recensione di Celeste Babboni
“Il desiderio è bruciante / e quanto vorrei che fosse acceso!
L’intuizione mi sospinge / a lotta aspramente / con la mia carcassa pesante / e come vorrei liberarmi e librare; / staccarmi da me stessa e cantare,/ perdere l’àncora e partire. / Non so se è un desiderio di morte / o di vita / ma so che spinge da dentro / e mi butta fuori / all’aria / al vento / all’ignoto / nell’inesaurita ricerca / di quella ricerca / che solo / si accompagna / alla verità.”
“Il desiderio è bruciante / e quanto vorrei che fosse acceso!
L’intuizione mi sospinge / a lotta aspramente / con la mia carcassa pesante / e come vorrei liberarmi e librare; / staccarmi da me stessa e cantare,/ perdere l’àncora e partire. / Non so se è un desiderio di morte / o di vita / ma so che spinge da dentro / e mi butta fuori / all’aria / al vento / all’ignoto / nell’inesaurita ricerca / di quella ricerca / che solo / si accompagna / alla verità.”
Mi bolle il cuore: una raccolta di testi definiti da
Alessandro Barban “teopoetica”, ossia situabili in “quello spazio interattivo
teologico-spirituale di corpo, di intelligenza psichica e di anima spirituale
proveniente dalla stessa esistenza dell’autrice, in cui la poesia diventa
espressione di Dio e affermazione della propria vita”.
La prima cosa che si osserva addentrandosi nelle poesie
di Debora Rienzi è che sono di
grande efficacia visiva: ogni parola che l’autrice colloca non è posizionata
in maniera casuale, bensì ben pensata per garantire un ritmo fluido e
scorrevole, nonostante i frequenti spazi vuoti che lasciano il lettore in un
continuo e piacevole stato di trepidazione e sospensione.
Questo suo stile di comporre ci rende l’immagine della
condizione dell’autrice nello scrivere poesie: un’anima in uno stato di completo
abbandono nella grazia di Dio, non un abbandono passivo, bensì traboccante di dense
emozioni e sensazioni fisiche in cui si alternano senza sosta dolore e piacere.
Debora ripete in continuazione le parole “ignoto”,
“vuoto”, “voragine”; il percorso che fa è una strada lunga, difficile e dolorosa, in cui questo “vuoto”,
che come ogni essere umano ha dentro sé, decide di riempirlo accogliendo
l’immensità del Signore: “Come un otre inconsapevole / e dimenticata / che
offre vuoto / e conosce solo / il sapore contenuto.”
In uno stretto contatto con il Divino l’autrice è
consapevole di essere impotente in maniera assoluta nei Suoi confronti; ciò che
percepisce è infinitamente troppo grande per lei, e Debora infinitamente troppo
piccola per capirlo e contenerlo. Per questo motivo ha un forte bisogno e
desiderio di raccontare la sua esperienza interiore, perché il miglior modo per
comprendere la vastità di Dio è la condivisione di essa con il prossimo.
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