sabato 13 marzo 2021

“Il corpo muore, la bellezza dura.”

Massimo Morasso, L’amore, il silenzio e la bellezza nella poesia di ogni tempo e paese, AnimaMundi 2020

recensione di AR





Un libro denso e complesso in cui l’autore mette in gioco le sue vaste conoscenze letterarie, filosofiche e poetiche, il suo amore per la musica e l’arte, sé stesso in quanto uomo, poeta, critico, studioso, ricercatore delle profondità dell’anima, della psiche, dello spirito. 
Divisa nel tre sezioni ricordate nel titolo, il testo è costituito da brevi (ma ricchissimi di echi e suggestioni) saggi/commenti a versi emblematici di 60 poeti (equamente rappresentati in ogni sezione) di “ogni tempo e paese”. Con loro Morasso ingaggia un dialogo, un confronto, una “riflessione”: denudando (ovvero andando all’essenziale con empatica profondità) il poeta che commenta, espone il suo vissuto di critico e interprete della poesia con perspicua e partecipe onestà, affrontando tutte le questioni, i problémata della condizione umana: «La Bibbia abbonda di storie d’amore. (…) E c’è un anelito fisico di introiezione del divino che non lascia dubbi circa la duplice natura dello spirito: quest’immateria incarnata…» (p. 11, dal commento a una citazione di 7 parole del Cantico dei Cantici); «… possiamo davvero gioire di un amore lontano?» (p. 20, a commento di versi di Jaufré Rudel); «La parola [poetica] è l’eroismo dell’amore che cerca di abbracciare il mistero.» (p. 23, commentando Rilke); «Il viaggio in comune è sempre quello di una solitudine in compagnia…»(p. 24, riflettendo su Olga Orozco); «Il nostro corpo  è la nostra esistenza, e non un contenitore. Occorrerebbe saper ascoltare i topografi dell’anima (…). I poeti non inutili, sono quei topografi.» (p. 28, su Nazim Hikmet).
Fin qui abbiamo citato dalla prima sezione, L’amore. Passiamo alla seconda, Il silenzio: «La poesia non è musica, ma porta verso la musica. Questo significa che la musica è superiore alla poesia? E che il suono, dunque, è più originario della parola?» (p. 43, a commento di Gerard Manley Hopkins); «… il linguaggio non è in fondo, che una galleria di specchi (…). Tutto è una complessa, drammatica, tautologia.» (p. 44, passaggio splendidamente borgesiano su «L’instancabile sognatore tardonovecentesco» Charles Wright); «… l’ansia di afferrare la realtà con l’udito innanzitutto, non corrisponde al disperato anelito della poesia di attingere la parola che sta al di là delle parole, la lingua dello spirito vivente?» (p. 48, su Osip Mandel’štam); «… Dio non è morto, ma resta muto e avanza, al nostro fianco e in noi, esposto (nascosto) nel mistero della propria scaturigine continua.» (p. 45, intorno a Edmond Jabès); «Giorno dopo giorno, notte dopo notte, la voce di Dio ci parla là dove è il silenzio a parlarci di lui.» (p. 55, sul Salmo 19); «… la poesia, quand’è poesia, ama dolorosamente ciò che esiste, e tende, perciò, a infondere più essere all’essere che già c’è.» (p. 57, riguardo a Hugo Mujica); «Legge dell’Aleph (…) paragonabile, mi azzardo, a una bocca che si apre per catturare il respiro per trasformare il fiato in suono…» (p. 62, analizzando Birgitta Trotzig); «… il silenzio non è opposto alla parola: ne è, piuttosto, il suo complementare; non è una privazione di qualcosa, mai, ma sempre e in ogni caso un atto di comunicazione.» (p. 66, reagendo a Sylvia Plath, p. 66).
Ed eccoci infine alla sezione La bellezza: «Sullo sfondo dell’estraneità e della “vuotezza” esistenziale, il sorbo spicca fra gli altri arbusti appigli come una perfetta allegoria non già della salvezza, ma, quantomeno, della sua possibilità.» (p. 89, in relazione a Marina Cvetaeva; «… la nostra forza non sta proprio nella debolezza fragile del Bello, che la ragione e con lei ogni buon senso dicono destinato a esser spazzato via, insieme a tutto il resto di ciò che è naturale?» (p. 94, parlando di/con William Shakespeare).
Questo viaggio morassiano potrebbe definirsi come un itinerario mistico nell’amore e nella bellezza intervallato dalla pausa necessaria del silenzio, che è quello spazio accogliente e smisurato di cui la parola (e in particolare la parola poetica) ha assoluto bisogno per essere generata nella sua verità.
Bellissima e ricca di coordinate preziose per navigare nella poetica del Nostro, la postfazione di Daniela Bisagno: Un labirinto dove appaiono… voci. Appunti per una fenomenolgia del “prodigioso” nell’opera di Massimo Morasso. 

PS Il verso che abbiamo posto a titolo di questa recensione è di Wallace Stevens, commentato alle pp. 84-85.

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