recensione di Vincenzo D'Alessio
Narda Fattori ha partecipato con questa
raccolta, intitolata Dentro il diluvio, al Premio Astrolabio Poesia 2010/11,
ottenendo il primo posto nella sezione silloge inedita. Nell’introduzione alla
silloge, pubblicata per le edizioni puntoacapo, scrive Valeria Serofilli: “[questa silloge]
richiede ed impone una lettura attenta, non casuale né distratta.”
Noi, che abbiamo sete di poesia, per
alimentare la fiamma che dentro si compone e scompone, leggiamo con attenzione
i versi che attraversano questo tempo nuovo, del secolo appena iniziato, richiamando
alla memoria le voci passate e rinnovando la ricerca con la parola presente. La
Poesia è il fare inteso come nascita, dolorosa, necessaria, per dare
concretezza all’energia del pensiero e sfrondare, con l’alchimia dell’ironia,
le spine dei rovi del presente.
Le poetesse hanno, per vocazione
naturale, una zolla di terra buona in più; in quel luogo dove abita la ricerca
di “pensieri belli di acqua ridarella / e un gran verde d’erba e di fronde”
(pag. 11, Un altro giorno ancora stemperato). La serenità, la gioia dell’attimo
presente, la sconfitta “dai pensieri e dalle male venture”. La Poesia nasce per
adempiere alla missione impossibile di salvare, chi scrive, e chi legge dalla
triste logica delle necessità; dalle violenze che l’Umanità riversa su sé
stessa e sull’intero pianeta che abita; dall’impossibilità di sfuggire alla
fine del proprio, e dell’altrui, Tempo.
“A tutti sia dato da proteggere un
frutto / un futuro.”
Così recita la prima, delle venti poesie, che compongono questa nuova raccolta della poetessa Fattori. Desiderare il Diluvio affinché cambi qualcosa, qualcuno. Stare dentro agli eventi e riuscirne con la consapevolezza di aver offerto un’arca per salvare quelli che l’Umanità considera archetipi capaci di ricomporre il mosaico, fuori dagli orrori presenti: “ (…) e l’origine del male si situa / in un passato memore che pulsa / dentro un nebbioso presente / nell’abbaglio del traffico intenso” (pag.18, C’è del disagio in un oggetto).
Così recita la prima, delle venti poesie, che compongono questa nuova raccolta della poetessa Fattori. Desiderare il Diluvio affinché cambi qualcosa, qualcuno. Stare dentro agli eventi e riuscirne con la consapevolezza di aver offerto un’arca per salvare quelli che l’Umanità considera archetipi capaci di ricomporre il mosaico, fuori dagli orrori presenti: “ (…) e l’origine del male si situa / in un passato memore che pulsa / dentro un nebbioso presente / nell’abbaglio del traffico intenso” (pag.18, C’è del disagio in un oggetto).
L’intera raccolta vibra di un’armonia
fondata principalmente sulle anafore, che compaiono sistematicamente in quasi tutte le poesie, chiamate ad
interrogare il poeta e il lettore, conducendolo a quel verso montaliano di “non
chiederci la parola”. Poetica che si pone tra ultimo Novecento e il primo decennio
del nuovo secolo tecnologico. La bussola del viaggio, all’interno dei venti e
del mare, è affidata ancora una volta al magnetismo della memoria: “Io non so
fare il pane né seminare grano /
io non ho sapienza delle cose che contano / (…) ma coltivo sinfonie / di colori con steli e sepali e petali
e profumi / sono antidepressivi naturali coltivo pace / almeno una tregua e sia
fatto un nuovo / giorno con i colori di questo giardino.” (pag. 31, Io non so
fare il pane né seminare grano).
La Poesia, in molti casi, è simile alla Storia, maestra di vita. Di
una vita che si cinge di ali per volare alta, sopra i burroni della
violenza;lontana dal niente che trafigge la carne; “dell’aria infetta che
imputridisce attorno all’uomo”. L’Amore è la massima valenza umana e degli
oggetti, resi quasi umani, che circondano l’esistenza e permangono a raccontare
la vita di chi li ha avuti. I gesti, come la carezza di una madre verso “la
carne tenera del figlio”, riportano l’armonia del Creato e del suo Creatore:
energia o fede; sinapsi o frullo d’ali; spino di luce; “coscienza / che fummo di pianto e d’amore / con
altri dividemmo terra e pensieri” (pag. 34, Gli arrossati tramonti senza albe a
venire).
Molte volte i poeti parlano al mondo
degli esseri umani durante il loro viaggio, nelle tempeste, nelle guerre e nei disastri. Ma, le voci violente dei
Diluvi, smorzano le voci e lasciano, ai figli superstiti, il compito di
imparare, ascoltando i racconti del viaggio.
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