di Vincenzo D’Alessio
L’antologia poetica, esaminata nelle sue parti, mi ha portato maggiori contributi sulla poetica contemporanea, quindi amplierò maggiormente il dialogo sul valore di questo volume che si avvicina ad un’altra antologia, pubblicata nello scorso Novecento, che reca il titolo di Dio nella poesia del Novecento (R. Ricchi e M. Rosito, a cura, Firenze Libri,1991). Nell’introduzione cita: “Insomma, Dio non è morto per il poeta del Novecento. Al punto da richiamare alla memoria quella frase di Rudolf Carnap secondo cui ogni metafisica non è altro che poesia in concetti.” L’intento di padre Gianni, il curatore, è stato similmente lo stesso. L’Uomo tecnologico ha bisogno di Dio. Un Dio lontano e vicino allo stesso tempo. Carne e Spirito senza distacco. Dolore e Armonia con il Creato. Parole e Silenzio ascoltando l’Infinito. Immanenza nei travagli umani e rivelazione individuale come viatico terreno.
Dio è per strada. Proprio in mezzo a noi. Visibile e completo. Ma nessuno chiede al Maestro dell’Universo: perché viviamo, come viviamo, perché soffriamo e poi moriamo? Non si chiede più nulla se non “dacci oggi il nostro (unicamente nostro) pane quotidiano”. Il poeta Andrea Parato è il poeta-profeta in carne ed ossa. Si “guarda” intorno e si chiede il senso della sua esistenza e di quella degli altri: “(…) la ragazza del lampione sotto casa. / Appena il tempo di lanciare uno sguardo: / è la vicina che non conosco /che fingo di non aver mai visto.” (pag. 95)
Che difficile esistenza quella del profeta: vedere, prima che accada, il presente/futuro e non poterlo rivelare, pena la morte. Così ogni poeta è affidato ai critici, agli editori, qualche volta ai famigliari, per essere poi svelato in tutta la grandezza del proprio messaggio (postumo).
Andrea Parato dialoga perfettamente con il lettore. Alta è la sua poetica. Crescenti le rivelazioni che spingono a penetrare il senso antico/arcaico della parola poetica. Così è! Voci di uomini che gridano nel deserto del benessere: raddrizzate le strade contorte, diffidate dei facili traguardi. Lo so, vivete bene, benissimo, con eccellenti risultati sul campo, assicurando ai vostri figli, nipoti, discendenti, case, terreni, conti in banche, azioni sul mercato, benessere presente. Ma allora chi deve farsi carico della parte più dura dell’esistenza? Chi deve porgere l’altra guancia? Il Nostro poeta lo dice senza mezzi termini: “Poeti-profeti: una voce nel deserto. Chiamati a essere voce del dio e portatori di messaggi, camminano su piste parallele guardando in direzione opposta. Scontano così la solitudine umana.” (pag. 86)
Veramente don Peppino Diana, don Pino Puglisi, don Antonio Riboldi e chissà quanti altri, veri sacerdoti, hanno pagato, e pagano in vita, la missione dell’essere profeti del Dio dei poveri, degli ultimi.
La metafora delle conchiglie e del mare è stupenda. L’origine dell’uomo dall’acqua. Acqua che purifica e ci accompagna dalla nascita. Acqua che ci sostiene fine alla fine del nostro singolo deserto mostrandoci l’unicità della nostra valva nell’immensità delle altre valve. Sono struggenti le poesie del Nostro poeta, incluse in questa antologia con il titolo: “una voce nel deserto”. A questo poeta vorrei dedicare i versi di un grande poeta meridiano, Alfonso Gatto, che nell’amore portato alla vita e all’uomo, molto somiglia a Parato: “(…) Nella conferma il dubbio che la voce / sillabando col passo al passo affretti / la carica dei volti, segna il volto / di chi solo con tutti a tutti è solo.” (Funerale in Sardegna).
Al curatore resta il compito di rinverdire le ore della Poesia con il silenzio della preghiera.
Febbraio, 2010
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