domenica 24 agosto 2025

"Poema autobiografico” di Giuseppe Garibaldi: la voce lirica e polemica dell’Eroe dei Due Mondi





Poema autobiografico” di Giuseppe Garibaldi: la voce lirica e polemica dell’Eroe dei Due Mondi

Nel panorama letterario legato al Risorgimento, la figura di Giuseppe Garibaldi è generalmente associata alla sua instancabile attività militare e politica. Tuttavia, il Poema autobiografico — testo in cui il Generale racconta sé stesso in versi — offre una prospettiva differente, rivelando la dimensione più intima e riflessiva di colui che ha segnato la storia d’Italia.

In queste pagine, Garibaldi ripercorre le tappe fondamentali della propria vita: le avventure in Sud America, le ardite spedizioni militari, l’esilio, il ritorno trionfale. Ma il poema non è soltanto un’autonarrazione eroica. È anche un atto d’accusa: Garibaldi non esita a rivolgere dure critiche alle autorità politiche e militari del tempo, denunciandone ipocrisie, inettitudini e tradimenti verso gli ideali di libertà e giustizia.

La forza espressiva dei versi è amplificata da una lingua intensa, a tratti solenne, capace di alternare il lirismo appassionato alla veemenza dell’invettiva. Il Poema autobiografico non è dunque soltanto un documento letterario, ma anche una testimonianza civile: il ritratto di un uomo che, fino all’ultimo, non ha smesso di combattere — con la spada e con la penna — per la causa che sentiva giusta.

Riscoprire oggi queste pagine significa restituire voce all’Eroe dei Due Mondi in tutta la sua complessità: combattente, poeta e implacabile accusatore delle ingiustizie del suo tempo.



Canto XVI



IL CORRUTTORE



Il campione dell'Idea, il padre

della menzogna e corruttor del Mondo,

discese a patti con chi scrive e, turpe,

l'anima, scellerato, alle sue brame

credea curvarmi, misurando il mio

dal suo cuore di fango! «Il rio Governo

(diceva il messo del furfante) e voi

aborre e in cenci i valorosi lascia

vostri compagni. Io largirò di tutto

questa prode falange, e l'oro, in pegno

della fede del Sire, io qui vi porgo».

«Ite, foriero d'un tiranno, i doni

vostri disprezzo! Alla corrotta schiera

dei ciondolati i doni, e sole a noi

bastan di pan e ferro le dovizie.

Oh! se reietti, malarmati e sconci

ci condanna chi regge, ei sa che Italia

non lui si serve dalla coraggiosa

gioventù, che mi segue. Al coccodrillo

che mi vuol suo, dite: che questa destra

io mozzerò pria ch'essa serva al vile

scellerato disegno e pria che il patto

della mia terra, barattier, io segni...



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