giovedì 10 aprile 2014

Su Ore di luce strangolate da clessidre di Franca Fabbri

http://www.faraeditore.it/html/siacosache/orestrangolate.html
recensione di Marcello Tosi


Il disegno interiore, la ricerca di un’armonia vista come possibile, l’intima scansione di momenti poetici di Franca Fabbri, illuminano le Ore di luce strangolate da clessidre, della nuova raccolta dell’affermata autrice sammaurese, edita da Fara.
Già intravista come in un sogno, la vita fatta di memorie poetiche appare nei suoi versi come un cammino di luce verso l’esterno: in essa la dimensione del ricordo porta a riconoscere il silenzio come rifugio, nell’insistita presenza, quasi come in un emblema, dei segni del tempo da decifrare (la casa vecchia, le crepe, i ricami di ruggine).
Entrando nella sua bella casa di San Mauro, si avverte un’atmosfera di momenti poetici perduti e ritrovati, un po’ proustiana, a cui riconducono l’eleganza, i raffinati oggetti dentro le vetrine, l’ovattato silenzio che al momento della visita era rotto solo dal suono di un pianoforte. Muovendo con gioioso candore e amore per la vita, alla ricerca del senso e dell’origine delle cose, tra paure e attese i suoi sogni sono comunque vissuti con fede e amore. Le sue poesie, pascolianamente e volutamente dimesse ma autentiche germogliano da gesti e vita quotidiana: il silenzio della casa, il mare, le stagioni, vecchie soffitte, con le parole che sono necessaria, non una di più. Nei suoi versi si rincorrono associazioni, stati d’animo, illuminazioni ad occhi aperti: le vecchie scarpe, i giocattoli dell’infanzia.
Poesia che è divenuta negli anni sonno, sogno, specchio, sguardo analiticamente rivolto a guardare, a scrutare dentro di sé, con metodica precisione e attenzione. Il meditare versi sul tempo, sulle stagioni della vita, sulla morte, il suo raccontare fatto di sogno e di evasione si fa dissolvenza, apparizione di un labirinto del mondo e del male, da cui cercare salvamento nel sogno stesso: “di sonno mi nutro, è pane.. nel sogno mi specchio, / c’è l’analista / mangio, bevo / e dissolvendomi / scompaio”. Un poetare che appare come il racconto di un perenne agitarsi tra sofferenze vissute, con un lutto nello sguardo da cui potersi finalmente liberare: “nel volo cerchi la luce, il respiro libero, senza il peso del mondo”.
Sempre presente il senso, il sentimento della casa, dell’ovattato silenzio rotto solo da un suono familiare ed evocatore di altre storie (“Quando al pianoforte suona il dottor Zivago io divento Lara, Natascia, Anna Karenina”). Il sogno e il mistero continuano quindi a trovare il loro riparo nella certezza e nella bellezza del quotidiano. Sono, quasi con un senso pascoliano, “Le voci dimenticate”, i ricordi, gli echi contrastanti dentro di noi: il gelo dell’inverno e il tepore della casa, il suono delle campane e le voci dei morti. Per questo Franca Fabbri ama descrivere le lontananze, Il magico, il mistero, gli “angoli nascosti dentro casa e dentro me”. Vecchi motivi in cui sia racchiusa ogni storia ed esperienza. Impressionistica, appassionata contemplazione del reale.

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