venerdì 3 febbraio 2012

Vivo qui.

lettera di Vincenzo D'Alessio & g.c. f.guarini
Caro Massimo Sannelli, sincero amico che vivi a Genova, mi permetto di scriverti dopo un lungo silenzio. Paolo Saggese, professore presso i Licei Statali della terra irpina, ha pubblicato e presentato un volume dal titolo: Crescita Zero. L’Italia del Terzo Millennio vista da una provincia del Sud (edizioni, Delta 3, 2011). Lo stimolo a chiudere in un volume le esperienze realizzate sul campo, gli articoli apparsi sui quotidiani,  le presentazioni, e attive partecipazioni, a convegni e manifestazioni in favore della provincia di Avellino, è giunto dopo l’incontro con il giornalista e scrittore Pino Aprile, avvenuto mentre portava a termine la sua ultima fatica: Giù a Sud. Perché i terroni salveranno l’Italia (Piemme, Milano, 2011).
Il libro è stato stampato con la sovra copertina simile alla maglietta indossata dagli operai della fabbrica “Irisbus-Iveco” Valle Ufita, che stanno lottando (ancora oggi) per il loro posto di lavoro. Credimi, il valore di questo volume è veramente ineguagliabile, andrebbe ripreso, stampato e diffuso gratuitamente nelle regioni settentrionali, come testo di una collana della testata giornalistica del quotidiano Repubblica o Il Corriere della Sera. Il vero valore di questo scritto sarebbe, in tal modo, sublimato nelle menti dei troppi difensori di un Nord, più forte e più motivato nel lavoro, del nostro Sud. Finirebbe, sicuramente, buttato nella busta della raccolta  differenziata della carta da chi non è abituato a leggere, ma darebbe un brivido di dignità morale a chi viene dal nostro Sud e lavora, per eterna necessità, nelle lande del Nord del nostro “Belpaese”.
 “Crescita Zero” non di bambini, nel nostro Sud, grazie a Dio, continuano a nascere nuovi bimbi che parlano italiano e rumeno, italiano e albanese, italiano e lingue africane. Questo il libro di cui ti parlo lo dice immediatamente. Mancanza secolare di vocazione al libero lavoro, questo secondo è  il significato pieno dell’opera. A questo punto viene alla mente la voce meravigliosa del “poeta  della Rivoluzione Meridionale”, Guido Dorso, che stampò la sua opera nel 1925 proprio  a Torino, nel cuore del Nord della penisola appena gravata dal nascente Fascismo, presso l’amico fraterno Piero Gobetti, che scrive: “Emerge, quindi, chiaro fin da questo momento che ad aggravare gli originari fenomeni di inferiorità economica e di patologia demografica che caratterizzano la costituzione sociale del Mezzogiorno, molto ha contribuito e contribuisce tuttora lo Stato, che, da organo supremo del diritto, da fonte precipua ed unica di eticità, si trasforma in Italia in organo del privilegio, in fonte continua e perseverante dell’ingiustizia.” (Libro III, Cap. XIV)
Caro Massimo, come vedi, sono trascorsi anni, come metafora direi secoli, e nulla è cambiato in questa penisola sottomessa alla politica, infangata dalle necessità.  Saggese affronta con sincera passione, senza acribia, senza odio verso nessuno, la carenza di una politica vera, saggia, efficace, capace di rimetterci del suo  pur di vedere risultati nel tempo. Egli parte dalla Poesia, che ci unisce e ci consuma, per raggiungere altre mète, altri  confronti. I capitoli sono ben disposti. Quello che maggiormente mi ha preso l’Anima è stata la Lettera ai giovani d’Irpinia, con dedica a Giuseppe Caggiano, strappato anzitempo alla vita (e tu sai quanto costa anche a me questa dedica).
Come faccio oggi con te, così Paolo compie questo gesto arcaico, premuroso, sincero, di affidare ad un pezzo di carta la memoria, il calore meridiano, l’incontrastata lotta tra vivi e morti, perché ti giunga e regga, tenga, e illumini il presente  nostro e dei giovani: «Un aspetto rilevante che può servirvi come elemento di riflessione, è che a vent’anni non vedevo l’ora di andarmene, di “fuggire” dal mio paese, da questa terra che sentivo non mi appartenesse, e dieci anni dopo mi trovavo al punto di partenza e ad un bivio: fuggire di nuovo o restare» (pag. 50).
Oggi questo fuggire è divenuta una regola irrazionale. I politici in tutta la nostra nazione  ci sovrastano, irremovibili , come dissolutori di energie e di speranze. Siamo giovani anche noi, lo saremo sempre, perché la Poesia ci alimenta.
Caro amico genovese, i tuoi antenati genovesi sono scesi quaggiù a commerciare il ferro meno di tre secoli or sono, nella vicina Salerno. La metafora delle divisioni non regge più, né quella di Stati nello Stato. Manca il lavoro vero, la vocazione delle nostre genti e delle nostre terre. Non si può rapinare il Sud, né ingannare le sue menti migliori utilizzando l’economia per emarginare le forze costruttive. Le migliori menti poetiche, letterarie, sono cariche del sole meridiano (come scrive Franco Compasso) e questa energia c’è solo quaggiù, proprio dove la civiltà greca piantò la sua nuova grandezza.
Pier Paolo Pasolini, da bravo friulano, rimase incantato dalla Piana del Laceno dove partecipò da premiato alla manifestazione cinematografica  “Laceno D’Oro”, seguendo, in ordine di tempo, un suo illustre predecessore, Pietro Paolo Parzanese, il quale scriveva, a proposito dell’argomento della nostra corrispondenza: “Quella natura animosa di noi montanari, quel non so che di selvaggio del nostro costume è ben miglior cosa che l’indole sguaiata e molle di chi nacque sotto cielo più mite ed in terra più benigna. È vero, che i nostri padri erano fieramente gelosi delle loro donne, ed intolleranti di soprusi, sicché mettevano ben poco a piantare un coltello ne’ fianchi, o ad assestare una schioppettata nella schiena di chi gli avessi offesi; ma almeno nelle famiglie i figli sono tutti di un conio,né mai fu ne’ tempi de’ baroni che i nostri uomini si fossero mostrati pusillanimi e di animo servile.” (Un viaggio di dieci giorni, La Ginestra, 1996).
Con quest’ultima ripresa delle idee, che appartengono al nostro patrimonio nazionale, caro Massimo, mi accingo a chiudere, anche se solo per adesso, la nostra corrispondenza Sud-Nord e viceversa. Noi affidiamo ai versi il nostro sincero Amore per una nazione unita, viva, che accoglie chi è meno fortunato e assegna ai giovani un ruolo preminente. Lo scrivemmo quel memorabile 13 aprile 1997, sulle creste appenniniche dell’Irpinia, insieme ad una schiera di giovani che, simili ai Trecento guidati da Carlo Pisacane, ponevamo le basi affinché si squarciasse il velo del silenzio e l’infamia politica del nascondimento delle idee vere per il Primo Secolo del Nuovo Millennio: “Siamo per questo stanchi di esodi inutili e di egemonie violente portate in nome della politica dello Stato. La Poesia è chiamata all’amore per la propria terra.”(Manifesto dei poeti irpini).

1 commento:

Giovanna Iorio ha detto...

Grazie Vincenzo,
per queste parole che uniscono tutte le voci lontane.
Giovanna Iorio