martedì 13 febbraio 2007
Su In terza persona di Giovanni Nuscis
Manni 2006
recensione di Marco Sclabrino
La terza persona di cui al titolo non dia adito a fraintendimenti!
Essa infatti, lo si apprende sin dai versi d’esordio e lo si reitera per tutta la silloge, «questa giungla bestiale / di pali e fili, gemiti e carne», «scintillio di idee e muscoli, missili, e dollari», «vuoto che s’invera giusto il tempo / di uno scampanio di sensi», non è la comoda, equidistante, vaga postura di chi osserva dall’alto, da distanza, con distacco; non è “maschera”, passività, spocchia. È piuttosto il tratto ponderato della contemplazione, dell’approccio critico alle “cose”.
«Milizie oscure (cui) affidiamo / i nostri documenti in regola» «hanno sciolto del grasso nell’acqua». È andata ovvero corrotta, appestata, in putredine l’utopia di un uomo; anzi, «tutti l’abbiamo bevuta», di una generazione pari pari di giovani uomini e donne che, all’indomani di una irripetibile stagione di “fate l’amore e non la guerra”, di “mettete dei fiori nei vostri cannoni”, di “come potete giudicare?”, ha ceduto il passo all’arrembante imbarbarimento sociale, culturale, politico; ha assistito negletta, impotente, consapevole, al tramonto di ogni illusione, al declino di ogni idealità, al dissolvimento di un planetario disegno di società costellata dei valori universali dell’amore, della pace, della libertà.
Ciò atteso la Weltanschauung a fondamento dell’opera non può che essere ravvisata in quei «nostri sogni qui, di cinquantenni, a pezzi».
L’amarezza scaturitane, «il volo in caduta dei giorni», non deve comunque costituire annichilimento, limite insormontabile, «espulsione probabile». L’antidoto, come del resto il “grasso”, sta nell’uomo, nelle sue facoltà di pensiero e di parola che lo rendono scelto fra tutte le creature, ne fanno l’essere più caro e più vicino a Dio, nella prerogativa che egli, figlio, ha ricevuto dal Padre, della creazione: «sono approdate le parole», «si poteva sperare / in un dono più grande?», «sintagmi / strani, assemblati in tante file / né corte né lunghe, né prosa né versicoli: / tutti musica e ritmo / perfetti emuli di Baudelaire e di Eliot». Guarda caso Eliot e Baudelaire, due tra i Maestri che sono stati tirati in ballo discorrendo de Il tempo invisibile Book Editore 2003, il precedente florilegio di Giovanni Nuscis: Charles Baudelaire per la sua concezione della poesia “quale ricompensa dell’esercizio giornaliero”; Thomas Stearns Eliot in relazione al “correlativo oggettivo”, vale a dire, secondo il profilo che egli stesso ne ha enunciato: “la sola maniera di esprimere l’emozione nella forma dell’arte sta nel trovare una serie di oggetti, una situazione, una catena d’eventi, che sarà la formula di quella emozione particolare; cosicché, quando sian dati i fatti esterni, che devono concludersi in una esperienza sensibile, l’emozione sia immediatamente richiamata”.
Alle parole appunto e alla Poesia è dedicata per intero il cuore del libro (la terza assai breve, solo tre componimenti, eppure densissima sezione). E in quelle «lettere e suoni (che) si ricompongono nello studio illuminato», insistono i paralleli con la realtà, le considerazioni, gli interrogativi: il «grande occhio che ci osserva», «non il luogo conta / ma il farsi pane per la terra», «saremo mai ciò che vorremmo?»; perché, nella vita come nell’Arte non manca di rammentarci Gianmario Lucini: “non sono le risposte a farci progredire, quanto la capacità di suscitare sempre nuove domande.”
È prassi del Nostro esporsi, dichiarare il proprio punto di vista, ribadire la propria vocazione all’impegno. Impegno che, asserisce Paolo Messina, “non ammette alcuna dipendenza politica”, bensì è “inteso come partecipazione, anche con gli atti di poesia, alla costruzione di una società libera e giusta.”
«Uomini-polis / cinti da filo spinato; / ognuno che batte moneta / con l’effigie del suo credo / e dietro, il valore che si è dato», «lo Stato: bue grasso / da squartare>, «piccole astuzie di bottega: grammi rubati / merce scaduta».
Il quadro sociale che ne emerge è affatto edificante: «Sul dorso di anni molli» «cediamo alla iattanza di colori /falsi, di cose che non sono / che i loro calchi vuoti», «la vita intorno si è spogliata» e il culto della personalità, «gente di spettacolo / che tutti piano si diventa», il cinico arrivismo, la prevaricazione dell’altro da noi e delle regole, «un milione di leggi paragrafi e commi masticati in eguale misura / da fini giuristi e da ladri», hanno avuto il sopravvento; e la speculazione a vantaggio del potere e dell’arricchimento per sé e/o per la fazione di appartenenza, l’attitudine ad adattarci e gestire il business di «dinosauri, carestie / guerre», il delirio, «sul furore di giorni», di scannarci impietosamente «per le briciole rimaste» si sono attestati, perfezionati, clonati.
