martedì 26 agosto 2025

RECENSENDO L’empatia del critico di Vincenzo D'Alessio





A volte i gerundi sanno distinguersi e catturare magneticamente l’attenzione dei lettori.
Chissà se accade pure stavolta.
Pensavo al fascino antico di questo gerundio, recensendo: se non il primo, uno dei primi(almeno di quelli conosciuti)recensori è stato nientepopodimeno che Platone. Le sue ‘recensioni’ di opere dei Sofisti (non fu certo tenero) o del grande tragico Euripide vengono tuttora lette e commentate: si trovano tra le righe del Fedone, di La Repubblica…
Oltrepassando il tempo e parlando al nostro tempo, Platone propone senza sosta le sue recensioni e indirettamente promuove la cultura del re-censire, del dedicare attenzione a un libro, un testo, un frutto del ragionamento di altri. Certo, dal IV secolo a.C. alle marchette che abbondano nei quotidiani odierni di acqua ne è scorsa, ma è una notazione che non vuol risultare troppo affilata.
Questa polpettina vegetale di premessa ora lascia spazio alla giusta attenzione che merita L’empatia del critico. Recensioni e altri scritti (Fara Ed. 2020), corposo-ma-fluido lavoro di Vincenzo D’Alessio, tra l’altro poeta, narratore e saggista, nonché ideatore del Premio nazionale di poesia “Città di Solofra” e fondatore del Gruppo Culturale “Francesco Guarini” e dell’omonima casa editrice.
Ha ragione il sempre bravo Stefano Martello che, nella prefazione al volume, ha tenuto a sottolineare che l’autore avellinese «scrive recensioni con una professionalità, un coinvolgimento ed una fede che, semplicemente, intimidiscono. Non limitandosi mai – pur avendone le capacità, data la lunga esperienza di scrittura – ad una routine riepilogativa, bensì cercando ostinatamente il contatto non solo con le righe, con le pagine e con le storie ma anche con le mani che quelle righe, quelle pagine, quelle storie hanno battuto e con le teste che con quelle righe, con quelle pagine, con quelle storie si sono misurate o hanno combattuto» (p. 9).
Leggendo queste recensioni viene da sé sentirsi risucchiati dalle storie che vi sono dietro.
Come nel caso della poetica della peruviana e ormai perugina Gladys Basagoitia Dazza: occupandosi della silloge El loto della paz/Il loto della pace (2017) D’Alessio ha scritto: «una voce andina limpida come le acque sorgive di quei monti. La memoria natale, nelle poesie contenute in lingua madre, e la nuova semenza sepolta nella terra di Dante Alighieri. Si aspettano frutti di Pace, quella immensa sensazione di bene che l’Umanità non ha mai conosciuto» (p. 308).
Complice una buona dose di ironia, come quella con cui l’autore ha risposto a chi (Antonietta Gnerre) gli chiedeva chi fosse il poeta oggi: «un emarginato con le pezze sul sedere».
Complimenti a D’Alessio per quel che ha scritto e come, ma anche per aver promosso generosamente – con questi frutti di un recensendo decennale per il blog farapoesia – la cultura della lettura critica. Se esiste, direi senza indugio di citare l’onestà letteraria, che poi è forse la versione più raffinata dell’onestà intellettuale.


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