Gladys Basagoitia Dazza
Fara Editore 2015
recensione di Vincenzo D'Alessio
Gladys Basagoitia Dazza ha donato alla poesia contemporanea un’altra splendida raccolta di versi dal titolo La via del arco iris / La via dell’arcobaleno. Come nelle precedenti raccolte il testo in spagnolo, a fronte ha quello in italiano, e la poeta descrive con questi versi il bilinguismo: “(…) / controcorrente scrivo / in un’altra lingua / altra lingua che amo / tanto come la mia / sebbene scriva versi umili e semplici / nati dal profondo complicato sentire” (pag. 129).
L’azione di tradurre i propri versi deriva, alla Nostra, dall’esercizio costante di traduzione nella lingua italiana di poetesse che scrivono in spagnolo, altrettanto di poeti italiani tradotti in spagnolo.
Questa raccolta è suddivisa in quattro sezioni: “Los rostros del amor / I volti dell’amore”; “Mas allá de la imagen / Oltre l’immagine”; “Voces del dolor / Voci del dolore”; “La vía del arco iris/ La via dell’arcobaleno”. Nella prima sezione c’è il dialogo personale con gli affetti che formano la base dalla quale parte l’arcobaleno; nella seconda sezione c’è la ricerca dell’identità nella Fede; nella terza sezione c’è la consapevolezza del divenire e infine nella quarta sezione c’è il testamento poetico condiviso con l’Umanità contemporanea.
Nel percorso dei corpi poetici vengono incluse dediche ai famigliari, agli amici, ai conoscenti e ai poeti scomparsi: sono quest’ultime le poesie dedicate alla poeta di Perugia, Brunella Bruschi scomparsa a marzo del 2015, che la Nostra definisce “Amica sorella” (p. 41) e consola la sua perdita con i versi che seguono: “vivo lo stordimento della sua dipartita / nebbia fitta / aghi di ghiaccio nei miei occhi”.
L’arcobaleno, metafora dei colori, dei profumi, dei sogni, degli affetti, delle aspettative esistenziali che vivono in noi, si infrangono contro il cinismo della sofferenza e del fine vita purtroppo reali. La tempesta non lascia che pochi istanti all’arcobaleno per far brillare i suoi colori in tutto lo splendore che gli occhi, le telecamere dei poeti, percepiscono. Il gelo della fine ricrea le distanze incolmabili che separano il mondo dei vivi da quello dei morti. La poesia tenta la strada della permanenza nel tempo umano.
Riprende, la Nostra, il tema dell’esistenza condotta con la poeta Bruschi nella seconda composizione a p. 85, La fede del vivere: “(…) impegnate a sorreggere la speranza / superando i tempi minacciosi / superando gli occhi dell’angoscia / superando le debolezze del corpo / muscoli ossa sangue fiato”. La forza dell’anafora imprime ai versi la reale energia che ha sostanziato gli attimi di vita vissuta nell’impegno della scrittura e delle opere realizzate.
I versi di Gladys Basagoitia Dazza vengono scritti per allontanare il buio interiore della perdita della vita: arcobaleno di colori che invita a superare gli scogli dove il mare umanità si infrange nel continuo metronomo del tempo: “lo spirito della saggezza della sabbia dilavata / la sublime purezza fra la terra e il mare / (…) spalancare le porte a tutto l’invisibile / esorcizzare / problemi e conflitti di ieri e di oggi / ignorare le brutte cicatrici di un tempo passato / superarne i dolori intensi a volte quotidiani” (p. 71).
Ricerca dell’energia positiva che alimenta il continuum dell’esistenza per donarla, con l’uso dei versi, al proprio spirito assetato di eternità e al lettore. La metafora che viene utilizzata è quella della donna al telaio, ripresa dalla cultura Inca e Maia dove si preparavano tessuti dai colori vivissimi , nella composizione a p. 135: “(…) proseguo intenta a tessere / con fili d’amore / e di speranza la gioia di vivere / per donarla a tutti / anche a te lettore poiché sei tu / una delle ragioni per cui scrivo”.
Dall’incipit questa raccolta, i versi dedicati alla madre Ecilda richiamata alla mente davanti alla macchina per cucire Singer intenta a tramutare il disagio della povertà in energia positiva, il vestito della festa trasformato in un vestito nuovo per la propria figlia, fino alla fine della stessa vibra del sorridere, dell’allegria, del superamento delle pene che impone l’esistenza. Il vivere è gioia condivisa con chi ti vive accanto, con gli sconosciuti, con i profughi i diseredati che giungono da lontano (vedi p. 95).
La bellezza della strada che ci insegna la Nostra è un arcobaleno di serenità, di fiducia nell’esistenza, nell’immensità di un dio paragonabile alla forza del pianeta in cui viviamo, al desiderio della continua ricerca per ritrovarsi nuovi ogni giorno, di guardare con passione all’unico bene che conosciamo: l’amore verso noi stessi e gli altri. Lo ribadisce nella postfazione l’editore Alessandro Ramberti: “Questi versi non possono non ricordarmi lo spirito/ ruach librantesi sulla faccia delle acque di Genesi 2 e la parola verbo ha ampie risonanze giovannee (si pensi al bellissimo Prologo del Quarto Vangelo)” (pp. 141-42).
La semplicità della bambina che gioisce nello scorgere nel cielo i colori dell’arcobaleno muove la poetica della Nostra. Il senso cosmico del fine vita non spaventa quella serenità perché condivisa con il Creatore e il Creato, quest’ultimo costituisce il colore dominante mentre gli altri colori ai nostri occhi potrebbero essere impercettibili se non fosse per: “(…) la forza invisibile ci farà accettare / l’inesorabile trascorrere del tempo / e così sorridere a tutto l’infinito / del mondo profondo senza età / fluire nel flusso degli elementi / per far emergere la forza della creatività / perennemente rinnovata” (p. 139).
Accosto ai versi di Gladys Basagoitia Dazza i versi di un’altra poeta latinoamoericana vissuta nel secolo appena trascorso. Si tratta di Gabriela Mistral che nella poesia Paradiso scrive: “(…) Ricordarsi del triste tempo / in cui entrambi avevano Tempo / e da esso vivevano afflitti / nell’ora del chiodo d’oro / in cui il Tempo restò alla soglia / come i cani vagabondi…”.
Montoro, 27 gennaio 2016 (Giorno della Memoria)
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