Alfabeto
Baudelaire, di Mario Fresa, si presenta, a prima vista, quale raccolta di
traduzioni, con testo a fronte, di dodici poesie di Baudelaire con il corredo
di raffinati “disegni” di Massimo Dagnino.
Si
tratta di una breve, elegante, antologia?
No,
non soltanto.
La
presenza dei versi non esaurisce la portata del libro e, a loro volta, le
immagini non svolgono il ruolo di mero accompagnamento iconico.
C’è,
dunque, qualcosa in più: ma che cosa?
Parole
e immagini riescono a congiungersi in maniera originale, davvero insolita,
quasi i disegni anche dicessero e le parole anche disegnassero.
Baudelaire
è autore celeberrimo e notissime sono le sue poesie: perché proporle ancora?
A
mio avviso, il libro è vivida, vigile, passione nel suo stesso divenire:
“Alfabeto Baudelaire”, nel riprendere versi famosi, stabilisce un’autentica
complicità con un autore ormai scomparso.
Quel
qualcosa in più, di cui parlavo, consiste, insomma, in una partecipe testimonianza capace di rinnovarsi.
Merito
dell’autore di “Les Fleurs du Mal”?
Sì,
certo, ma, assieme, di Mario Fresa che non teme di presentarsi, di dirsi, con
le sue scelte e degli inserti iconografici, che non possono definirsi tali in
senso stretto.