mercoledì 14 febbraio 2007

Poesie e Manifesto dei poeti irpini (Vincenzo D'Alessio)

Nelle mie montagne c'è la morte!
La respiriamo nei fili d'erba nera
Nelle macchie malate dei castagni
Cancro che sgorga dalla terra
Madre dei nostri padri
Merito infame dei politici assassini
Carichi di denaro e di potere illesi
Dopo ogni frontiera di voto
Immondizia cerebrale invicibile domani
Noi poveri uomini sconfitti di libertà.

gennaio 2008


ai giovani laureati

Andare via dall'Irpinia
terra benedetta dai politici
servi dei padroni
nel dolore degli onesti
di notte senza regole
coi bagagli affastellati
fuggire dai saltimbanchi
dalle immagini di strada
abbiamo bisogno d'acqua
per i figli e i nipoti
pane del duro lavoro
frutto del nostro sudore
torneremo solo al sabato
con Rocco e Leonardo*
resteremo sempre distanti
partigiani repubblicani.

(7 maggio 2007)

* Rocco Scotellaro e Leonardo Sciascia.


(pubblico su cortese segnalazione di Vincenzo D'Alessio, uno dei firmatari – a sinistra nella foto assieme a William Stabile – questo documento che "compie" 10 anni e che stimola a una riflessione sul legame tra poesia e territorio, inteso anche come milieu sociale e politico)

Dal cuore verde di questa antica terra dove "Stettero un dì per queste balze irpine / i vecchi padri come rocce immoti / ed, al fulmin de l'aquile latine, / offerser petti a libertà devoti." (Pietro Paolo Parzanese)
noi, eredi dei troppi inganni perpetrati dagli ipocriti politici, innalziamo la nostra poesia al di sopra delle barriere delle ideologie, delle falsità, delle menzogne, per lasciarle respirare la libertà da sempre avversata: "Passano ore vuote / nell'orologio della vita, / sotto il bianco soffitto / che osserva animi / fermi al parcheggio. / Chiedo perché il tempo / come senza valore, / ti è sottratto / per la patria inesistente." (Domenico Cipriano)
Noi sappiamo di costituire una minoranza continuamente emarginata.
Troppe volte presa di mira dalle calunnie inutili e dalla stampa prezzolata. Conosciamo il silenzio delle stanze dove viene tormentato il nostro spirito, questo delle malinconie, dei poveri inascoltati: "Noi usciamo dal collo / dello stivale / il duro sud / l'Egitto degli ebrei / un ghetto di coloni e braccianti / che hanno abbrancato secoli / di ceneri / e mietute spighe di elemosina." (Pasquale Martinello)
Siamo per questo stanchi di esodi inutili e di egemonie violente portate in nome della politica dello Stato. La poesia è chiamata all'amore per la propria terra.
In un secolo come il nostro, che chiude con troppe infamie, è necessaria la testimonianza civile. Nello spirito della semplicità che ci unisce agli uomini senza una patria, nel segreto che distingue la nostra attivit, lanciamo nell'azzurro il nostro aquilone di parole: ”E se ci affoga la morte / nessuno sarà con noi, / e col morbo e la cattiva sorte / nessuno sarà con noi. / I portoni ce li hanno sbarrati / si sono spalancati i burroni. / Oggi ancora e duemila anni / porteremo gli stessi panni. / Noi siamo rimasti la turba / la turba dei pezzenti, / quelli che strappano ai padroni / le maschere coi denti." (Rocco Scotellaro)

Guardia Lombardi, 13 aprile 1997

2 commenti:

Luca Ariano ha detto...

Manifesto che apprezzo molto e trovo assai condivisibile. Lo sento vicino, pur essendo di un'altra terra, ma forse riaffiorano le mie antiche radici campane!Stupenda la chiusa di Rocco Scotellaro, un indimenticabile grande uomo e poeta!Complimenti a tutti i poeti firmatari
Un caro saluto

Alessandro Ramberti ha detto...

Sì Luca, il manifesto ci provoca ad avere parole "radicate" e ad evitare, per quanto possibile, il flatus vocis al quale è forse preferibile il silenzio.