venerdì 9 febbraio 2007
inediti da Codice Terrestre (Gabriela Fantato)
Un bacio dopo l’ultimo
l’arrivo
Seguo i metri – uno su uno –
sino al colpo, sino all’abbraccio.
Vengo da te che mi strappi e sei
la mia stanchezza.
Forse è vero, sarei la tua terra,
un solco per la mietitura
– la città sale dentro le lenzuola –
il racconto è sirene
e allarme.
Solo l’inondazione di rughe
e figli placa il cielo, questo bianco.
Mi distendo nell'incavo dell’estate,
paziente alla resa.
Insisto la richiesta, salto alle radici.
Tu respirami
pesce d’oceano – ricorda la bocca
l’invocazione
Tienimi quel battere tre volte
alla casa – mi riconosci? –
allora scrivilo nel conto delle tue verità,
scrivilo vicinissimo al cervello,
rosso, solo rosso senza nome.
Regalami l'innocenza dei sandali
d’infanzia per tentare il passo
dove l’acqua è un bordo della pelle
– ti darò la solitudine liscia
dei miei tre anni senza vento –
dove vederti e perderti.
Dammi il bianco dell’inverno,
inventa la gioia a consolare
l’arsura.
precisione
Potrei fermare la precisione
del respiro nelle rotaie, potrei restare qui
nella promessa non perduta.
Conto le fermate – una, due –
sono nove, dici, di arrivi e sempre partenze,
un taglio sulla porta dove il sogno scrive
la casa. Mi afferro al gancio che tiene
la mano e fa i conti con le cose.
Abbiamo ancora tempo per perderci,
nessun pudore a dire angeli e crederci.
Siamo prede e assalto dove la schiena
è radice, la benedizione delle labbra
nel sorriso della madre.
Una città senza nome.
ostinazione
Ci affrontiamo in giocattoli di latta,
grandi come le mani.
Ritorniamo nell’angolo ogni sera,
proprio come un’aquila va al nido con il cibo,
come marzo apre la forma dell’estate
– cancella tutti i mesi che vengono –
dici, non vuoi il calendario.
Stiamo qui, legati al sorriso
di una madre dentro la cucina immobile
di minestre e legno
– i coltelli non sono armi, sono
solo il taglio nella carne –
Nelle mani un’ostinazione
come la falce nel grano.
Ripetiamo il gesto antico che taglia
e rifiorisce
alla postazione
Alla batteria a picco nel verde
della collina - casamatta del '40 -
ho visto i bordi di me, un paesaggio
interrotto e il ponte spaccato
- nessun passaggio alla mia bocca -
Sul muretto di cemento alzo l'ultima grata,
sempre la stessa. Tu lo sai, conosci
la mia gola di lontra senza tana.
Tra me e te che guardi lontano
ci sono anni per dire
la solitudine che saremo
declinazione
Il desiderio e la colpa sono alti
quasi novanta metri
– si mangiano piedi e mani
dentro la casa –
eppure la collana di conchiglie la porti ancora
ad amuleto appesa al muro,
in ricordo della gioia
– domani la salita sarà al Carmelo –
espiazione nelle domeniche di maggio.
Ogni mattina chiniamo il capo
al battesimo della luce e solo un passo
manca, solo un passo.
Poi sarà la declinazione
– adesso, ieri – e il pane sarà ciò che chiedi,
briciole nelle tasche e un addio
"Vengo da te che mi strappi e sei / la mia stanchezza": versi amorosi senza leziosità, immagini che restano/colpiscono per merito di una sintassi sinuosa (certo più sensuale delle scelte lessicali così naturali eppure ricche di understatement) e avvolgente ma al tempo stesso calibratissima per condurre su sentieri che sorpendono per la capacità di offrirci accostamenti visionari ("la mia gola di lontra senza tana") e che a volte dobbiamo percorrere a ritroso per metabolizzare incisi e digressioni e "convertirli" in quel saporoso contorno che esalta il valore di un messaggio ricco di venature.
Gabriela Fantato è poetessa e critica. Tra i libri di poesia ricordiamo: Moltitudine (2001); Northern Geography, con traduzione inglese di E.Di Pasquale (2002), Il tempo dovuto (2005). Dirige la rivista di poesia, arte e filosofia: La Mosca di Milano. Ha scritto vari testi in versi per il teatro, tra cui Ghost Café, andato in scena al Teatro Donizetti di Bergamo nel 2001.
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