Poesia in prosa dal cassetto di Andrea Corsi
STRADE
Poi, scrissi un lungo poema, non so bene come e quando, ma si accumulava piano, su un file del computer, non volevo scriverlo eppure prendeva forma, anche se la mia volontà era proprio di non dargli alcuna forma, andare a capo se sentivo il bisogno, non andarci, — correggere e rivedere cancellando mesi dopo, tutto da capo — vederlo pendere dalla pagina dello schermo, e il tema dovevano essere le strade, perché spesso esclamavo fra me e me: “Le strade, le strade…!”, perché, più che altro, volevo partire, volevo andarmene, volevo celebrare il fatto di poterlo fare, di poter prendere una strada ed andarmene. Quindi, preferivo cantare le strade, invece di partire; anzi, partivo, partivo, dimentico della vita vissuta fino a un secondo prima. È strano a dirlo… Ovviamente, bisogna dimenticarsi dei soldi, e anche di una carriera. Le situazioni concrete e temporanee certo ci stringono e ci obbligano a una dedizione che ci precede sempre; ma nulla poi, passate, ci tiene più fermi, ci obbliga a restare, a tenere i freni. Andarcene, darci alle strade. Anche senza muoversi mai dalla propria stanza: anche alle strade che vedo dalla finestra. E a quelle strade che ho nel ricordo. A tutte le strade. Dicendo “sì” a quella che si presenta ora, per quanto percorribile.
Eravamo.
E senza impedimenti, come adesso, anche se la strada è dissestata e la bicicletta rimbalza sotto di me su lingue di asfalto e piastrelle rotte... verso questa che di volta in volta, dico casa: una certa follia col mio nome, quest'agitazione, o esplosione interiore, invita — il senso del vincolo, lo svincolo per la provincia e il vicolo nell'ombra che apre sui campi, oltre qualche cascina e casolare, sotto al cielo, tra l'erba e l'aria, azzurra e bianca, bianco come il sole.
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