Le voci dei poeti sono un’orchestra magica, come l’orchestra e il coro che hanno accompagnato il maestro Ennio Morricone nel suo concerto a Bari in questi giorni, sincronie di atomi leggendari; infiniti che si armonizzano sul pentagramma del tempo, per trasmettere agli uomini, che sanno ascoltare, la grandezza della Vita.
Vivo! Scrivo! Compatisco! Volo! “M’illumino d’immenso”.
Senza distinguermi, nel cammino in mezzo agli uomini, “annodo il pensiero” alla forza Naturale. Trasmigro nel verde della Speranza. Mi acceco dei giorni che mi sono dati da vivere. Questo è quanto scrive, e trasmette, la poetessa, Emilia Dente, meridiana e fortemente meridionale.
È trascorso solo un anno dalla pubblicazione della sua raccolta Tarassaco e viole nel volume Legenda (Fara Editore, 2009), quella voce mite, semplice, sincera, che il critico Paolo Saggese ha definito “dell’amara Speranza e dell’acuta dolcezza” (Storia della Poesia Irpina, Elio Sellino Editore in Avellino, 2009), emerge dal suolo aridissimo e violento di un Sud disperato, violentato, tradito dalla sua stessa gente. La Mafia è viva da secoli. La violenza è perenne.
Una donna: piccolo castello di sabbia, costruito da mani fanciulle, di fronte alla violenza dell’oceano umano. Al Sud questa è la donna. Ascoltare, oggi, una voce libera e discreta, come questa della poetessa Dente, è veramente un inno alla Vita, alla sopravvivenza di fronte ai limiti immensi di una terra, dalle Alpi al mare di Sicilia, invidiosa della sua migliore gente, fino all’odio omicida.
“Attendo il mattino nella tana del lupo” (ammantellano i monti), cosi scrive Emilia,nel trittico di cui parliamo. Fa così anche il lupo (Feltrinelli, 1993), scriveva nel gennaio 1993, la bravissima scrittrice meridionale Licia Giaquinto, svelando il suo ancestrale Sud, la sua mitica infanzia “abitata da lupi e oggi devastata da sciacalli”.
Dov’è la Speranza per la nostra terra, sottomessa ai politici mafiosi? Dov’è la forza del sangue versato, a turno, dai suoi migliori figli per arginare il loro potere? Oggi è toccato ad Angelo Vassallo, ma dietro di lui c’è una infinita schiera di uomini unici: Pietro Paolo Parzanese, Rocco Scotellaro, Peppino Impastato, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Livatino, e sacerdoti, donne, bambini, uomini veri, e nomi, nomi e volti, oggi fantasmi della mente. Chi difende il Sud? La penna dei poeti? Il sangue dei migliori suoi figli? L’esempio di una donna come la Dente?
Questi figli minori non hanno l’economia per arginare il potere politico mafioso che accumula, potere e denaro, per sé, per i figli e i nipoti. “Un orizzonte finito” (in volo). I passi compiuti in silenzio “i miei passi di velluto” (in volo) e il volo: unico atto di libertà per allontanarsi dalla marea fangosa dei vecchi uomini.
C’è Dio nella poetica di Emilia Dente che bussa dal “sepolcro di luce” (aleggiano preghiere), emettendo quel “fiat” da duemila e più anni: chi lo ascolta? Solo gli umili, solo gli ultimi, solo i migranti. Gli ingenui. I Rom. Si respira solo nelle case di cartone. Il potere di Pietro è caduto nelle mani di Giuda. Il sangue dei martiri è divenuto il salvagente per traghettare la frenesia terrena del clero.
I poeti di Milano, di Torino, di Trento, non sentono la voce, delle loro stesse voci, che viene dalle plaghe del Sud. No! Sono troppo vicini all’Europa. Sono anch’essi il Sud di altre nazioni. Noi, con la poetessa Dente, restiamo “semi verdi nei campi dell’odio” (aleggiano preghiere), nella convinzione temporale che le nostre preghiere fioriscano in un tempo e in un mondo lontano da “uomini soldati”.
in volo
alba
dietro porte di fumo
i miei passi di velluto
inseguono il volo
nella conca slabbrata
di un orizzonte finito
il tuo volo
***
ammantellano i monti
le spalle smagrite
si annoda il pensiero
al verde che mi acceca
cammino
attendo il mattino
nella tana del lupo
***
aleggiano preghiere
su vele
di libellule stanche
affondano vive
nel calco fangoso
del tempo circolare
soldati uomini soldati
padri figli soldati
semi verdi nei campi dell’odio
germogliano speranze
nell’orizzonte di fuoco
il riflesso della falce lucente
promette all’alba grano maturo
nel respiro del sepolcro di luce
1 commento:
Commento di Roberto Capone:
«C’era una volta una bimba che, ondeggiando sulla vecchia altalena, cercava di cogliere un attimo di infinito; oggi è una donna determinata che muove passi di velluto. Come allora insegue un sogno, oggi il volo nella conca slabbrata di un orizzonte finito, allora il desiderio di afferrare l’ineffabile, di rinchiudere il tempo in un palmo di mano fuori da ogni percezione esterocettiva del reale. I versi risuonano come note melodiose, riaffiorano emozioni inusuali … solo tu potevi liberare il mio pensiero racchiuso e assopito tra le componenti di un generico vettore.»
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