lunedì 14 gennaio 2013

Edmondo Busani presenta l'inedita Corte Marziale di Luca Ariano

una scelta di sette testi poetici



Luca Ariano ha scelto diciassette testi poetici, scritti nel 2012 e li ha raccolti sotto il titolo: Corte Marziale. Il numero dei lavori scelti e la titolazione sottolineano con ironia tracce per versi che  l’attento lettore  scoprirà sobri, con cui egli fotografa e riflette su una  società civile, che scioglie i sogni e le speranze degli uomini.

La riflessione poetica veleggia  verso un mare aperto, per navigare tra  Scilla e Cariddi, incurante di ciò  che la quotidianità esistenziale dovrà verificare. L’intimo s’impregna di malinconici colori,  mentre l’unico rifugio possibile è il ricordo di un territorio, ancora intatto nonostante le barbarie subite. Il verso poetico diventa il  canto delle Sirene, che il poeta  intona davanti a “… numerose rovine […]  e mura pronte a crollare.”.

Attraversano questi paesaggi figure reali somiglianti a fantasmi; forse sono dei sopravvissuti oppure emozioni che, nello spengimento delle loro passioni, lasciano l’ultima fiamma in un “… borgo industriale, // poi… post… post, …”.

Il tempo nuovo cancella le usate tracce lasciate “ In una farmacia notturna” ora priva della propria funzione rassicurante anche per “ Il barbone del bar Monza…”: l’anonima figura di una società invisibile che vaga nel ricordo di una rosa “… seccata in fretta, …” e poi, dimenticata.   Una raccolta ironica, dicevo all’inizio, come può essere l’altisonante titolazione: Corte Marziale che induce a pensare ad un canzoniere, tra terra e natura (si pensi all’esergo di Marco Valerio Marziale) che, con amara  delicatezza, raccoglie XVII fermate poetiche. I Latini erano sottili e sorridevano per la fragilità della vita, ci giocavano come fa’ Ariano con la  sua silloge e sembra dirci: “il tempo è già compiuto e  io vixi”. Il lettore  rimane sorpreso e pensa di essere precipitato  “… in una pellicola // americana in bianco e nero ”.

La raccolta lega personaggi diversi, ma riconducibili ad un medesimo stato spirituale d’angoscia per un futuro che, simile al mare, può essere percepito come incanto o disincanto;  si consuma  nell’indefinito (o forse nel sospeso?) l’odissea moderna del poeta e del suo lettore  che, tenendosi per mano, con mutualità reciproca, vanno ad incontrare nuovi miti e stilizzate Erinni, immagini di un viaggio di cui non conosciamo la natura: sarà la nostra Commedia o un semplice artificio della mente?

La poesia anche in questa raccolta solleva domande senza dare risposte: merito di Luca Ariano proporre un equilibrio sostanziale tra narrazione e lirismo, creando un messaggio che passa dal poeta al lettore, senza forzature, mentre il ritmo, le contaminazioni vernacolari, la discreta sperimentazione e la colorazione lirica vivacizzano la poesia che risuona eco lontana.

 “Di notte urla ubriache in bar disoccupati: // dello sguardo del poeta rimangono // solo impressioni… parole… versi. // […]




                                                 Corte Marziale






Mi piace quella terra in cui felice
mi rende un esiguo patrimonio
e le magre risorse mi fan ricco.
Qui il campo lo devi tu nutrire,
lì nutrisce te;
qui poco tepore ha il focolare,
lì risplende d'un'immensa luce;
qui l'appetito richiede troppa spesa
e il mercato ti manda alla rovina,
lì la mensa è coperta
dei prodotti del proprio campicello;
qui quattro toghe o più
si consumano in una sola estate,
lì una sola mi ricopre
per quattro lunghi autunni.


(Marco Valerio Marziale)



***

Dura è la vita. Per mia sicurezza
verserò nella Banca del Futuro
quantità limitate di valuta.

Dubito che abbia grandi capitali.
E comincio a temere che alla prima crisi
all’improvviso cessi i pagamenti.


(Kostantinos Kavafis)






Era la capitale d’una provincia imperiale

 – lo testimoniano numerose rovine –

ma di antiche ville non è rimasto nulla:

forse nel sangue dei liberti.

Gli ultimi fuochi della rivoluzione industriale

hanno portato treni gonfi

verso quartieri dormitorio, fumi e pelli emaciate;

appena spento tutto solo storpi, mendicanti

e mura pronte a crollare.

Lui si è ucciso poco prima di Natale:

debiti di gioco?

                             Era malato?