E linkiamo sulle ulteriori distintive caselle del complesso mosaico oggi in agenda.
GLI AMBIENTI: la Sardegna, l’isola che non l’ha visto nascere (le origini del Nostro sono anconetane) benché da oltre trent’anni l’ha adottato, e in specie l’Asinara, Porto Torres, Fiume Santo. Altresì viene menzionato San Sebastiano, il nome di un luogo speciale, le carceri di Sassari, delle quali Giovanni Nuscis è responsabile, presso la Sezione di Corte, della formazione del personale giudiziario;
LE TECNICHE di edizione, sobria e gradevole la veste MANNI a partire dall’illustrazione di copertina e dal carattere agevole da leggere, nonché di scrittura:
LE QUATTRO SEZIONI di cui si compone il volume, spaccati disomogenei per ampiezza, per quantità di componimenti, per “messaggio”;
I TERMINI IN CORSIVO (singolare in tale ottica l’accostamento tra parola e neonato) a rimarcare, «spenti i colori», il «cielo grigio» dei nostri tempi: noi ci ritiriamo presto la sera, si pungono l’un l’altro i giorni tra chiuse pareti;
LE SEDUZIONI dell’enjambement, delle rime al mezzo, dell’anafora e di altre formule retoriche: «lingue di un fuoco che langue / in un inverno che allunga»;
IL PROCEDERE FRAMMENTATO, per metodica, strutturata accumulazione, accentuato dal ricorso al verso libero, ai puntini di sospensione, all’impiego in un paio di episodi del Latino: ad impossibilia nemo tenetur, ante litteram, dall’assenza, se non in indice, dei titoli, per cui i testi paiono configurare un intersecante continuum. Titoli, peraltro, oltremodo significativi, convenienti, nella economia del lavoro, per approfondirne la comprensione, dei quali vi proponiamo un rapido campione: Primo maggio e due giugno, Masticavano terra e poc’altro, In quel campo di croci che è un giornale, Sollevi quintali ogni giorno, Batteremo il tempo in altro petto, Bisonti nella pace, Falegnami ascoltavamo il legno, Noce che spacca nel periplo d’una vasca, I segni non solo su polsi e caviglie, Si torna a casa con passo debole;
GLI ACCENTI LIRICI: «Il bianco negli occhi dell’inverno», «Tu di lana fino ai denti», «s’attarda l’anima, / con sorriso di magnolia» …;
LA SINTASSI, per cui il Nostro, come se ne fosse investito, mostra di avere recepito appieno l’assunto di Antonino Cremona: “Dimenticate la grammatica, fatevi una vostra sintassi”.
Le quattro porzioni avvincono i sensi: il tatto, la vista, come fossero – l’odorato adesso e il palato – portate di un lauto banchetto. A noi concepirne la fragranza, i colori, i sapori…
Nella seconda ci sono, a mio avviso, almeno due fra i componimenti più belli della raccolta. Ma essa tutta risalta per le felici invenzioni, per lo sguardo accorto sull’attualità, per la sofisticata scansione. E, ci ha dilettato scoprire (non tanto invero da sorprenderci, giacché abbiamo contezza dello spessore culturale di Giovanni Nuscis) per gli agganci letterari: la Jasnaja Poljana è il villaggio della Russia patria di Leone N. Tolstoi la cui casa oggi è un museo, e l’assedio di lillipuziani palesemente rievoca il GULLIVER di Jonathan Swift, e per quelli storico-mitologici, là dove le espressioni «hai sollevato il mondo» e «il nostro senso di fatica / atavico» ci fanno sovvenire rispettivamente Archimede, Siracusa 287-212 a.C. il quale asserisce un aneddoto stabilì la teoria delle leve chiedendo “un punto d’appoggio per sollevare il mondo”, e Atlante, il gigante che avendo partecipato alla lotta tra i Giganti e gli dei e uscitine i primi sconfitti fu punito da Zeus a reggere sulle spalle la volta del cielo.
