puntoacapo Editrice, 2001
recensione di Marcello Tosi
Dentro il diluvio, ovvero il diario di una ricercata via poetica
via alla sopravvivenza, oltre i relitti di una sensibilità franta e
disseccata (“Non si può mappare il disagio / fonte inaridata o inquinata
che sia / non ci sono coordinate certe / mancano punti fermi troppo
interrogativi”).
Sono nuove Cronache disadorne che trovano la
propria appartata guida (“Io so solo scrivere versi e starmene da
parte”) in autori di riferimento, quelli che cita in apertura, che vanno
da Eschilo e Aristotele, agli Essays di Francis Bacon, al Curato di
Bernanos.
La raffinata sensibilità della poetessa di Gatteo,
continua a muovere, dagli esordi di Se amor parla (1995), nel solco di
un paradigma espressivo essenzialmente lirico, di un’armonia cercata
tra la dimensione intima del guardare nella memoria e nel ricordo (“Ci
resta una stanchezza di parole / aride nel solco che più non si
concimò”), e la necessità di ampliare lo sguardo attorno a sé (“Sono
andata a cercarmi col rovello / su molte rive e col fardello / dei libri
tornavo al focolare / di scarsa brace e di cenere scura”).
Una
sensibilità liricamente raffinata, sempre volta, oltre l’amata
dimensione intima (“Un altro giorno ancora stemperato / nella pazienza
di brezze attese”), alla necessità di ampliare lo sguardo al moto
drammatico dei nostri tempi in cui “I padri si scavano rughe fonde per i
figli / e i figli si fanno d’I-Pod e messaggini”.
“Dentro il
grande enigma vibra il precipizio / e tremo e mi confondo con la
pellegrina / nuvola chiara lassù in alto(…). “A tutti sia dato
proteggere un frutto / un futuro”.
“Credo – dice – che la
parola stessa poesia chiami ad un impegno personale di ricerca della
propria storia chiusa nelle pieghe delle proprie esperienze e del
proprio dna. Chi tradisce questo primo impegno è muto a sé stesso e agli
altri; chiuso in un guscio di pensieri elabora concrezioni, magari
belline, e penso a stalattiti e stalagmiti, e forse anche quella è
verità, una verità sotterranea che elude la relazione e si riversa tutta
nella visione.”
“Ci manca un canto comune un coro / un Ade
dove rimanere ad ascoltare / il flautato canto di Orfeo / che tuttavia
fece pietra di Euridice”.
“Ma è una visione – aggiunge –
senza profezia, immota, di cose senza voce, di lune trascoloranti. La
poesia si costruisce sempre attorno ad una relazione, io e io, io e noi,
io e voi, io e il mondo, e la bellezza, l’amore, il dolore.”
“Se sapessi qualcosa della bellezza / impasterei questa mia carne come
creta (…) Non so seminare i fiori / ma coltivo sinfonie (…)”, la chiusa
ideale di questo mondo poetico.
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