lunedì 14 marzo 2011

La poesia senza frontiere: Danza immobile di Gladys Basagoitia


recensione di Brunella Bruschi
Non è raro né casuale che la poesia si riveli talvolta un terreno fertile per realizzare quella multiculturalità di cui si parla, ma che spesso si accoglie più come astratto principio che come concreta fattualità.
Gladys Basagoitia e il suo intenso lavoro poetico ne sono un fulgido esempio fra noi.
Si tratta, infatti, di un personaggio molto amato nella nostra città per aver vissuto e lavorato qui da lunghi anni, realizzando, in virtù della sua generosa simpatia, numerose amicizie, scambi ad ampio raggio, con artisti e non, di emozioni, culture e talenti espressivi che fanno ormai di lei nella sensibilità collettiva una “perugina” a tutti gli effetti.
In realtà la sua fama di poeta ha fatto il giro del mondo, avendo pubblicato in lingua spagnola anche in alcuni paesi americani.
Ma la storia dei diversi  esilii che il distacco dalla propria terra comporta, è purtroppo, sempre un po’ più complessa, e a questa sua “cittadinanza” legale e spirituale si affianca, almeno nella poesia, la lacerazione di una incolmabile distanza dalle radici.
Gladys, nata a Lima, ha pubblicato in Italia numerosi libri, fra cui i più recenti in poesia: Acquaforte (2003), Rêverie (2004), Il colore dei sogni (2005), La carne/el sueño (bilingue, 2007), Danza immobile (bilingue, 2010).
In prosa: Il sorriso del fiume (romanzo, 1995), ampliato ne: Il fiume senza foce (2008).
Ha conseguito diversi premi nazionali e internazionali di poesia e narrativa, è presente in varie antologie, ed è traduttrice, performer, biologa.
Nella recente raccolta Danza immobile, uscita da appena due mesi, confluiscono la ricchezza di ispirazione e motivi caratteristica del suo versificare, la comunicativa della persona, la vivace umanità della donna e del poeta, e si fanno peculiare essenza della poesia, anche nel difficile, puntuale passaggio da un idioma all’altro, che sempre implica, in un certo senso, una deroga rispetto al testo di base (in questo caso quello in italiano): si dice, in genere, che tradurre è anche un po’ tradire.
In questo libro, come negli altri che si servono delle diverse lingue, Gladys impiega una particolare attenzione a “tradire” meno possibile (sebbene questo  in ogni traduzione poetica che mira a conservare valori connotativi del testo si riveli spesso necessario ed efficace) ed a traslare sensi profondi, che implicano una scelta attentissima dei lemmi e delle loro aree semantiche.
In questo senso il suo lavoro è volto soprattutto a  “porgere”, “portare altrove”: “trans-ducere” il suo pensiero e il suo vissuto interiore.
La lirica Scrivere in un’altra lingua, che assume anche dalla posizione conclusiva un peculiare valore interpretativo, fornisce importanti indicazioni su come l’autrice vive questa esperienza: «…è un atto di fede cosmica / è credere nella fratellanza del canto /… pur preservando la nostra diversità…».
E non è l’unico passo in cui si rifletta sulla scrittura: in Punteggiatura, ad esempio, scrive: «Senza virgole né punti / per pigliar fiato / solo spazi vuoti / i bianchi silenzi / i silenzi brevi e bianchi / nessuna conclusione/discorso aperto / senza fine il sogno».
Risulta, così, evidente che questa “fede cosmica”, questa generosità che è il senso stesso della scrittura, si propongono di affrancarla da ogni recinto, da ogni chiusura, dunque dall’accogliere il vieto, la scontata verità comune, in presa diretta col profondo che non cerca risposte a senso unico, ma un’apertura libera verso il sogno, che è anche immaginazione del reale.
Danza immobile è un chiaroscuro di contrasti in cui è dominante la figura dell’ossimoro, inteso non soltanto come opposizione di contrari, ma più come uno spazio/tempo diversi,  in cui i contrari mettono a fuoco qualcosa di inaspettatamente comune e rivelatore di nuove prospettive, di più ampi orizzonti d’investigazione poetica ed esistenziale.
Le sezioni della raccolta sono: Voci impreviste, Il chiarore dell’oscuro, Tessere la speranza, Rosso antico, Sassi neri/meraviglia bianca, Oltre il tempo. Tutte, quale più quale meno esplicitamente, annunciano l’opposizione complementare di cui si è detto.
