De Ferrari, Genova, 2014
Recensione di Franco Casadei
Non ho mai conosciuto di persona Rosa Elisa Giangoia, ma solo attraverso due sue pubblicazioni di Fara Editore: Appunti di poesia e Sequenza di dolore. Ciò che da subito mi rimase impresso fu la profondità dei temi da lei affrontati e la chiarezza del suo scrivere, la fruibilità per ogni tipologia di lettore. Studiosa e scrittrice di cultura smisurata, ha saputo mantenere la semplicità di chi sa insegnare e ritengo che la comunità letteraria le debba essere debitrice di questo suo spendersi infaticabile e senza vanità e pretese.
La vita restante, recente silloge poetica edita da De
Ferrari, conferma la personalità umana e letteraria di questa raffinata autrice.
Un poemetto occupa un terzo del libro. Le restanti 30 poesie sono suddivise in
sette brevi sezioni
Il poemetto, L’emigrante, descrive
la storia tormentata di un giovane che espatria da Genova a New York ove giunge
il 13 aprile 1903, “trascinando sfasciati bagagli di pena” in cerca di fortuna.
Il primo impatto lo incoraggia nelle sue speranze giovanili. Si trovò “in un
immenso ordito ancora scarso di trama / … un mondo verde d’erba sognata / … Si
sentiva la vita pulsare oltre l’orizzonte”. Ma gradualmente, pur liberatosi
dall’indigenza con il suo lavoro di taxista, si accorge che “la vita
schiaffeggia l’anima” e che “sotto i suoi piedi/ le pietre risuonavano di
solitudine” e che la cementificazione della città “uccideva a poco a poco il
mare”. E così “nelle pieghe del tempo / si riaprirono le ferite della
nostalgia”. E decide di tornare alla sua terra d’origine “per riannodare le
memorie della vita”. “Capì che era partito solo per tornare, / che aveva dovuto
perdersi nell’ignoto/ per potersi un giorno ritrovare”.
Nella sezione A Mino
ritroviamo il tono elegiaco di Sequenza
di dolore, libro dedicato al marito scomparso: “Per questo sei stato: /
perché io ti potessi ricordare/ ora che appartieni alle profondità/ delle
memorie mute”. “Ma tutto si ricomporrà / nell’armonia della perfezione”.
Bellissimi i quadri descritti nella sezione In viaggio. Ritrovo le suggestioni provate allorché ci si ritrova
in Grecia “nell’abisso dell’incanto / degli ulivi di Delfi” o immersi nella
pietra levigata delle Meteore. Oppure navigando sul Volga, dove “la prua/ fende
la verginità dell’ignoto” e “A terra / la vita quotidiana / è scritta sul viso / a
quelli che incontri” visi che portano ancora scritto decenni di terrore e di
asservimento al potere della menzogna. E ancora “lo sfolgorio barocco / dell’oro
dell’altare” di Santiago di Compostela.
Nella più corposa delle sezioni, Vita,
scopriamo la posizione dell’autrice di fronte al dramma della vita, con una
chiara opzione aperta alla speranza. E qui troviamo alcuni fra i versi più
intensi del libro:
- “Vorrei sapere dirigere / la barca della mia
vita/ ad infilare la cruna dell’eternità. / … costruire i gradini / della mia
scala a Dio”.
- “Non sappiamo quel che resterà/ quando con uno
strappo lacerante / … ognuno di noi ridisegnerà se stesso / … fino al compiersi
dell’ultima attesa / nell’inghirlandarsi del pensiero / con l’intreccio di ricercate tenerezze /
… Io cercherò un orto appartato/ dove fioriscano fiori inaspettati / perché so
che lì mi attendi”.
- “Occorre fidarsi, / fidarsi che la felicità
esiste”.
La sezione Femminile chiude il
libro con un inaspettato testo, una danza d’amore di uno sciame di fuchi
attorno a L’ape regina, “chiusa nel
brillio della sua giovinezza / … Dietro di lei la piccola schiera brulicò / come
una manciata di grano / … s’accese la lotta. / L’ultimo giovane guerriero, /
rilucente come un dio, / raggiunse la regina / tremante e l’afferrò. / Lei
s’abbandonò smarrita. / … Ed era fra i due una sola dolcezza”.
La vita restante si conclude
con questa straordinaria poesia che avvalora ancora di più questo viaggio
dell’autrice che si affida alla speranza che la meta non sia la fine del
cammino, ma l’inizio di una vita che, trasfigurata, continua. E questa festosa
danza d’amore dell’ape con il suo amato – che fa di due “una sola dolcezza” – intenerisce il cuore e dà
coraggio all’anima, di noi lettori e anche di noi uomini travagliati viandanti
nel tormentato viaggio dell’esistenza.
Rosa Elisa Giangoia ancora una
volta, senza censurare nulla della fatica del vivere, ci apre il cuore ad
apprezzare la vita, anche nei suoi aspetti misteriosi e apparentemente senza
senso.
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