FaraEditore, Rimini, 2011
recensione di Vincenzo D'Alessio
I Poeti hanno nell’anima una tremenda
eredità fatta di ascolto. Già nati, il Tempo, instilla in loro l’effatà della dimensione Naturale che altri non odono. Gli fornisce
il sapore amaro della mancanza della perfetta gioia. Li arma d’ironia per
difenderli dalla realtà ontologica. Gli lascia intravvedere l’intrigo del
labirinto dei sentimenti umani, dal quale potranno uscire solo volando con ali
legate con cera d’api: i piccoli insetti che attingono di fiore in fiore il
nettare e impollinano le essenze per la continuità delle specie.
Kairos è la nuova raccolta poetica di
Sebastiano Adernò: magmatica, forte e possente nell’aderenza alla parola vera.
Poeta che intrattiene il dialogo con il lettore in modo corretto: “Discendo da
oracoli / capaci di fermare gli elefanti, / ma non il Tempo” (pag. 16). L’oracolo
discende nel Caos per dare risposte ispirate a colui che chiede: è questo il
tempo giusto, il mio tempo?
Purtroppo in passato le risposte degli oracoli erano quasi
irriconoscibili nel senso, anche se poi la realtà si congiungeva con quanto
avevano sentenziato. Il Nostro autore affronta, in una palingenesi, la
difficile strada del resoconto esistenziale: “nessun inganno /
toccherà l’illusione / in
cui giace il mio orgoglio” (pag. 18).
“Così Dio calò il filo a piombo: / una buona
azione / non deve avere intenzione” (pag. 15). Il verso riportato è quello che
apre il libro. Dà la chiave che regge l’intera raccolta: in quale modo, Dio
(cristiano o energia del cosmo), assiste l’esistenza di ogni essere vivente?
Il simbolo che per primo viene alla mente è quello del filo a piombo con la
squadra, quello dei muratori, che diverrà poi della Massoneria. Allo stesso
tempo la verticalità tra cielo-terra-cielo, richiama il simbolo della Croce. La buona azione, senza secondi
fini, è il Bene? Certo che in mezzo agli uomini è quasi impossibile fare azioni
senza altre intenzioni: non verrebbero capite! Anzi si rischia proprio di cadere in quell’assunto che il
Nostro recita nei versi che seguono: “Al ramo più robusto / pende il torsolo /
di un Cristo mai colto” (pag. 19).
Solo pochissimi Santi (“il Santo afferra
il permesso”, pag. 56) hanno saputo vincere il peccato originale (la mela/il
torsolo) e “cogliere” il seme della Parola che Gesù Cristo ha rivelato e
tramandato negli scritti evangelici, facendolo divenire: “miracolo veste la mia
Chiesa. / Ogni giorno il verbo si fa carne/macello” (pag. 56). Tempo giusto di
riflessione, di fronte al “Dio sano e matematico / capace di giustizia” (pag. 21)?
Le analisi sono tante: dal gesto iniziale della propria nascita “11 maggio
1978” (pag. 26), al susseguirsi delle vicende esistenziali: sé stesso (pag. 30); la madre (pag. 31); il
padre (pag. 33); e “il tracciato di Marta” (pag. 41) che emblematicamente fissa le
coordinate del Tempo (chronos) che
scorre e del Tempo (kairos) della serenità. Pone finalmente, l’uomo (il poeta) di fronte al
presente, sospeso nella lotta, con alle spalle Aion, l’eterno, nel quale tutti
si perdono, e il respiro della nuova creatura, la sua: “(…) il mio pianto si vestì di madre / e
tuo padre ti portò al petto / come il
sacro di una preghiera / appeso al collo
da una croce” (pag. 41).
Adernò esprime in
questa raccolta il desiderio della sosta, dell’attimo eterno, del
desiderio di riposare l’anima, nel cammino della poca luce (la lucerna della
conoscenza) mentre intorno incalzano le tenebre della non conoscenza: “(…) Ed è un
continuo, sono stanco / voglio che tutto, per molto stia fermo / io compreso
/ (…) perché tutto deve stare fermo, / soprattutto il tempo” (pag. 29).
Nei versi del Nostro c’è un
pensiero filosofico antico. Partendo
dall’immagine di un Dio, architetto dell’Universo, per finire alla
contemporaneità della Parola (Emanuele Severino) “che non necessita di
prospettiva / per spiegare sé stesso” (pag. 56).
Verità profonde e lancinanti.
Così come enuncia nell’introduzione alla presente raccolta il critico
letterario Massimo Sannelli: “Il libro scatena questi collegamenti: III
assunto e Palingenesi, Giuda e Castigo, A me stesso appartengono alla religione
dell’estremo – l’estrema lucidità, che è totale e fa soffrire –, disperata e
disperante.” (pag. 8).
Per me stesso ho avvertito il desiderio
di avvicinare il canto di Adernò, di questa raccolta, ai versi immortali del
Nobel Salvatore Quasimodo:
“(…) Chino ai profondi lieviti / ripatisce
ogni fase, / ha in sé la
morte in nuziale germe. / – Che hai
tu fatto delle maree del sangue, / Signore?
– Ciclo di ritorni / vano
sulla sua carne, / la notte e il flutto delle stelle.”
(L’Anapo, Poesie, Newton, 1996)
2 commenti:
http://cartesensibili.wordpress.com/2011/09/30/tra-chroma-e-kronos-kairos-di-sebastiano-adern-f-ferraresso/
Grazie!
Ho linkato dalla scheda del libro e rilanciato in twitter e fb.
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