Bando dunque agli indugi (più in là, in una onirica icona, verranno ancora celebrati Goethe e Gutenberg), e leggiamo:
«Si fa l’amore come sopra un tetto / o in cima a un albero; davanti a Dio / e al grande occhio che ci osserva, / gemito su gemito. / È quello vero, di amore / che ogni giorno retrocede davanti / a milioni di video ultrasottili, / in una solitudine dimessa / o rancorosa. / Sognarsi in un atollo / in una comunità di monaci, / di bonzi, di esseni guaritori / – Messia ante litteram; / o in una Jasnaja Poljana. / O ritrovare, un giorno, della vita / l’intero ed i frammenti / non più insostituibili, e dismetterli. / Infine scivolando tra le braccia, / di se stessi, come da un treno in corsa / prima della botta.»;
«È assedio di lillipuziani / nelle orecchie, sulle retine. / Le ore come pietre vanno, / dolcemente. / Non ci svegliamo mai, o quasi / tra un sonno e l’altro. / Ma siamo stati neve. / E poi buio e neve: che neanche / un giorno più sopporta il piede / scivolando. / Cediamo alla iattanza di colori / falsi, di cose che non sono / che i loro calchi vuoti, / miscuglio o alternanza di sogno, / e imbroglio. / E lo sguardo s’arranca, l’orecchio si fa duro / la mente si sfalda, perde fili … / … lampi che si spengono, disperata-mente.»
Le notazioni precedenti ci rendono edotti di quante e quali suggestioni possono derivare dalla “lettura” di un’opera, sotto molteplici aspetti, intrigante quale questa di Giovanni Nuscis è.
«Ti stupisci del tempo che è passato». «A cinquant’anni dicono…». Giovanni Nuscis non ha tuttora varcato quella età! Pur nondimeno, c’e da credere che le personali sue esperienze di vita, le prove alle quali ha dovuto attendere, i riflessi di queste “fatiche” sulla maturazione di uomo e sulla visione di artista (ecco si ripropongono i «nostri sogni di cinquantenni a pezzi») gliene fanno avvertire in toto il fardello, l’agguato prossimo, la responsabilità individuale e collettiva: «Noi, la tana in cui la bestia entra, esce, resta», «animale enorme che galleggia / di cui si vede appena / un dente, il pelo ispido», i cui «escrementi / hanno lasciato segni sul terreno».
La parola di Giovanni Nuscis «passa dalla lingua alla gola / e poi di nuovo al cielo». La sua poesia è «minuta storia lì che s’allontana», «attraversamenti di lumache che si perdono / sull’intonaco dei muri», «se si vuole, una fede». Quanto più la si legge, quanto più se ne scrosta lo spleen che la “incarta”, quanto più per dirla con Croce la si interroga, tanto più se ne rinvengono, a strati vieppiù profondi, l’«acqua, radice tenerissima», il «suono di cascat», il «gorgo di silenzio>, latitudini recondite di sentimento, di percezione, di illuminazione. E, a dispetto di una realtà che mira a sottendersi, a prospettarsi anonima, indistinta, patinata, che manifesta riluttanza ad essere scavata, essa, con lievità, con eleganza, con misurata energia, si districa in quel «mondo / che ci sopporta, e ci tollera», ne tira con perseveranza i bandoli, e ce ne rende partecipi con «l’unicità di una canzone», con florida, lucida, lirica risoluzione.
«Non fermatevi là dove siete arrivati. / Qualcosa in noi rivuole spazi. / Da qualche angolo si avverte / come un monito, e non capiamo: / non capiamo se lo stiamo ascoltando / o siamo già noi quel luogo che chiede ascolto. / Capire allevierà la vostra pena / ritarderà forse una fine. / Così che v’appaia la vita / d’una stanzialità leggera».
Mio Dio! Una miniera di immagini, di spunti di riflessione, di noci che si spaccano e «trova la luce il gheriglio»: «Non un sogno. Non un giorno / accadde: un luogo certo / ed impalpabile … che sembra precipizio / smottamento, marea oscura / anticipazione di un passo … verso un nuovo già vecchio. / Un istante appena e siamo dove / più non è quello che prima era … piede che avanza di chilometri / sull’altro che sta fermo … per combattere uniti ovunque / nera zampilli una ferita … Potessimo vederci come siamo … tute senza i corpi / tra spume e campi: anime … scivolando tra le braccia / di se stessi, come da un treno in corsa».
Si poteva fare di meglio… / sarebbe bastato volerlo… questa superba performance di Giovanni Nuscis lo avrebbe meritato. Ma «abbiamo dato fondo / alle energie», «la mente si sfalda», «più sottili si sono fatti gli occhi».
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
2 commenti:
Ringrazio ancora di cuore Marco Scalabrino per la sua lettura attenta, acuta e paziente del mio libro; e ringrazio e saluto Alessandro e l'Editore per lo spazio dedicatomi.
Giovanni Nuscis
* Una precisazione: non sono responsabile del carcere di Sassari né di altre carceri; mi occupo della formazione, in ambito distrettuale, del personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie. gn
Grazie Giovanni e grazie Marco.
A presto!
Alex
Posta un commento