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Ilaria Beneduce (1978), vive a Napoli. Da anni porta avanti una personale ricerca stilistica, sostenuta da un viscerale amore per la poesia contemporanea e del novecento, dove rigore formale, eleganza e continui spostamenti semantici fanno da cemento a tematiche legate allo scorrere del tempo, alla dimensione del ricordo e alla rappresentazione di dettagli di vissuto che si compenetrano con elementi naturali dando vita a vere e proprie trasfigurazioni. Presente nell’antologia Arbor Poetica (2011, LietoColle) e curatrice del blog musaerato.tumblr.com, ha pubblicato le sue poesie principalmente in rete. La maturità e la sicurezza della sua voce poetica meriterebbero una pubblicazione in volume che spero non tardi ad arrivare.
pudore di prima luce
attraverso l’istante rappreso
dalla fatica del suolo all’alba
bisbigliare forme sbrinarsi
in sagome incerte che intuisco
nel nero vociare
in questo delirio di atti incolti
esigo il ramo esigo l’ombra
ansia puerile del disatteso germogliare
dalla fatica del suolo all’alba
bisbigliare forme sbrinarsi
in sagome incerte che intuisco
nel nero vociare
in questo delirio di atti incolti
esigo il ramo esigo l’ombra
ansia puerile del disatteso germogliare
la pazienza del grano
siedo capriole di ieri
ad accogliere aria
acqua come terra arida
il ricordo: l’unica semina che conosco
camminare all’indietro
i confini ad uno ad uno
e sperare nella pazienza del grano
ad accogliere aria
acqua come terra arida
il ricordo: l’unica semina che conosco
camminare all’indietro
i confini ad uno ad uno
e sperare nella pazienza del grano
il tuo andare
sfato il turchino di stantìe memorie
a coniugare l’imperfetto respirare
aria di ginestre e di gennaio
sbrino i tuoi occhi a farne acqua salata
finché non mi licenzi il fiato reso
coperta al gonfio, sazio costato
abdico al tuo sguardo sotteso:
Io
quando vado
divento a me
il tuo andare
a coniugare l’imperfetto respirare
aria di ginestre e di gennaio
sbrino i tuoi occhi a farne acqua salata
finché non mi licenzi il fiato reso
coperta al gonfio, sazio costato
abdico al tuo sguardo sotteso:
Io
quando vado
divento a me
il tuo andare
saliva e terreno
dove il vento pettina il giorno tra le maglie
di rami e apre finestre nel fitto fogliame di te
l’aria si ammucchia tra le crepe della bocca
ne impenna i lembi un tempo sorrisi pastosi
di luce ora rappresi in autunni senza rigoglio,
gocciola in una nenia infinita di saliva e terreno
- laconica malinconia non usa alle parole -
in questa notte che attende l’alba franare io
ho
nel dolore la salvezza e calpesto l’erba
per sentirla odorare di muffa
di rami e apre finestre nel fitto fogliame di te
l’aria si ammucchia tra le crepe della bocca
ne impenna i lembi un tempo sorrisi pastosi
di luce ora rappresi in autunni senza rigoglio,
gocciola in una nenia infinita di saliva e terreno
- laconica malinconia non usa alle parole -
in questa notte che attende l’alba franare io
ho
nel dolore la salvezza e calpesto l’erba
per sentirla odorare di muffa
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