martedì 4 maggio 2010

Su La poesia, il sacro, il sublime 4

recensione di Vincenzo D'Alessio
prima parte qui
seconda parte qui
terza parte qui

Nel panorama letterario contenuto nell’antologia curata da Adele Desideri, che reca il titolo La poesia, il sacro, il sublime è contenuto il contributo lampo di una grande voce della poesia contemporanea, quella di Davide Rondoni. Le poesie contenute in questa antologia sono riprese dalla raccolta edita Apocalisse amore (Mondadori, 2008). Il titolo del contributo è ispirato al primo verso di una delle opere: Cortese mio capitano. Viene in mente il poeta americano Walt Whitman. Per il Nostro è l’apertura ad un Dio immenso e irraggiungibile che si rivela nel contesto naturalistico, metaforicamente la collina del Calvario, “dove si mormorano storie e a volte si canta // con una luce d’alba tra le voci rotte…” (pag. 234).
Il divino a cui appartenere per essere guidati “su ogni fronte”. Per non perdere la rotta di fronte al “faro / che passa rapido e falcia” (pag. 231). L’uomo del nostro tempo “tigre urbana” (pag. 231), lo stesso poeta, viene metaforicamente schiacciato tra asfalto e cemento, nella quotidianità che promana dai versi: “a sentire un po’ di calore / che ci ricordi le donne, l’apertura / delle porte dei bar, o certe / sere estive” (pag. 231). Il concorrere alla vita che passa attraverso la “rosa rara” (pag. 231), la pupilla dei nostri occhi, divenuti oggi la parte del corpo umano più esposta al teatro dell’accadere, alle fandonie dell’apparire.
La voce di Rondoni è limpida e fluisce come la superficie di un fiume verso il mare infinito di quella umanità che legge, nei versi, il respiro dell’universo. Che cerca il sacro, il sublime, nella difficile lingua dell’Amore. Versi scritti per amore verso l’uomo e il divenire: “come un’arena // e non c’è nessun eroe qui, niente / di puro e di imbattibile, / solo il rumore del respiro dei compagni / cancellati nella tenebra” (pag. 232). Mèta comune degli uomini, altezza della poesia che innalza le povere cose umane alla serenità dell’armonia che ci governa.
Come tutti i grandi poeti, letti nella semplicità dei versi, nella grandezza della parola resa universale, la poesia di Rondoni ci mostra quale scelta abbracciare per seguire il Cortese capitano nel nostro viaggio: “Una lotta ci hai promesso, mai la quiete, una vita / sentita tutta” (pag. 232). La rivelazione dell’esodo, come Abramo, nell’accettare senza tentennamenti la condizione di continua domanda rivolta al cielo, esterno ed interno: “Cosa te ne fai di me, cosa te ne fai grido” (pag. 233). A questo grido ci sentiamo di legare la nostra esistenza per affermare con il poeta: “nessuno risponde così esattamente / alla più lontana avvisaglia della mia vita” (pag. 233).

Nessun commento: