giovedì 29 aprile 2010

Anna Elisa De Gregorio su Solchi e Nodi di Caterina Camporesi

Carissima Caterina

finalmente un momento di tregua per scriverti e ringraziarti ancora del “piccolo” dono che mi è arrivato per posta. Parlo del tuo ultimo libro Solchi e Nodi della FaraEditore.

Scarni i versi quasi fino all'afasia, il significato si perde nel significante: evocazioni, assonanze, echi, fantasmi, che possono ricordare i modi della meditazione zen dove il pensiero logico scompare, dove il vuoto è più importante del pieno, dove si va al di là del quotidiano eppure nutriti e intrisi di quest'ultimo (dalle mancanze ai momenti di grandezza dell'uomo): “tra bocca di Dio e grida di io / nell'estrema discesa e ascesa”.
Dal precedente Duende che pure mi aveva tanto colpito, almeno nella seconda parte, per lo specialissimo rapporto che si può raggiungere tra sogno e bisogno fino a crearsi un mondo perfettamente efficiente e parallelo, si arriva a questo ultimo libro Solchi e nodi, che prevede un mondo di "quasi"decantato nulla: penso alle divine fioriture nel deserto (potrebbe essere questo il senso della tua poesia, dei tuoi versi), essenziali, dove le foglie sono aghi di difesa, che sbattono al vento, dove i gambi sono quasi a terra, dove le radici sono infinitamente caparbie nella ricerca di acqua non si sa da quale dove: “rumori serrati in nidi di panico / percuotono la sola nota della mente / dietro canneti segreti ruscelli / sciolgono preghiere alla luna/ all'alba venti avvinghiati/ consolano simulacri”. Oppure alle iscrizioni rupestri fatte di pochi icastici segni, di minime depressioni per secoli intatti: “memorie incancellabili / decollano dal concavo inconscio”. Musicalità di vento, nodi di sabbia in continuo divenire in una immobilità apparente; il senso di straniamento è la sensazione che accompagna tutto il libro: “veli sollevano / echi ripetono / svigoriti sibili / trasvolano reti trasparenti / stringono gridi di angoscia / su deserti insanguinati”.
La mia metafora così insistita intorno a terre desertiche ha un senso. Sono appena tornata da Petra e straordinariamente il titolo del libro Solchi e Nodi, così come la copertina mi hanno riportato a quei luoghi, alle rocce così fragili e così "insanguinate", come i tuoi versi, alla estrema riduzione del sé: “raccoglie verità l'istante / che scheggia l'eterno / destinato ancora a sbriciolarsi/ in altri lampi”. Molto bella la colta prefazione di Massimo Sannelli, centrata eppure originale.
Ecco le mie modestissime note, cara Caterina,

Anna Elisa De Gregorio

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