lunedì 28 marzo 2022

Angeli e poeti

Monologo dell’angelo caduto
di Giuseppe Carlo Airaghi
Fara Editore
Poesia
Pagg. 56
ISBN 978-88-9293-099-5
Prezzo Euro 7,50



Angeli e poeti

recensione di Renzo Montagnoli 
pubblicata su Arte insieme


Sono sicuro che Giuseppe Carlo Airaghi abbia tratto l’ispirazione per questo suo Monologo dell’angelo caduto dal film di Win Wenders Il cielo sopra Berlino, in cui Damiel e Cassiel, due angeli invisibili a tutti, si aggirano per la capitale tedesca fino a quando il primo vede una trapezista e, poiché se ne innamora, si fa uomo e quindi mortale. Infatti non è un caso che l’io, più che narrante poetante, si chiami Damiel ed è pure lui un angelo che si innamora; troppe coincidenze che finiscono con dare credito alla mia ipotesi, peraltro avvalorata da quattro righe di introduzione e da successive illuminanti tracce. Tuttavia il richiamo al film non va oltre, perché l’opera in versi ha una sua autonomia che ne determina l’unicità. È poi particolarmente interessante il modo con cui l’autore si cala nei panni dell’angelo, per cui verrebbe da dire che per scrivere quest’opera da uomo si è fatto angelo (“Ho barattato una immutata eternità // per la sete di un bacio ricambiato, / per un bicchiere di vino, per la curva / irripetibile di un collo di donna, // per pisciare sui cumuli di neve, / per imprimere la mia presenza, / Il mio segno tangibile nel mondo”). Se il modo interessa, il contenuto invece stupisce, perché questa creatura alata, caduta sulla terra e quindi fattasi mortale, mantiene ancora il privilegio di una visione celestiale di tutto ciò che incontra (“Precipitato da una distanza di cielo / per accarezzare la curva che scende / tra il suo collo e la spalla. // Per capire cosa fosse la pelle / ho rinunciato al tempo eterno, / sono sceso a baciare la terra. // Da un bianco e nero manicheo / a una incredulità di colori / ancora tutti da nominare. // Ho risalito il fiume, raggiunto / la riva opposta per esprimere / finalmente un giudizio sul mondo.”). Fra l’altro questo straordinario protagonista rivela una simpatia del tutto particolare, vittima dei limiti dell’essere mortale, ma ancora capace di vedere oltre quelle nude immagini che si fissano nei suoi occhi (“Non esiste solitudine senza eco. / Ovunque ci accompagna il rimorso / del passato oppure il rimpianto // che non dà meno dolore, il rombo / di un temporale lontano, un vento / che non sgombra il cielo in allarme. // Le sere d’inverno duravano anni, / troppo vaste per poterle varcare / senza pagarne il prezzo per intero. // Di molte sono stato spettatore. / Il tramonto era un sipario calato / sopra una recita senza finale. // Come spesso accade qualcuno balla / e qualcuno addossato alla parete / fissa un punto cieco nella stanza. // Con il bicchiere vuoto tra le mani. / La conversazione langue. Le cose / da dire hanno scarsa importanza. // Abbandonare la stanza è un’opzione / non contemplata dalle buone maniere. / A me parve non restasse altra scelta.”).

A un certo punto, e non credo di esagerare, mi si è accesa una lampada, ho avuto, quel che si usa dire, un’illuminazione, e cioè se Airaghi per scrivere si è fatto angelo, quell’angelo che per amore si è fatto uomo, sono diventati entrambi un’entità sola, e allora come è possibile questa tramutazione? A ogni domanda c’è quasi sempre risposta, come anche in questo caso, perché sono più che convinto che sia la creatività del poeta che conduce a quell’estasi che è propria di un essere fuori dalla materialità delle cose, tanto elevata da sembrare irraggiungibile, eppure a portata di mano, purché si riesca a entrare in sintonia. In fin dei conti, chi scrive versi va oltre la modesta realtà di ogni giorno, cerca di sublimarsi nella ricerca, spesso inconscia, dell’Assoluto.

Questo Monologo dell’angelo caduto è ben diverso dalla silloge precedente Quello che ancora restava da dire, ma non è una differenza di valore, perché entrambe le opere sono senz’altro di eccellente qualità; secondo il mio giudizio si tratta invece della ricerca di un nuovo percorso espressivo che possa andar oltre i limiti naturali di una esternazione del proprio Io (“Pensavi il tempo fosse una retta / chiusa tra un inizio e una fine. / Il tempo non va da nessuna parte, // non si arresta. Il presente è un punto / in continuo movimento, effimero / e immenso. Porta con sé l’universo. // Tutte le vite precedenti trovano posto / nel susseguirsi infinito dei secoli, / perse nelle omissioni della Storia.”).

Da leggere, indubbiamente.


Giuseppe Carlo Airaghi è nato a Legnano (MI) nel 1966. Vive a Lainate. È impiegato presso un’azienda di servizi. Ha lavorato come geometra, animatore nei villaggi turistici, venditore di prodotti siderurgici, cantante di musica blues. Ha pubblicato le raccolte di poesia I quaderni dell’aspettativa (Italicpequod), Quello che ancora restava da dire (Fara Editore), La somma imperfetta delle parti (Giuliano Ladolfi Editore) e il romanzo I sorrisi fraintesi dei ballerini (Fara Editore).

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