Claudia Piccinno, Quel nido sul gelso, Besa Muci 2025
recensione di AR
Siamo così poco cosa
quando passa l’amore
calpestio di foglie secche
quando muore il ricordo
scampolo di notte.
(da Volo notturno, p. 75)
Questa nuova silloge di Claudia Piccinno è costellata da immagini caratterizzate da una leggerezza cha sa scavare, restare, scuotere, risuonare (“Si piega il ramo insieme al suo tronco / e annuncia il lato oscuro delle nuvole.”, p. 26). Poche parole precise, sobrie, prive di zavorra ci trasportano nel nucleo profondo di noi stessi e lo fanno vibrare grazie ad accostamenti insoliti, creativi, in una parola “poetici” che si sviluppano come fotografie istantanee (“Respira dalla Polaroid di un tempo / il sorriso del babbo.”, p. 61) nella nostra cassa toracica condizionandone il ritmo respiratorio:
Porto i resti di mio fratello nello zaino.
È tutto quel che mi rimane.
Muoiono i bambini in Palestina.
A volte sopravvivono, ma
perdono occhi, orecchie, arti,
un padre, una madre, un fratello.
(da Per Fatma Nazzal, p. 73)
Esplode di notte il dolore
quando non puoi
mentire a te stesso.
Brucia una voragine nel centro del petto.
(da Una voragine al centro del petto, p. 66)
Credo che già gli sporadici estratti qui sopra consegnino al lettore il profumo dello stile di Claudia, capace di trattare in parole/reportage questioni importanti che ci immergono nella responsabilità del nostro vivere, del nostro stare accanto agli altri (perché “nessun uomo è un’isola” e solo coltivando la fratellanza non ci autodistruggiamo), alla natura, cercando di scovarne le bellezza, di discernere ciò che è giusto, amando e accogliendo noi stessi attraverso chi ci è prossimo, amando a partire dai nostri limiti che sono quell’humus che ci insegna appunto l‘umiltà e ci apre ad un Amore che sa trasfigurarli:
Amami nella mia imperfezione
e nei miei errori,
amami nella misterioso inquietudine
che si avviluppa alle mie radici.
(da Amami Dio, p. 23)
A ombrello chiuso
e palpebre assetate,
accolgo le carezze delle nubi.
(da Al davanzale di Dio, p. 21)
Come scrive Enzo Bacca nella coinvolgente Prefazione (p. 14): “Sull’albero della vita, sul gelso della sapienza è ancora intatto il nido, pronto ad accogliere i frutti del creato, la nuova cova. E se qualche pagliuzza è scivolata via col battere del vento, Claudia e pronta a riparare, a rinsaldare, con mani nude e resilienza, con i versi e le braccia aperte sul mondo.”
Osserva poi acutamente Angela Caccia nella Introduzione (p. 8): “la vera forza di questa poesia risiede in uno sguardo immediato e fortemente radicato nella realtà, tale da consentire al lettore di sentirsi immediatamente parte del paesaggio.” Ed è proprio così. Faccio un solo esempio e invito chi legge ad assaporare in prima persona le pagine di questo nido:
Pietre e sole nei giardini del mondo.
Ramarri, gechi, lucertole
corrono nelle corti dei palazzi baronali
per murari al rintocco delle lodi mattutine.
(da Quel nido sul gelso, p. 17)
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