recensione di Vincenzo D’Alessio
La nuova raccolta poetica di Maria Di Lorenzo Ma sempre ti perdo, mia vita pubblicata da FaraEditore 2014 nella collana: “Sia cosa che” , è il frutto di una lunga narrazione, avvincente, seducente, incline al solipsismo nelle tre sezioni finali della raccolta. La narrazione ha il filo conduttore nel tema filosofico della pura fede e della realtà contingente legata all’esistenza della poeta e ai suoi ricordi.
La poesia è modulata nelle prime tre sezioni (“In doppia immagine” / “Effimera” / “I nomi dell’assenza”) con una forza poetica affidata all’esperienza arricchita dalla frequentazione di grandi Autori del trascorso Novecento. Temi consoni alla pura ricerca della strada inconfondibile tracciata dal dialogo gnoseologico-metafisico, scaturiti dal verso genetico apposto all’inizio del dialogo con il lettore: “Ogni crescita è morte, è morte ogni nascita” (pag. 13).
Le esperienze, l’ascolto, le ripetute analisi dell’Io trascendente quotidiano, sono misurati da quei “non” e quei “ma” che compaiono all’interno delle composizioni poetiche: il vivere nella botte, scaldati dalla luce del sole, pervasi dal desiderio profondo della ricerca, del contatto con l’Infinito: “in luogo del viaggio / al cuore di te stesso / ritorno che non riesce a compiersi” (pag. 15).
In questa prima parte ritorna l’immagine riflessa nel dipinto del romanzo di Oscar Wilde Il ritratto di Dorian Gray, la consapevolezza del vissuto, il dramma tutto umano che alla fine della raccolta recita nel cuore del lettore, in un vocativo ammaliante: “Ma sempre ti perdo, mia vita / e non ti conosco” (pag. 86). Un inganno volontario e filosofico attraverso i versi ché la ricerca non si estingue ma come il “roveto ardente ” apparso a Mosè continua a brucia nell’anima della poetessa e nelle lotte di chi crede cristianamente.
Bella è la poesia Portico d’Ottavia (pag. 33), ripresa dal romanzo omonimo di Anna Foa, tema intramontabile che unisce e divide popoli e terre, incastonata nella Roma che troverà nelle sezioni seguenti di questa raccolta un’ampia e sistematica fonte di ricerca eretica, proprio come accadde al monaco Martin Lutero toccato da Dio nella profondità dell’anima, deluso dal comportamento della Chiesa di Roma. Maria Di Lorenzo rende tutta la drammaticità degli eventi che oggi attanagliano il Clero nella splendida poesia: Carmina (pag. 41). I versi che seguono sono pure “diottrie” (pag. 44) per il lettore: “Angelina, il tuo cuore divelto è l’albatro / inerme di questa città / martoriata, un punto incandescente / sotto le stelle che presidiano il tempo. / (…) ci condanna perpetuo / questa luce di vecchie falene / che non conosce certezze / ma un varco / ci addita segreto nel cuore di Roma.”
Tornano alla mente le melodie dei Carmina Burana del XII secolo che nella tremenda satira contro la Chiesa di Roma, la corruzione legata alla ricerca sistematica del potere terreno, aspirava a dare una strada nuova, di umiltà, di privazioni, al potente clero che sedeva accanto al trono di San Pietro.
Forte e vibrante è la Fede Cristiana nei versi dell’Autrice. Incessante il credere oltre la soglia dell’umano sentire tanto che il nuovo padre, Cristo stesso, si sostituisce al padre terreno che l’ha generata e protetta: “(…) appariva col passo leggero del vento / tuo padre” (Gli occhi del padre, pag. 42) – “(…) io non ti chiamerò più padre / ora che un altro Padre conosco” (Come cercare, pag. 49). E ancora nei versi nei quali l’adesione alla Fedeltà, fino alla morte, si compone nel pensiero e nei versi che seguono: “Il tuo nome è Fedeltà. / Per questo solo io ti amo” (pag. 51).
Il lettore, oggi, potrebbe non percepire interamente quest’immensa fiducia nella Fede né la ricerca di quell’acqua che toglie definitivamente la sete dalle cose terrene, confidando in affermazioni che appartengono ai martiri e ai santi: “(…) Quando potrò venire / a contemplarti nella luce, tu / luce soavissima che tutto / attrai nel tuo cerchio / di amore perfetto?” (pag. 52). L’Autrice include la perdita dell’esistenza non come un danno, una condanna dettata alla nascita, ma come il lasciare il proprio corpo e questa realtà terrena belli anch’essi ma opachi rispetto alla “luce infinita”.
La narrazione si avvale dell’enjambement per fluire nella personalissima poetica dell’Autrice. La poesia vibra in molti momenti della presente raccolta, facendosi spazio nel pensiero filosofico, proprio al richiamo meridiano dei versi del Nobel Salvatore Quasimodo della poesia Vento a Tindari. Scrive Di Lorenzo: “(…) Mondo girovago / in marcia sotto un cielo / nero, rasente ora cammina / ai binari della ferrata / strada di una galleria / che conduce al mare / e l’agguato ignora del sole / buio, / la vaporiera” (Non è che un ricordo, pag. 36).
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