Forse solo stanco di ricevere ogni anno

gli stessi regali…

… Mentre si sparava,

 un matto con la radio incollata all’orecchio:

Amore mio, dimmi se sei triste così come me…”


***



Il barbone del bar Monza

ciondola tra una chiesa razionalista,

bancomat e banconi da bere.

Dicono sia stato bancario…

medico… giocatore di poker.

Il mare non così lontano,

nemmeno dalla balaustra lo guarda

e il suo volto è un rosso vespro.

Quelle ville – un tempo dimore di signori –

ai piedi di colline boscose,

sono residenze per anziani e nuovi ricchi,

accanto a quartieri emigranti.

Per Fiulin il mare quadrettato è un ricordo

stanco, come i giorni dell’Andrea

che mai vivrebbe altrove;

a Teresa la sua rosa è seccata in fretta,

forse finirà tra le pagine di un libro,

senza rispuntare come in una pellicola

americana in bianco e nero.


***



Fiulin in una campagna da svegliarsi

sgomenti di notte:

lucciole, costellazioni, passi danteschi

accanto a boschi di cinghiali…

prede per cacciatori.

Si fruga in cassonetti maleodoranti,

tra trattorie semivuote

e ricette di riciclo da dopoguerra.

Come le storie sentite da Teresa

quando le reti di Kubala

erano més que una esperança;

quella dell’Enrico che – per una sera –

lascia a casa i problemi rivedendo

vecchi amici per una partita.

Davanti a vino e spaghetti, imprecazioni

per un goal mangiato, ritorna ragazzino:

‘na pisada in compagnia in un’antica roggia

e poi via come dopo una marachella,

come quando Fiulin

si sente l’ultimo giocatore di scacchi.


***



                                                          Autunno. Già lo sentimmo venire...


Vincenzo Cardarelli



Già lo sentisti venire l’autunno

nell’accorciarsi dei giorni...

specchiandoti dal finestrino di un treno

in corsa, con il paesaggio scuro

e l’allungarsi delle maniche di sera.

Sarà un autunno di forti passioni... di sogni,

come quelli di poeti e rivoluzionari?

L’Enrico riscopre il calore del corpo di una donna:

tra passi tremanti in fondo sorride come adolescente.

Per un attimo non pensa più a quelle notti

troppo lunghe di occhi rossi;

si confida con l’Emilio che pensa di non amare più

come un tempo... come se domani tutto finisse.

Martina cammina... cammina...

per un secondo vorrebbe tornare bambina

per non sentire più una stretta al petto.


***



Si apre la stagione della caccia,

 – come ogni anno –

Fiulin, vedrai bambini,

fucilati, per sbaglio, come cinghiali,

scesi a valle a rovesciare bidoni.

Quell’uomo guarda i numeri dell’orologio:

conta… riconta… le lancette,

i numeri non quadrano più.

La città ancora da ricostruire,

Giggino in fuga da scuola, poche lire

per crocchè, zuppulelle e mammà

a sgridare a tavola con poco appetito:

canticchiando quant’è bello ‘o mare,

i giorni parevano eterni.

Come quegli scaffali di libri,

gettati in qualche magazzino:

vedrai vetrine di intimo in pizzo

made in paese esotici.


***



Tutto ebbe inizio con la luce fioca

sulle scale… come nei racconti dei nonni:

la lampadina da trenta candele,

odore di broccolo e portiere vocianti

come in una pellicola di Castellani.

Le chiamano a basso consumo,

l’olezzo è di cibo precotto:

PRONTO IN 5 MINUTI!

Hanno cominciato anche lì con stufe

in trattoria… tovaglie bucate,

brodaglie da cortina di ferro.

Le stesse sorbite dall’Enrico…

un altro amore sfumato come paglie

mai accese che impregnano stanze.

Porterai tuo padre al mare:

si struggerà come da bambino

eppure – Porco Mondo! – se sapesse nuotare…


***



La foschia cela campi…

conurbazioni… terra arata a neve.

Lì, accanto a meleti – piantati dai Sanniti –

code di camion a scaricare percolato:

se n’è andato tuo padre,

forse per non morire di brutti mali...

di lunghe malattie,

come pecore che brucano diossina…

da abbattere.

Lupi scesi a valle non le sbranerebbero.

Teresa tra la folla… file per gli ultimi

pacchi natalizi, stili affastellati

che pare uno sbuffo di vento a sgretolarli.

Fiulin davanti a sugheri, terracotte,

ripensa a quella domenica:

«Te piace ‘o presepe

Dal treno la nebbia confonde case

ma intravedi aceri spolverati di galaverna.




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