La poesia eponima del titolo principale, Danza immobile, appunto, in un’essenzialità espressiva di grande sintesi poetica,rappresenta una necessaria, conquistata  consapevolezza,  in un crescendo d’immagini, suggellate dalla efficace sinestesia conclusiva («il volo del silenzio», che fa coincidere la sensazione visiva con quella uditiva) : la scoperta che a un certo punto dell’esistenza nulla di ciò che è stato si dilegua, nemmeno un’attività provvisoria come il danzare (che, inutile dirlo, ha qui anche valori metaforici diversi), tutto si è stratificato e ha trovato sensi in relazione a tutto.
Una «danza immobile» che dà «un sussulto di luce» e fa vedere, appunto «il volo del silenzio», un’epifania, una sostanza che la riflessione, l’intensità dell’accoglienza, proprio quando forse tutto sembra finito, ci consegnano come una risorsa insperata, una fertile ricchezza inedita per rinnovare la vita.
Il repertorio di affetti, emozioni, sentimenti di cui si nutre il libro, è quello vasto e palpitante  che trama tutti gli altri: amore, amicizia, nostalgia, slancio vitale, valori, maternità, pena.
Se mai, la differenza con la poesia precedente è che qui tutto è osservato nel contempo attraverso la luce e attraverso l’oscurità, nel  trionfo cromatico, che sempre connota la personalità di Basagoitia e il suo sentimento del vivere, ma anche nell’assenza di colore.
Emblematico di tale cromatismo è, lo ricordiamo, il volume intitolato Il colore dei sogni, testi in qualche modo speculari a questi, perchè appartenenti alla fase giovanile, che si leggono come dei quadri  creati da tinte primarie, il sentirsi appartenere ad una natura satura di colore e calore, fatta di cactus, di fieri carrubi, di agavi, di dirupi e sole delle Antille, rocce e lontanissime spiagge.
Il rosso del sangue e del fuoco si accosta più volte al colore del mare: un mare vischioso e cupo, salmastro, che incorpora in sé il mistero, la forza inderogabile degli eventi “mari impossibili”, ma in cui non si annega, anzi  ci si muove con lucidità e determinazione.
E l’osmosi  fra i sentimenti e gli accadimenti, è la stessa osmosi dei colori, del sangue e del mare, del fuoco e dell’acqua: «dalla roccia una sorgente rossa fluirà solitaria»; «l’illuminazione vi placherà la sete / vi donerà il fuoco nuovo».
Anche in Danza immobile i rossi accesi, gli azzurri intensi, i verdi cangianti specchiano stralci di paesaggi e culture della sua terra, ormai cosi distanti da sembrare polvere, come, invece, le sfumature, i toni trascoloranti evocano scenari e caratteri umbri che lei ha fatto ugualmente suoi nel comune denominatore della solidarietà, della reciprocità e dell’amore.
Eppure sempre nelle sue liriche la luce respira al di là del colore, con una forza che produce un canto, investe le immagini e il ritmo dei  versi. La luce è una strada intrapresa, è una netta marcatura di profili, o uno sguardo accecato sulla realtà, dunque la stessa oscurità che può smussare gli angoli, mostrare altre forme.

COLORI
Spogliata dai celesti e turchesi sorridenti
apparvero rossi cupi e grigi premonitori
ahimè        i fiori miei
i colori dell’infanzia
petali della gioia che la vita fece polvere
non so com’è che conservo il loro aroma
malgrado io sia consapevole
che ansioso all’orizzonte       impaziente
attende            un garofano nero


L’OSCURO
Senza premeditazione
il seminare       l’enigma
spina       insonnia
- potrebbe essere un pretesto -
lo scrivere poesie il credere di vivere
il sognare inediti colori della vita
non sei quello che sei
tempesta improvvisa
fantasma di quel corpo illuminato
bellezza inquietante dell’oscuro


LUCE AMBIGUA
Non riuscii mai a decifrare l’enigma
che separò la tua vita dalla mia
nel recondito delle tue intenzioni
immaginai un sole inesistente
e conobbi il rigore dell’agonia
di allontanar la tua luce ambigua                                                                    

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