasi in preghiera / contro la rabbia del mare / agganciata al palo, mentre desidera / solo di essere strappata via / (…)”.

Siamo attirati nell’orbita gravitazione del poeta forlivese non per forza ma per affinità, perché il suo sguardo e il suo trasporto possono essere i nostri e anche quando non lo sono li sentiamo comunque consonanti, li comprendiamo, ne teniamo conto, ne restiamo affascinati: “Tutta la tristezza del mare mi appartiene / (…) / e quale sorte spetterà al nostro amore / smarrito nel vuoto di un bacio / non dato, come il mare che da secoli cerca le labbra / di una terra a cui appartenere.” (p. 15); “(…) / ma se il paradiso è il luogo dell’impossibile / allora mi piace pensare che tocchi a te / proteggermi adesso, che tu abbia preso coraggio / nell’avere chiesto a Dio un po’ di lampi / a illuminare la terra perché sei ancora il mio gatto / e di sapermi al buio non ne vuoi proprio sapere.” (p. 16); “Questa notte ho sentito i passi di mio nonno / (…) / Tutti rumori che mi arrivano / nitidi dal bosco degli anni, sollevano in un soffio / le foglie del tempo, come i gesti e i vostri visi / intrecciati [corsivo mio] nuovamente – sogni vividi / siete, di quelli rari che ti svegli e continuano / a germogliare, mettono radici in questo presente / distante, mai finiti, ma del tutto strappati, come gli amori grandi.” (p. 23).

Noi umani abbiamo radici mobili, ma esse necessitano sempre di un “terreno” di relazioni, di affetti che ci tutelano e ci completano, di amori che lascino tracce durature, di incontri che ci aiutano a conoscerci, a venire fuori dal nostro io, a rompere la solitudine… Anche se gli amori e gli incontri ci possono deludere, ferire, è importante restare aperti alle sorprese della vita, uscire dalle dinamiche del do ut des, non tanto cogliere l’attimo, ma lasciarci attraversare dal momento con la nostra povertà e la nostra ricchezza, accogliere e donare: “F. è un’attesa infinita, distesa al sole sul materassino. Sotto il mare vibra, lascia trasparire il fondo, la chiave e insieme il segreto della sua nudità.” (p. 33); “(…) barba e capelli si confondono, le mani volano / nel tenero nido delle mie scapole / ci scambiamo di posto anche il cuore: / eccoci a casa finalmente!” (p. 45); “Sentilo l’amore, deve farti male / (…) / farti paura fino alle ossa / come l’uomo primitivo al calare / del primo sole sulla terra / (…)” (p. 47); “(…) / devo chiederti in prestito la voce / per completare il discorso / perché il senso a volte è un suono / reciproco e alcune parole sono vere / solo dette insieme.” (p. 51); “(…)/ e la mia anima prende la forma del tuo fianco.” (p. 53).

Dissotteriamo un po’ queste radici, intrecciamole poeticamente alle nostre, curiamole reciprocamente con terra buona, evitando “le frasi dette / per dire senza il fondo di un qualche trasporto” (p. 63), constateremo assieme a Filippo che “la bellezza quella vera ti coglie / in un lampo come il mare si palesa / improvviso dietro a un tornante / (…) / fai del giorno il tuo specchio / più sincero, a ogni male / c’è sempre un rimedio / anche piccolo che contiene / tutto te per riparare.” (ivi). 


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