lunedì 30 gennaio 2012

Venti gradi nel diluvio


recensione di Vincenzo D'Alessio
Narda Fattori ha partecipato con questa raccolta, intitolata Dentro il diluvio, al Premio Astrolabio Poesia 2010/11, ottenendo il primo posto nella sezione silloge inedita. Nell’introduzione alla silloge, pubblicata per le edizioni puntoacapo, scrive  Valeria Serofilli: “[questa silloge] richiede ed impone una lettura attenta, non casuale né distratta.”
Noi, che abbiamo sete di poesia, per alimentare la fiamma che dentro si compone e scompone, leggiamo con attenzione i versi che attraversano questo tempo nuovo, del secolo appena iniziato, richiamando alla memoria le voci passate e rinnovando la ricerca con la parola presente. La Poesia è il fare inteso come nascita, dolorosa, necessaria, per dare concretezza all’energia del pensiero e sfrondare, con l’alchimia dell’ironia, le spine dei rovi del presente.
Le poetesse hanno, per vocazione naturale, una zolla di terra buona in più; in quel luogo dove abita la ricerca di “pensieri belli di acqua ridarella / e un gran verde d’erba e di fronde” (pag. 11, Un altro giorno ancora stemperato). La serenità, la gioia dell’attimo presente, la sconfitta “dai pensieri e dalle male venture”. La Poesia nasce per adempiere alla missione impossibile di salvare, chi scrive, e chi legge dalla triste logica delle necessità; dalle violenze che l’Umanità riversa su sé stessa e sull’intero pianeta che abita; dall’impossibilità di sfuggire alla fine del proprio, e dell’altrui, Tempo.
“A tutti sia dato da proteggere un frutto / un futuro.”
Così recita la prima, delle venti poesie, che compongono questa nuova raccolta della poetessa Fattori. Desiderare il Diluvio affinché cambi qualcosa, qualcuno. Stare dentro agli eventi e riuscirne con la consapevolezza di aver offerto un’arca per salvare quelli che l’Umanità considera archetipi capaci di ricomporre il mosaico, fuori dagli orrori presenti: “ (…) e l’origine del male si situa / in un passato memore che pulsa / dentro un nebbioso presente / nell’abbaglio del traffico intenso” (pag.18, C’è del disagio in un oggetto).
L’intera raccolta vibra di un’armonia fondata principalmente sulle anafore, che compaiono sistematicamente  in quasi tutte le poesie, chiamate ad interrogare il poeta e il lettore, conducendolo a quel verso montaliano di “non chiederci la parola”. Poetica che si pone tra ultimo Novecento e il primo decennio del nuovo secolo tecnologico. La bussola del viaggio, all’interno dei venti e del mare, è affidata ancora una volta al magnetismo della memoria: “Io non so fare il pane né seminare grano /  io non ho sapienza delle cose che contano / (…) ma coltivo sinfonie  / di colori con steli e sepali e petali e profumi / sono antidepressivi naturali coltivo pace / almeno una tregua e sia fatto un nuovo / giorno con i colori di questo giardino.” (pag. 31, Io non so fare il pane né seminare grano).
La Poesia, in molti casi, è  simile alla Storia, maestra di vita. Di una vita che si cinge di ali per volare alta, sopra i burroni della violenza;lontana dal niente che trafigge la carne; “dell’aria infetta che imputridisce attorno all’uomo”. L’Amore è la massima valenza umana e degli oggetti, resi quasi umani, che circondano l’esistenza e permangono a raccontare la vita di chi li ha avuti. I gesti, come la carezza di una madre verso “la carne tenera del figlio”, riportano l’armonia del Creato e del suo Creatore: energia o fede; sinapsi o frullo d’ali; spino di luce; “coscienza /  che fummo di pianto e d’amore / con altri dividemmo terra e pensieri” (pag. 34, Gli arrossati tramonti senza albe a venire).
Molte volte i poeti parlano al mondo degli esseri umani durante il loro viaggio, nelle tempeste, nelle guerre e  nei disastri. Ma, le voci violente dei Diluvi, smorzano le voci e lasciano, ai figli superstiti, il compito di imparare, ascoltando i racconti del viaggio.

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