giovedì 29 aprile 2010

Su La poesia, il sacro, il sublime a cura di Adele Desideri 3

recensione di Vincenzo D'Alessio
prima parte qui
seconda parte qui

Nell’antologia curata da Adele Desideri, sul valore della poesia, del sacro e del sublime nella società contemporanea,i diversi contributi offerti e contenuti nel testo, ci lasciano comprendere quale mistificazione ha assunto l’esistenza reale. Dal primo all’ultimo essere umano, che vive quotidianamente nella nostra penisola, il coinvolgimento nella tecnologia è definito socialmente indispensabile, formativo, civile. Vale a dire che senza un televisore, un palmare, un i-pad, un portatile, la famiglia non può sopravvivere. Prima bastava l’auto, la lavatrice, il frigorifero… oggi ci vuole di più.
L’umanità perché non si accorge che l’economia ha minato i pilastri del mondo? Nella cieca corsa a possedere i beni materiali, la spiritualità è scomparsa. Se è rimasta una fede religiosa è divenuta fanatismo omicida. Il rigurgito di assolutismi, presi dal passato, fanno la loro comparsa nei giorni presenti mistificando anche la Storia vera. Lo chiamano revisionismo storico ma è pura follia umana.
Quale valore assume, nel contempo, la poesia, la sacralità, il raggiungimento del sublime?
Sono valori inutilizzabili, se non addirittura devianti, dalla rotta sociale della videocrazia attualmente vigente. Né è consentito, al poeta, al giornalista del fare, al costruttore dell’idillio, opporsi a tanta violenza. Scrive al proposito Adele Desideri nell’introduzione: “Il sacro, oggi, è inserito in un contesto sociale edonista ed omologante, dal non troppo vago sapore nazional-popolare” (pag. 9).
Allora viene incontro il contributo poetico di Eros Olivotto, che nel suo sentire-non sentire cristiano scrive: “Io, /che amo questo tempo, / quest’uomo, / il nostro non cercare, / il nostro non volere,/ saprò mai chi sei / se non oscuramente?” /(pag. 62). Più bella di così una dichiarazione d’amore verso il Dio del mondo non l’ho ascoltata se non nei versi di Jean Debruynne diversi anni fa, ma sempre attuali: “Per vivere, / il Dio dei cristiani non è tutto, / altrimenti non sarebbe più niente” (Vivere, Ediz. Paoline,1983). Veramente la fede, nei versi di Eros Olivotto, sa essere l’ossimoro cristiano della ricerca incompiuta su questa terra, completa solo nell’estasi della richiesta: “Vedi, / questo è il mio giorno: / infinite domande / e una distanza immutata” (pag. 63).
Ecco l’avverarsi del sublime, al di là del limite dell’orizzonte che l’occhio insegue, anche quando il cervello si spegne, frammentato dalla siepe del dolore, e il naufragio diviene dolce nel mare della quiete divina. L’umanità, oggi, non ha il tempo di pensare, tutto è alla velocità delle fibre ottiche. Tutto è assunto alla voce del Grande Fratello.
Ben venga, in questa concreta antologia d’ispirazione al sacro, la voce di Alfonsina Zanatta. Che della poesia dà la ricerca dell’Oltre, scritto con la maiuscola, quando asserisce che: “Tutto è sacro da quando Dio si è fatto uomo, e da quando ha riportato in cielo la nostra umanità, la nostra terra” (pag. 39). Proprio così, Gesù Cristo, ha avuto la gioia di coprirsi i piedi di terra, camminando in mezzo agli uomini, ha bevuto, dormito, sofferto, ed è stato ucciso. Ha portato nel cielo, nella sua Resurrezione, il sudore della morte e la terra del sepolcro.
Ma com’è lontano quel giorno di cui facciamo memoria, oggi, in mezzo a tanto dolore!
Scrive la Zanatta: “Ne consegue l’invito a leggere il tormento e l’inquietudine dei veri poeti – magari non approdati a un riconoscimento esplicito di senso e di Alterità (…) Stanno da queste parti le voci alte di Montale e di altri disperati cercatori con lui” (pag. 40).
Io che leggo, che cerco, che chiudo con difficoltà la porta del dolore, sono alla ricerca di quel Dio che la poetessa Zanatta ha fatto suo con le parole: “La creazione si svela come volto del dono di Dio, e ogni scheggia riporta al suo autore” (pag. 42).

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