Ranieri Teti
L’inquieta danza che investe l’ultimo libro di Ranieri Teti, Entrata nel nero (Kolibris edizioni, a cura di Chiara De Luca, Bologna, 2011) ci mostra il lungo, aspro dibattersi di un soggetto tragicamente labile e vano, il cui destino è segnato dalla continua propensione alla decomposizione e all’auto-annullamento.
La rarefatta sospensione dei versi - galleggianti sul flusso di un’unica, liquida melodia priva di segni di interpunzione - intende, appunto, denunciare la disfatta dell’illusiva ipotesi di una volontà e, quindi, di un’identità dello stesso soggetto: e la visione del poeta si trasforma in un canto solenne e dolente, ancora meravigliato, forse, della dolce persistenza del suo antico sogno di ricostituzione di un’unità primordiale amorosamente agognata.
Pure, il sotterraneo desiderio di conoscere il volto luminoso di un bene soltanto immaginato non fa che incontrare la sconfitta della demolizione e della destituzione di qualsiasi speranza: la poesia stessa si presenta come una discesa nell’abisso, come un incontrastabile scivolamento nei gorghi della polverizzazione e del disfacimento di ogni eventuale ricomposizione chiarificatrice.
La scrittura di Ranieri Teti spinge le parole ad assolvere il loro segreto cómpito: riaffermare la necessità di accogliere la vita come una imponderabile manifestazione mista di pienezza e di oblio, di luccicanza e di opacità, di unioni e di scioglimenti, ricordando che la condizione del poeta è sempre legata al fiume del proprio essere-per-la-dissoluzione: ed entrare nel nero significa, allora, dovere per forza coincidere col deserto della propria lacerata e lacerante strada.
La poesia è meditazione costante ed estrema sulla dissipazione del nostro esserci.
Registra Cioran: «noi, un tempo amanti delle sommità, poi delusi da esse, finiamo con l’amare la nostra caduta, ci affrettiamo a compierla, strumenti di un’esecuzione strana, affascinati dall’illusione di toccare i confini delle tenebre, le frontiere del nostro destino notturno».
Il pensiero poetico di Ranieri Teti ha superbamente scosso e superato questi confini, restituendoci il riverbero di una bellezza tanto verticale e densa, quanto potentemente feroce e distruttiva.
davanti a sé non ha pianure la superficie del suono
non ha dolore l’inserzione della lingua alla gola
e il tempo che passa da una parola all’altra
è un precipizio in equilibrio ancora sui crinali
di un’attesa uguale al nero che vive nel giorno
alla notte dentro le parole che passano
in fila sul bianco da un precipizio all’altro
Ranieri Teti è nato a Merano nel 1958. Ha pubblicato: La dimensione del freddo, prefazione di Alberto Cappi, Verona 1987; Figurazione d’erranza, prefazione di Ida Travi, Verona 1993; Il senso scritto, prefazione di Tiziano Salari, Verona 2001; Controcanto (dalla città infondata), immagini di Pino Pinelli, nel volume collettivo Pura eco di niente, prefazione di Massimo Donà, Morterone 2008. È presente nelle antologie: Istmi. Tracce di vita letteraria, a cura di Eugenio De Signoribus, Urbania, Biblioteca Comunale di Urbania, 1996; Ante Rem. Scritture di fine novecento, a cura di Flavio Ermini, con premessa di Maria Corti, Verona 1998; Akusma. Forme della poesia contemporanea, a cura di Giuliano Mesa, Fossombrone 2000; Verso l’inizio. Percorsi della ricerca poetica oltre il novecento, a cura di Andrea Cortellessa, Flavio Ermini, Gio Ferri, con premessa di Edoardo Sanguineti, Verona 2000. Fa parte, dal 1985, della redazione della rivista «Anterem». Collabora a riviste, cartacee e on-line, italiane e straniere. Per conto delle Edizioni Anterem cura la collana «La ricerca letteraria». Co-fondatore e responsabile del Premio Lorenzo Montano, ne cura il periodico on-line «Carte nel Vento», presente nel sito www.anteremedizioni.it. Figura nella direzione artistica del festival annuale VeronaPoesia. Vive a Verona.
1 commento:
Un poeta che misura il ritmo della sua portata versificatoria in modo a me molto familiare, con versi cadenzati ma funzionali al ritorno continuo dei numerosi e molti significati. Un caro augurio a Teti e un saluto al caro amico Mario. Stelvio Di Spigno.
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