Luigi Palazzo, Pietre e miraggi, peQuod 2025, collana Portosepolto, volume a cura di Luca Pizzolitto
recensione di AR
Il distico posto a titolo di questa mia lettura conclude l’agile raccolta di Luigi Palazzo ed è preceduto (a p. 47) da una poesia/preghiera/invocazione (forse non solo a un Tu celeste, ma anche a un tu soggettivo, cioè a un io allo specchio) che trovo bellissima (mi ci ci sono immerso perché ogni immagine mi riporta al cuore momenti vissuti) e che mi piace citare integralmente:
Proteggi
ogni respiro nella bufera,
il ricordo di un’anima bella,
la vita di un’anima sola,
lo sguardo basso in mezzo alla festa,
ogni lacrima, ogni ragione,
l’incertezza sull’infinito,
il rossore per la sorpresa,
chi riesce a urlare davanti allo specchio,
chi sceglie il silenzio,
chi si accarezza le cicatrici,
chi sguaina sorrisi ma è spaccato
dentro,
chi ferma i pensieri
per un riflesso nel mare.
Proteggi ogni soffio
sulla fiammella
sotto la cenere,
ogni istante
di queste piume
sull’asfalto.
Amo questo modo di scrivere terso eppure ricco di vibrazioni intense, discrete, attente al dettaglio (“La goccia / rimbalza sull’acqua // come un tuono, / nei giorni insecchiti.” p. 40), nascoste come “quel tuffo nella notte / per schivare il vuoto.” p. 39), a volte drammatiche: “nelle ore diroccate / in un quotidiano / che si scuce.” (p. 43); “E quelle parole ogni ora / mi attorcigliano il petto / da circa vent’anni / (…) / da quando noi altri / siamo rinati quel giorno / senza di te.” (p. 38).
Una poesia che incanta, che pone il lettore in prospettive di sapore pascoliano con il loro carico di meraviglia fanciullesca, di mistero, di destino e l’uso di correlativi “oggettivi” che sono persone, animali o elementi naturali animati, in movimento: “Un bambino che non ha mai visto la neve / domanda dove sia il cielo / quando è buio.” (p. 36); “Riesco ancora a ferirmi / con le parole / che non mi hai detto.” (p. 32); “Un’altra uscita / per tendere catene / come un cane / che si lancia sul sentiero / ma rimbalza per la morsa / del collare.” (p. 25); “Da qualche parte / in lontananza / pare / un’allodola / dirigere il traffico di nuvole / tra il campanile e Dio.” (p. 23)
I poeti raramente hanno delle risposte ma ci inquietano con domande in cui possiamo trovarne alcune, importanti, fondamentali, se scaviamo il nostro buio e lo affidiamo a: “Vetrate levatrici ed eco. // La croce che galleggia sopra il buio, / il buio che penetra la pietra / delle navate, gambe di madre.” (p. 21).
Sono “parole che restano” e se possiamo con Luigi considerarle “scorie” o “ombre / senza corpo” (lacerti della poesia a p. 31), quando restano latenti, la poesia (e questa raccolta Pietre e miraggi lo è) le vivifica dando a loro la luce e la corporeità di chi le fa sue, le feconda e se ne lascia fecondare riverberandole in sé.

Nessun commento:
Posta un commento